Per la cannabis da fibra, l’ultimo biennio è stato di enorme espansione, con una crescita degli ettari coltivati del 200% nel 2014 rispetto al 2013. L'incremento degli investimenti e la chiusura della filiera rendono possibile il rilancio di una produzione dalle molteplici applicazioni. Serve però un quadro normativo più certo ed organico.

Marola campi sito

La cannabis, a quanto pare, non è più il demonio. Le proposte di legalizzazione dell'uso ricreativo di hashish e marijuana non sono più considerate politicamente eversive. L'uso medico della cannabis è stato sostanzialmente sdoganato, al di là di problemi burocratici di approvvigionamento e di dispensazione che rendono in Italia per il momento quasi "virtuale" l'esercizio del diritto riconosciuto ai medici e pazienti. Anche per la regolamentazione della coltivazione e trasformazione della cannabis da fibra sarebbe però opportuno un reload legislativo.

La cannabis è un buon investimento ecologico-economico. È una pianta resistente, facile da coltivare e con ottimi rendimenti, e non comporta l'uso di pesticidi e diserbanti inquinanti. Combatte l’erosione del terreno, grazie a un apparato radicale molto sviluppato, ed è utilissima nelle operazioni di bonifica, per la capacità di estrazione di metalli pesanti da terreni contaminati. Inoltre è un prodotto estremamente versatile, per le sue molteplici applicazioni: nel tessile, nell'alimentare, nella cosmetica, nella farmaceutica, nell'industria delle costruzioni e in quella della plastica e dei carburanti.

Fino agli anni ’40 del secolo scorso l’Italia era il secondo produttore di canapa al mondo per quantità, dopo la Russia, e il primo per la qualità. La canapa ha perso terreno in passato non solo per la concorrenza delle fibre sintetiche, ma soprattutto per effetto della “Convenzione Unica sulle Sostanze Stupefacenti” sottoscritta dal governo italiano nel 1961 (e seguita dalle Convenzioni del 1971 e del 1988), che di fatto ha comportato la fine anche della coltivazione e dell'utilizzo industriale della cannabis. Oggi la canapa può tornare protagonista di un’economia più sostenibile, riprendendo il posto che il proibizionismo le aveva sottratto.

Per la cannabis industriale, l’ultimo biennio è stato di enorme espansione, con una crescita del 200% nel 2014 rispetto all’anno 2013. Anche se non è ancora nulla rispetto agli anni ’30, quando in Italia erano coltivati a canapa circa 80.000 ettari di terreno con una produzione di circa 795.000 quintali, i circa 2.000 ettari riconvertiti a cannabis nel 2014 sono il segno della rinascita e riscoperta di questa coltura. In Italia la coltivazione di canapa è ripresa nel 1998, dopo la circolare del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali con le disposizioni relative alla coltivazione della cannabis sativa e all'utilizzazione di sementi registrate nell’Unione europea, con un contenuto massimo di THC certificato dello 0,2%.

La sola Assocanapa, la più antica associazione dei coltivatori e trasformatori di canapa ad uso industriale, ha da poco comunicato che sono raddoppiate le aziende associate coinvolte nella semina: dalle 150 del 2013 sono passate a circa 300 nel 2014, con il conseguente aumento degli ettari coltivati, che da circa 400 (nel 2013) quest’anno hanno superato i 1000.

Tabella Marola

Ai dati di Assocanapa, per avere contezza del fenomeno nel suo complesso, sono da sommare gli ettari di terreno agricolo che nell’ultimo anno sono stati destinati alla canapa attraverso numerosi consorzi ed associazioni di canapicoltori che si sono formati con una dinamica di crescita esponenziale.

Ogni regione italiana ha visto attivarsi, nel 2014, almeno un consorzio o associazione: Toscanapa e Versilcanapa rendono, insieme all’attività decennale di Assocanapa, la Toscana la prima regione per produzione di canapa (e la provincia di Arezzo il territorio con il maggior numero di ettari coltivati). Tale primato è stato raggiunto grazie al sostegno della Regione Toscana che da decenni affianca i canapicoltori con finanziamenti e progetti ad hoc. Il Piemonte e la Puglia seguono a ruota per attivismo ed operatori agricoli coinvolti. E poi Marche, Campania, Abruzzo, Emilia Romagna e Sicilia.

Il contributo essenziale al rilancio della canapicoltura in Italia è stato dato dalla cosiddetta chiusura della filiera: la realizzazione, quindi, di impianti di prima trasformazione. Avere pochi impianti significa dovere spostare le rotoballe di materiale e questo comporta un costo che, sulle lunghe distanze, può rendere antieconomico anche l'investimento nel settore agricolo. Fino a metà 2014 esisteva un solo impianto di trasformazione, a Carmagnola (TO), brevettato, progettato e realizzato con il contributo determinante della Regione Piemonte ed entrato in funzione nel 2010.

Da agosto 2014 a Crispiano, in provincia di Taranto, è entrato in funzione il secondo impianto per la trasformazione della canapa, impianto realizzato dopo una lunga ed accurata progettazione fatta in stretta collaborazione fra gli ingegneri del Cnr e i coltivatori di Assocanapa. L’impianto tarantino porterà in Puglia inizialmente la canapa prodotta dai 250 ettari seminati tra Abruzzo, Molise, Basilicata, Campania, Calabria e soprattutto Puglia, ma il progetto prevede di superare questa soglia e lavorare il prodotto coltivato almeno in 500 ettari.

Dall’agosto 2014 è ripartito, anche con l’audizione delle varie associazioni interessate, il dibattito alla Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati della proposta di legge quadro che, in coordinamento con le normative europee di sostegno alla coltivazione della canapa, dia un quadro legislativo di riferimento definitivamente organico e certo. Speriamo di non dover attendere troppo.