Il prossimo 8 aprile la Corte costituzionale dovrà esprimersi sul divieto di fecondazione "eterologa" e sul divieto di sperimentazione sugli embrioni. Se anche questi divieti fossero giudicati illegittimi, della legge 40 rimarrebbe davvero ben poco. Sarebbero gli ultimi pezzi a cadere di una legge che in 10 anni è stata portata in giudizio 29 volte: il perfetto esempio di come una legge non dovrebbe essere scritta.

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Il prossimo 8 aprile la Corte costituzionale dovrà rispondere al dubbio di costituzionalità dell’articolo 4, comma 3 (“È vietato il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo”) e dell’articolo 13, comma 1 (“È vietata qualsiasi sperimentazione su ciascun embrione umano”) della legge 40. Sono gli ultimi pezzi di una legge che ha 10 anni e che è stata portata in giudizio 29 volte. Una legge che è stata demolita perché violava alcuni diritti fondamentali e imponeva divieti illegittimi e ingiustificabili. Una legge che è un perfetto esempio di come una norma non dovrebbe essere scritta. Se saranno eliminati anche questi due divieti, rimarrà ben poco ancora da demolire: l’accesso limitato alle coppie costituite da un uomo e una donna, il divieto di ritirare il consenso una volta prodotti gli embrioni e non dopo l’impianto e, per i più liberali, il divieto di maternità surrogata.

Il divieto di ricorrere a gameti altrui – la cosiddetta “eterologa” – è forse il più bizzarro dei divieti della legge 40. Gli altri sembrano derivare, seppure in modo incoerente e contraddittorio, dall’attribuzione di diritti fondamentali all’embrione (è il “concepito” dell’articolo 1, che deve essere trattato come tutti gli altri soggetti coinvolti, “soggetti” che sono presumibilmente gli aspiranti genitori e gli operatori sanitari, quindi persone giuridiche). Al tempo della discussione, e poi durante i mesi della campagna referendaria nel 2005, le motivazioni invocate a sostegno della proibizione erano surreali: dal fantasma del terzo incomodo all’adulterio genetico, dalla violazione della sacralità del legame familiare a incomprensibili tradimenti di chissà quali “tradizioni”, dalla violazione di un presunto diritto del nascituro al legame biologico alla sua condizione di orfano genetico. Il risultato è un divieto che esclude chi soffre di sterilità assoluta (si pensi ai casi di menopausa precoce o agli effetti di una chemioterapia) – risultato ben curioso per una legge che avrebbe dovuto normare le tecniche di riproduzione, cioè proprio quelle tecniche che servono per rimediare alla sterilità.

Questo divieto, seppure più blando, c’è anche nella legge austriaca, e tre coppie hanno fatto ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Nell’aprile 2010 la Corte ha stabilito che l’impossibilità di ricorrere alla cosiddetta eterologa è in contrasto con il diritto alla vita familiare e con il divieto di discriminazione. Il tribunale di Firenze ha sollevato il dubbio di legittimità costituzionale; nell’ottobre 2010 c’è stata l’ordinanza di Catania e nel febbraio 2011 quella di Milano. Nel frattempo l’Austria aveva però fatto ricorso e la Grande camera della CEDU aveva annullato la decisione della Corte. A maggio 2012 la Corte costituzionale ha rimesso gli atti ai tribunali che avevano sollevato il dubbio di costituzionalità. Ma nel 2013 la Consulta è stata chiamata nuovamente a esprimersi sul profilo di costituzionalità del divieto di eterologa.

