L’Italia, luogo di conservazione di uno sterminato patrimonio di opere d’arte, continua a farsi depredare di una quantità non esigua di esse. Una questione irrisolta che priva contesti storici e musei di parti di estremo rilievo. Ma che contribuisce ad arricchire le casse delle maggiori organizzazioni criminali, impoverendo lo Stato.

lilli - Copia 2Frank Stokes mostra una diapositiva dell'Abbazia di Montecassino distrutta da un bombardamento. Con questa immagine si apre “Monuments Men”, il film diretto e interpretato da Geoge Clooney con un cast stellare. La pellicola, trasposizione cinematografica del libro omonimo di Robert E. Edsel (The Monuments Men: Allied Heroes, Nazi Thieves and the Greatest Treasure Hunt in History, Ctr Street, pp. 473, Euro 12,87), racconta come, mentre le forze alleate stanno sferrando il loro attacco alla Germania, un gruppo di esperti messi insieme dallo storico dell’arte Frank Stokes con l’autorizzazione di Roosvelt, cerchi di recuperare le opere d’arte che Hitler ha fatto portare via e nascondere in previsione della costruzione del Museo del Fuhrer. Opere d’arte che in caso di sconfitta del Reich sarebbero state distrutte. 

Una storia vera, come quella del Museo Nazionale iracheno di archeologia, a Bagdad, il più importante dello Stato asiatico, che nell’aprile 2003, nel caos seguito all’ingresso delle truppe americane, è stato saccheggiato. La missione dei Monuments Men è stata portata felicemente a termine, con il recupero delle opere, e le collezioni del Museo iracheno sono state ricomposte attraverso la restituzione di gran parte di quanto depredato.

Da Montecassino a Bagdad la storia violenta ha messo tante volte a repentaglio la sopravvivenza di troppi monumenti, decretando l’alienazione di numerosi capolavori. La loro distruzione, in un caso, l’uscita dal pubblico godimento nell’altro. Ma tra i due capitoli “felici”, sono molti di più quelli senza lieto fine, storie terminate con la polverizzazione di edifici di ogni età, e di uguale, grande rilievo o con la “scomparsa” di materiali e oggetti che hanno contribuito al procedere della civiltà umana. Due problemi, quelli relativi alla distruzione e al depredamento che sfortunatamente non hanno a che fare soltanto con il verificarsi di eventi bellici dal momento che proliferano anche in tempo di pace. I due vettori, che viaggiano veloci, su binari paralleli e che producono, insieme, la sostanziale dissipazione del patrimonio culturale sono, da un lato, l'incuria e l'abbandono, dall'altro il commercio nazionale e internazionale di opere d'arte. Dalle razzie napoleoniche ai Musei Vaticani al saccheggio più recente alla Tomba della Medusa ad Arpi, nel foggiano. Dal vaso di Eufronio, alla Venere di Morgantina, strappati all’Italia in scavi clandestini. Dai capolavori provenienti da Villa Adriana, finiti nelle collezioni dei Musei di Berlino, Leningrado, Dresda e Stoccolma, a quelli etruschi andati ad arricchire i musei di mezzo mondo.

Oggi il problema risiede da un lato in una legislazione inadeguata a tutelare beni mobili e immobili.  Poi, in un controllo del territorio da parte delle istituzioni preposte, tanto episodico da risultare del tutto inefficace. E’ così che aree archeologiche e monumenti, nella gran parte dei casi in condizioni di conservazione quanto meno precarie, senza sorveglianza, diventano luoghi di indisturbate ricerche da parte di tombaroli senza scrupoli. Cave di materiali come lo sono stati tanti siti dalla fine del Seicento e poi nel Settecento e, ancora, nell’Ottocento. Certo, è pur vero che a volte sono proprio i tombaroli a rinvenire siti precedentemente ignoti perfino agli addetti ai lavori, ma non può essere circostanza di cui rallegrarsi, dal momento che la nuova scoperta evidenzia prima di tutto la insufficiente conoscenza e l’incerta sorveglianza dell’area da parte dei competenti enti di tutela.

E' quel che si è verificato nelle vicinanze di Roma, tra Genzano e Lanuvio, dove all’interno di alcuni cunicoli scavati nel banco affiorante, dei ladri-speleologi hanno scoperto una stipe votiva in relazione con il santuario di Giunone Sospita. L’intervento della Guardia di Finanza ha permesso che i migliaia di ex voto fittili databili tra il IV e il II secolo a. C. non finissero sul mercato internazionale, provocando l’inizio delle indagini da parte della Soprintendenza archeologica per il Lazio. Nel luglio 2011 un analogo episodio si è verificato nel territorio di Nemi, ancora nell’area dei Colli Albani. Il Gruppo Tutela Patrimonio Archeologico della Guardia di Finanza, con un’azione coordinata dalle Procure della Repubblica di Roma e Velletri, ha recuperato, ad Ostia Antica, una statua colossale in marmo, raffigurante l’Imperatore Caligola in trono. L’accertamento del luogo di provenienza, un terreno nel territorio di Nemi, ha permesso alla Soprintendenza per i Beni archeologici per il Lazio di avviare indagini e quindi di riconoscere l’esistenza dei resti di un edificio termale e di parti, mancanti, della statua. Insomma il trafugamento ha seppure indirettamente consentito di riconoscere un complesso fino ad allora ignoto. 

