L’Italia è sempre stata all’avanguardia nel settore degli idrocarburi, e ha senso che vi continui a investire, per renderli sempre più “puliti” ed efficienti, dato che la transizione alle energie rinnovabili, comunque necessaria, non è realizzabile nel breve termine.

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Uno degli slogan più banali che sono stati lanciati dagli apprendisti stregoni, durante la recente campagna referendaria, è stato: gli idrocarburi sono il passato, le rinnovabili sono il futuro. Questa affermazione potrebbe anche suonare credibile, se si inserisse in un contesto temporale e mondiale preciso. Sparata al di fuori di questi riferimenti, però, perde ogni valenza di credibilità e non fa i conti con gli indispensabili sviluppi con cui le tecnologie degli idrocarburi dovranno misurarsi ancora per qualche decennio.

Normalmente gli esperti nostrani di energia affrontano questo tema riferendosi quasi esclusivamente all’energia elettrica e tendono ad ignorare del tutto il problema gigantesco dei combustibili per il trasporto terrestre, marittimo ed aereo, di quella energia che ci garantisce la mobilità sul pianeta. Si ritiene che questa energia sia praticamente “garantita” dalle tecnologie mature che abbiamo utilizzato nei decenni passati e dagli impianti di raffinazione già esistenti nel mondo.

Si tratta di una visione assolutamente limitata che non tiene conto di cosa sta succedendo oggi nel mondo. Vogliamo chiederci perché i teatri di guerra continuano ad essere localizzati nelle aree in cui si trovano gli idrocarburi necessari per i prossimi decenni? Se fossimo così prossimi alla svolta delle fonti energetiche alternative, probabilmente, sarebbe molto più semplice trovare equilibri geopolitici diversi in queste aree.

Diciamolo con nettezza: ancora per qualche decennio, i trasporti saranno garantiti quasi esclusivamente dagli idrocarburi. Senza parlare delle produzioni petrolchimiche che ci garantiscono tutte le plastiche di cui facciamo uso in ogni attività umana.

Qui nasce la sfida gigantesca non ancora risolta. Come fare perché i combustibili fossili necessari ai trasporti siano sempre più puliti e tecnologicamente più evoluti, in modo da garantire rispetto dell’ambiente e massima efficienza energetica? Il 1 gennaio 2000, negli USA, è stato introdotto il Clean Air Act, che ha cambiato in modo sostanziale le specifiche richieste per i combustibili da trasporto. Qualche mese dopo, anche la UE ha introdotto le stesse regole.

Si è trattato di una vera e propria rivoluzione nel settore degli idrocarburi. Da un giorno all’altro, molte delle raffinerie americane ed europee sono divenute parzialmente obsolete. I loro impianti non erano più in grado di produrre la nuova qualità di combustibili. Varie raffinerie sono state chiuse. Si è cosi determinato un restringimento dell’offerta di benzina, gasolio e jet-fuel di alta qualità. Tutto ciò è avvenuto, paradossalmente, in un contesto di potenziale eccesso di offerta di greggio, la materia prima di partenza.

L’effetto sui mercati internazionali è stata l’impennata del prezzo del petrolio a partire dall’anno 2000 e l’avvio di una fase di estrema volatilità negli anni successivi, segno del totale sbilanciamento fra domanda ed offerta di questi prodotti per i trasporti. La speculazione finanziaria, che ha cavalcato questo fenomeno oggettivo e strutturale, ha fatto il resto, spingendo il prezzo prima in alto fino a 150 $/barile, poi facendolo crollare a 37 e quindi ancora salire a 130 e infine scendere a 40.

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Risolvere questo problema del bilanciamento della domanda ed offerta dei prodotti per il trasporto è divenuto vitale in tutto il mondo. Da decenni non si investe più in moderne tecnologie di raffinazione, che consentano, a partire da qualunque qualità di greggio, di ottenere i prodotti petroliferi necessari ai mercati più evoluti, con elevata sensibilità ambientalista.

Per fortuna, la maggiore efficienza dei nuovi veicoli in commercio e la crisi economica che si trascina da un po’ di anni hanno fatto diminuire la domanda ed hanno attenuato la gravità del problema. L’estate scorsa, il prezzo relativo della benzina sui mercati occidentali (fatto 100 il prezzo del greggio) è giunto a circa 200, contro un livello storico stagionale di 130. I consumatori non lo hanno notato perché contemporaneamente il prezzo del greggio è sceso da oltre 100 a 40 $/barile.

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In un contesto di libero mercato, esiste il concreto rischio di una guerra commerciale fra Europa e Stati Uniti per l’accaparramento dei combustibili puliti indispensabili a garantire i trasporti.