In attesa della decisione della Corte possiamo domandarci se esiste una buona ragione per vietare il ricorso a un gamete altrui. Il presunto diritto del nascituro all’identità genetica con i genitori – cioè con quelli che lo alleveranno – è un diritto sconclusionato, impossibile da garantire e che è già violato in ogni adozione. Condividere un legame genetico non è una condizione né necessaria né sufficiente per essere un genitore. Ogni rimando all’adulterio dimentica che non è illegale tradire il proprio coniuge, ed è giusto così. Per molti è immorale, ma l’immoralità affonda principalmente in una caratteristica precisa: il tradimento della fiducia dell’amante. È insensato invocare un analogo tradimento per l’“eterologa”, perché chi si rivolge a tale tecnica lo fa consapevolmente, escludendo così ogni possibilità di inganno. Se sono consenziente è ancora tradimento? Lo scambio di coppia è adulterio? Per la dottrina cattolica il vincolo matrimoniale è sacro e inscindibile – con l’eccezione della Sacra Rota – e lo scambio di coppia è inammissibile, ma la dottrina cattolica è una scelta, non può essere imposta da una legge. Infine, l’obiezione più potente – soprattutto per i difensori della “vita” – è la seguente: è meglio esistere grazie al ricorso di un gamete altrui o non esistere affatto? Non è insensato invocare dei diritti di chi non arriverà mai all’esistenza? Come potrebbe l’eterologa violare un diritto di chi non esisterà mai?

Nel frattempo, alcuni sono andati all’estero, altri hanno aggirato il divieto tramite una fecondazione eterologa casalinga. Per ragioni tecniche il fai da te è limitato alla donazione del gamete maschile, perché per gli ovociti è necessario avere a disposizione gli strumenti e le competenze per la stimolazione ovarica, il prelievo degli ovociti e la fecondazione extracorporea. Per il seme maschile è tutto più facile. Non legalmente però: il donatore è il padre e non c’è modo di tutelare un accordo che preveda uno scenario diverso. Come quello di due donne che vogliono un figlio e che si accordano con un uomo che vuole soltanto donare il proprio seme. Se quest’ultimo cambiasse idea, potrebbe avvalersi del diritto di essere padre a tutti gli effetti. O potrebbero essere le donne a chiedergli gli alimenti, violando quell’accordo contratto al di fuori dei confini legali (è successo a Klaus Schröder, che dopo aver donato il proprio seme si è visto chiedere un assegno di mantenimento).

L’altro divieto è quello della sperimentazione sugli embrioni. Il divieto segue dall’attribuzione di diritti agli embrioni. Quegli stessi embrioni che la legge 40 condanna a morte certa (perché un’altissima percentuale di embrioni prodotti non attecchirà, non si svilupperà e non arriverà a nascere): prima contraddizione che condanna la legge 40 a essere non solo ipocrita, ma addirittura troppo liberale. Se davvero gli embrioni godono di diritti tali da vietare la sperimentazione, dovrebbero essere protetti da un divieto assoluto delle tecniche riproduttive.

Quegli stessi embrioni che il divieto di sperimentazione lascerà estinguersi nel loro terreno di coltura: sono i cosiddetti sovrannumerari, cioè gli embrioni che non sono stati usati per un tentativo di impianto. Novelli homunculi abbandonati al loro destino. È bene ricordare che in questo stadio gli embrioni sono organismi cellulari privi non solo di una qualsiasi forma di coscienza, ma anche della possibilità di provare dolore o piacere. Se vogliamo attribuire loro il diritto alla vita, ricadiamo nella precedente obiezione. Se accettiamo di ammorbidire o negare quel diritto permettendo le tecniche dovremmo permettere anche la sperimentazione. Non basta a giustificare la diversità di trattamento il rischio di morte (nel caso delle tecniche) contro la certezza di morte (nel caso della sperimentazione).

Quell’organismo non nascerà mai e prima o poi morirà. Il tempo tra ora e la sua morte per estinzione non ha alcun significato soggettivo, né sembra averne uno oggettivo – se non nella ipocrita decisione di lasciare che le cose accadano, senza sporcarsi le mani.

Una spia che siamo sulla strada giusta è rappresentata dalla possibilità di importare linee cellulari estratte da embrioni: gli embrioni sacri sono solo quelli italiani? Accettiamo che siano gli altri a fare quanto giudichiamo immorale e che abbiamo reso illegale per prenderci, consapevoli del delitto commesso, solo i vantaggi?