Il problema del traffico delle opere d’arte riguarda, naturalmente, il Ministero dei Beni e delle Attività  Culturali. Ma anche quello dell’Economia. Perché? La risposta è racchiusa nelle cifre che quel mercato illegale produce: nel 2012 sono stati 78 i milioni di euro che le attività di compra-vendita hanno realizzato, con un +39% rispetto al 2011. Insomma dopo armi e droga il traffico illecito di opere d’arte è stimato come mercato criminale più lucroso. Un bussines che coinvolge il materiale proveniente dal corredo della tomba protostorica come la performance dell’artista contemporaneo.

L’illegalità che si dipana tra scoperta e contraffazione può contare su una serie infinità di opportunità. Proprio per questo è un affare soprattutto per le grandi organizzazioni criminali, come conferma il recente sequestro di 27 opere d’arte nella casa di Fontana di Trevi appartenente all'ex boss della banda della Magliana Ernesto Diotallevi. “Il traffico di opere d’arte è tra i principali guadagni delle mafie”, dichiarava Pietro Grasso quando era ancora procuratore nazionale Antimafia. “I predatori dell’arte e il patrimonio ritrovato. Le storie del recupero” è il nome di una mostra della fine del 2012 nel Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, nella quale sono stati presentati, per la prima volta, alcuni materiali archeologici scelti tra i tremila sequestrati nel 1995 dai Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale al Porto franco di Genova e restituiti allo Stato dopo una lunga battaglia legale, insieme ai documenti che hanno consentito di ricostruire i canali e i meccanismi del traffico illecito, dallo scavo clandestino in Italia all’esposizione nei musei stranieri. L’illustrazione del viaggio compiuto dai capolavori recuperati, esaminando le rotte del traffico illecito che consentivano, subito dopo gli scavi clandestini, l’immediato trasferimento degli oggetti dall’Italia alla Svizzera.

Invece “Capolavori dell’archeologia: recuperi, ritrovamenti, confronti” è il titolo della trentaduesima mostra Europea del Turismo e delle Tradizioni culturali, dedicati ai vent’anni di collaborazione tra l’Arma dei Carabinieri, la Guardia di Finanza e la Polizia di Stato con il Centro Europeo per il Turismo. Tra il maggio e il novembre del 2013 al Museo nazionale di Castel Sant’Angelo sono state esposte opere di pregio nell’intento di illustrare l’importanza del ritrovamento e la ricerca che da questo prende avvio. Permettendo così la ricomposizione di parti smembrate, come accaduto al Kouros detto Apollino Milani del Museo archeologico di Firenze, eccezionalmente ricongiunto con la testa mancante. “La Memoria ritrovata” è invece la mostra nell’ala occidentale del palazzo del Quirinale, aperta fino al 16 marzo 2014, che permette di ammirare oltre alle urne etrusche trafugate nel 2003 dalla tomba dei Cacni a Perugia, un centinaio di capolavori fatti sparire da scavi clandestini o da furti in chiese e musei e recuperati dagli uomini dell’Arma. 

Lo Stato non protegge sempre in maniera adeguata il suo Patrimonio, ma l’opera di contrasto messa in atto dalle forze dell’ordine permette di recuperare una ingente quantità di quel che in precedenza è stato sottratto. Con un impegno di risorse umane ed economiche non da poco, al punto che non sembra azzardato ipotizzare che se quell’impegno a posteriori venisse profuso ex ante, il risultato finale potrebbe essere più soddisfacente. Ancora una volta la sensazione che il vizio iniziale, l’impossibilità di tutelare e sorvegliare in maniera efficace il patrimonio artistico, immobiliare e non, non sia da addebitare esclusivamente alle scarse risorse disponibili. Ma piuttosto, all’incapacità di fare sistema.

Di ritorno a Parigi dalla campagna d’Italia, sul finire del luglio 1796, Napoleone sfilò per le vie della città. Da Austerlitz fino al Campo di Marte il corteo era preceduto dai frutti della razzia. Su grandi carri le due enormi statue del Nilo e del Tevere, rubate al Vaticano, seguite dai quattro cavalli di bronzo di San Marco e ancora dalla “Trasfigurazione” di Raffaello, dalla “Madonna della vittoria” di Andrea Mantegna, dalla “Crocefissione di S. Pietro” di Guido Reni e dalle antiche statue greche e romane provenienti da Napoli e Pompei. L’Italia allora era terra di conquista. Una “espressione geografica”, come si dirà poco dopo, dagli incerti confini nel quale le testimonianze dell’archeologia e dell’arte si offrivano quasi spontaneamente al più forte di turno. Una sorta di supermarket di opere d’arte, che nel Novecento sembrava aver chiuso i battenti. Tristemente, sempre più frequentemente, si avverte la sensazione che siti archeologici e monumenti, musei e chiese, palazzi e luoghi d’arte siano tornati ad essere dei supermarket per nuovi razziatori.