Due sfide gigantesche quindi riguardano lo sviluppo degli idrocarburi nel futuro prossimo:
a. massicci investimenti nella tecnologia di raffinazione per poter produrre i prodotti di cui abbiamo bisogno. La crisi industriale di questo settore, la dimensione dello sforzo finanziario necessario e la crescente ostilità delle popolazioni a interventi nei territori lasciano supporre che tutto questo non sarà fatto, almeno finche non ci troveremo a sperimentare una carenza fisica di offerta di prodotti;
b. lo sviluppo di tecnologie alternative che, a partire dal gas naturale, consentano di produrre i combustibili per i trasporti. Parliamo di tecnologie già esistenti, ma che necessitano di ulteriori sviluppi per riuscire ad abbattere i costi di produzione odierni.

Dal gas naturale potrebbe arrivare la risposta nuova per gestire, anche nel settore dei trasporti, la fase di transizione epocale verso la rivoluzione energetica che certamente l’umanità sarà in grado, un giorno, di raggiungere.

Essere presenti nella tecnologia di trasformazione del gas nei liquidi per autotrazione di cui abbiamo bisogno potrebbe darci vantaggi enormi, sia per garantirci l’approvvigionamento necessario per il Paese, sia per mantenere in piedi il sistema di imprese che ci hanno consentito di essere sempre all’avanguardia. A fronte di queste sfide, l’Italia potrebbe giocare nuovamente, cosi come fece nel dopoguerra, una partita importante.

Il nostro Paese, durante gli anni ’60, aveva legato la copertura del suo fabbisogno energetico quasi esclusivamente ai prodotti petroliferi, divenendo la “raffineria” d’Europa e degli USA. In pratica, il petrolio greggio arrivava in Italia attraverso il canale di Suez e veniva raffinato nelle raffinerie italiane.

Successivamente, gran parte delle benzine veniva esportata verso il mercato americano o nord europeo, mentre l’olio combustibile ed il gasolio (considerati quasi scarti di lavorazione e quindi a prezzi bassi) venivano utilizzati in Italia per la produzione di energia elettrica e per il trasporto pesante. Era un modello economico che ha funzionato e ha assicurato l’energia necessaria per lo sviluppo del Paese ed il “miracolo economico”.

L’Italia oggi dispone di un complesso di aziende leader di questo settore tecnologico e soprattutto dispone di olio e gas, che è stato prodotto dalle nostre aziende nazionali, raggiungendo standard elevatissimi di qualità e di innovazione tecnologica. Ancora oggi, come Paese, siamo in grado di giocare una partita strategica, ma occorre definire una cornice nazionale di riferimento che favorisca gli investimenti.

Occorre ridisegnare la normativa in modo che preveda l’affidamento delle concessioni minerarie per lo sviluppo degli idrocarburi sul territorio italiano a quegli operatori che siano in grado di creare ricchezza utile per il paese a tutto tondo. Qualcosa di simile a quanto avvenne nel dopo guerra con gli idrocarburi della Val Padana.

Siamo nel mezzo di una grave crisi a livello mondiale. Non sappiamo chi vincerà la sfida delle energie del futuro, ma certamente questo non è il momento di tirarsi fuori e determinare una dipendenza drammatica del nostro paese nei decenni prossimi.

Lo abbiamo sempre visto in passato. Le crisi sono pagate più pesantemente dai paesi più deboli e meno attrezzati con risorse nazionali ed infrastrutture adeguate. Paradossalmente, è proprio questo il momento per investire nella ricerca di gas naturale nel nostro territorio e nello sviluppo delle tecnologie di produzione dei combustibili puliti.

Le conoscenze tecnologiche che le nostre imprese hanno acquisito in questo settore sono enormi ed hanno portato a successi esplorativi in tutto il mondo. L’applicazione di queste nuove tecnologie potrebbe aprire nuovi orizzonti e portare a risultati inaspettati finora.

Ovviamente, nessuno vuole o può bloccare il processo di ricerca e di sviluppo di fonti alternative di energia. Occorre, però, una dose di robusto realismo. Se consideriamo il grado di sviluppo che, dal dopoguerra a oggi, hanno avuto le tecnologie nei vari campi della conoscenza umana (elettronica, robotica, medicina, aerospaziale, comunicazione, genetica...), appare evidente che il settore energetico risulta ancora molto indietro. Un vero salto di qualità non è ancora arrivato.

Oggi, grazie allo sviluppo complessivo di cui il paese ha goduto, siamo in grado di porci obiettivi più ambiziosi e traguardi più alti da raggiungere. Anche la nuova sensibilità ambientale è frutto dello sviluppo del paese. Certamente non contribuiremmo a raggiungere questi nuovi orizzonti, se scegliessimo di minare alla base le strutture portanti del sistema produttivo di cui le imprese del settore energetico e la ricerca mineraria sono pilastri essenziali.