Europa in bilico, tra centralizzazione ed indipendentismi. Negli ultimi anni, in parte anche a causa dei contraccolpi della crisi economica, gli equilibri istituzionali dell'Europa occidentale si sono fatti più fragili e la sensazione è che, per molti versi, il continente si trovi, in questo momento, in un punto di equilibrio instabile.

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Due opzioni politiche contrapposte paiono candidarsi come "soluzione" al sentimento diffuso di disaffezione rispetto alla presente configurazione istituzionale dell'Europa. Da un lato c'è chi ritiene che l'attuale instabilità debba essere risolta nel senso di una maggiore centralizzazione politica, prefigurando un trasferimento di sovranità verso l'alto a favore di un vero e proprio superstato continentale. Dall'altro stanno prendendo piede come mai in passato movimenti politici favorevoli ad una maggiore disgregazione politica ed in definitiva alla nascita di nuovi Stati in Europa.

Una prima misura di quanto sia forte nei fatti questa seconda tendenza la potremo avere quest'anno, in virtù del previsto svolgimento dei referendum per l'indipendenza della Scozia e della Catalogna. Le date delle due consultazioni sono già state fissate. Gli scozzesi voteranno sul proprio futuro il 18 Settembre, mentre il 9 Novembre sarà la volta dei catalani.

Il referendum scozzese è significativo perché rientra nel solco di un percorso concordato con il governo del Regno Unito e pertanto, al di là di quello che sarà l'esito nelle urne, già si fonda sul riconoscimento britannico del "diritto di exit" della Scozia. Nei paesi anglosassoni, nei fatti, il principio dell'autodeterminazione pare sempre più accettato. Ne è una prova, del resto, anche il caso del Canada, dove il Québec ha già potuto effettuare due referendum, nel 1980 e nel 1995, per decidere sulla propria secessione. La seconda volta l'opzione "unionista" ha prevalso per una manciata di voti, ma ci sono pochi dubbi che, se avesse vinto il sì all'indipendenza, il governo federale di Ottawa avrebbe preso atto del risultato. Il referendum catalano ha molte più probabilità di essere vinto rispetto a quello scozzese – nel quale, secondo i sondaggi, dovrebbe avere la meglio il "no" - ma molto più incerto sarebbe il percorso successivo ad un voto indipendentista. Se David Cameron ha messo in chiaro che accetterebbe la decisione della Scozia di assumere una piena sovranità, il governo di Madrid continua a considerare la consultazione catalana un atto unilaterale.

E' evidente che una dichiarazione di indipendenza della Catalogna aprirerebbe una crisi istituzionale dall'esito non scontato. La Spagna potrebbe scegliere di provare a destituire il governo catalano con un'azione di forza, oppure utilizzare l'Unione Europea per portare avanti varie forme di rappresaglia economica e commerciale nei confronti di Barcellona. Va detto, da questo punto di vista, che il caso della Catalogna – contrariamente a quello della Scozia - è quello di una regione più ricca della media del paese; quindi al di là dell'elemento più propriamente nazionalistico, l'iniziativa sovranista ha anche una valenza antiredistributiva.

Di conseguenza un successo della secessiona catalana potrebbe rappresentare uno stimolo per gli indipendentismi che giocano la carta dell'opposizione alla spoliazione fiscale, dalle Fiandre fino potenzialmente al Veneto o ad altre realtà italiane. In questo senso Madrid potrebbe trovare facilmente sponde presso altri governi preoccupati dall'avanzare degli autonomismi; è più che plausibile, quindi, che gli Stati UE possano effettivamente provare ad agire come un "cartello" per isolare e "punire" la Catalogna affinché questo "serva da esempio".

Va detto, peraltro, che i nazionalisti catalani hanno finora gestito la propria immagine ed i propri rapporti internazionali con lungimiranza. Il secessionismo catalano si presenta come una forza "tranquilla", inserita a pieno titolo nel mainstream ideologico dell'Europa Occidentale. Il partito del premier catalano Artur Mas, Convergencia i Uniò, è in realtà una coalizione di una componente liberaldemocratica, affiliata in Europa all'ALDE, e di una componente cristiano-democratica, affiliata al PPE. L'impegno transazionale dei partiti e delle organizzazioni "catalaniste" ha contribuito in modo determinante a creare un certo livello di accettazione per l'indipendenza catalana in ambito europeo che ha qualche speranza di poter controbilanciare il lavoro di lobbying di segno opposto del governo spagnolo.

Il nazionalismo catalano può conseguire un decisivo sostegno a livello internazionale soprattutto perché è in grado di rifuggire da suggestioni etniciste e xenofobe. Come spiega Agustí Colomines, presidente dalla fondazione CatDem, il nazionalismo catalano si propone di essere "un patriottismo di natura civica, basato su valori di appartenenza e di solidarietà tra persone che condividono un'identità, una cultura ed un progetto comune per il futuro".

E' un dato di fatto che l'indizione di referendum in Catalogna e Scozia dimostra come forze politiche "tranquille" e culturalmente aperte siano molto più efficaci per la causa autonomista di quanto non lo siano partiti dai toni "cattivisti" come, ad esempio, la Lega Nord o il Vlaams Belang - che comunque nelle Fiandre ha ormai ceduto la leadership dell'indipendentismo ad un partito moderato e di alto profilo come l'NVA.

Se i nazionalisti scozzesi e catalani riusciranno a vincere i referendum di quest'anno, saranno però chiamati ad un'ulteriore prova di maturità e responsabilità. Gestire tanto sul piano interno quanto su quello dei rapporti internazionali la nuova fase sarà, in ogni caso, delicato e complesso e richiederà una profonda capacità negoziale ed una buona dose di realismo politico.
Certamente, tuttavia, se almeno una delle due vicende indipendentiste avesse un lieto fine, si segnerebbe un precedente fondamentale nella storia istituzionale dell'Occidente.