Thatcher Reagan

Dobbiamo prendere sul serio il dibattito sul neoliberismo? L'invito a riflettere sull'argomento arriva da Davide De Luca, che in un lungo articolo sul Post esamina e discute le posizioni in campo e, condividendo le idee dell'economista Rodrick, giunge alla conclusione che quello liberista non sia necessariamente un approccio sbagliato, mentre è un errore "credere che esista un'unica e universale ricetta per migliorare la performance economica".

Personalmente - per quel che vale un'opinione priva di legittimità accademica e quindi di autorevolezza - ho sempre trovato sterile il dibattito sul neoliberismo. Imbastire una discussione sulle "politiche neoliberiste" (definizione che già di per sé è abbastanza un assurdo ossimoro) contrapposte ad altre "pianificate" o "a guida pubblica" come metodi alternativi alla soluzione di problemi economici e sociali sembra poco convincente, se non altro perché prende avvio da un fraintendimento o ignoranza di fondo di ciò di cui si parla: la teoria dell'economia di mercato, formulata a partire dal XVIII secolo da Adam Smith e arricchita e sviluppata nei secoli successivi da Ludwig Von Mises, Friedrich Von Hayek, a Milton Friedman, o dai nostri Einaudi o Bruno Leoni, non ha la finalità di formulare soluzioni di policy a problemi economici o sociali. Il "liberismo", è piuttosto una teoria descrittiva e deduttiva dell'allocazione di risorse scarse in un regime di libertà individuale e di scelte individuali volontarie.

Sotto questo profilo essa presenta interessanti analogie con la teoria darwiniana dell'evoluzione per selezione naturale, la quale non è un modello di evoluzione, ma una spiegazione dell'evoluzione del continuo emergere e differenziarsi di nuove forme biologiche, logicamente dedotta da alcune considerazioni generali: date molecole replicanti, e dato un ambiente mutevole e selettivo, si innesca un processo di evoluzione, differenziazione e innovazione delle 'tecnologie' biologiche. Nella teoria economica liberista sono le forze impersonali della concorrenza e delle scelte individuali, a esercitare un'azione selettiva che identifica e espelle sprechi, privilegi e benefici goduti da alcuni soggetti economici a spese di altri - i famosi pranzi gratis che non esistono - esponendo ogni iniziativa e innovazione di investimento al 'voto col portafogli' di tutti gli altri attori economici. Accade, perché è logico che accada.

D'altronde le forze del mercato non forniscono alcuna indicazione su quali siano le scelte più opportune per aumentare il benessere collettivo o la crescita economica. La "ricetta economica universale" per la società non esiste, giustamente sostiene Rodrick, ma il punto è che il mercato è l'unico processo che consente di vagliare e eliminare gli investimenti sbagliati, senza far pagare a tutta la società le conseguenze. È per questa ragione che la domanda "il liberismo funziona?" è forse mal posta. L'innovazione e la produzione dal nulla di valore aggiunto, e quindi la soddisfazione efficiente dei bisogni degli attori economici, che caratterizzano l'economia di mercato, sono effetti indiretti e non intenzionali dell'incessante selezione operata dalle forze del mercato, che eliminano le attività inutili e premiano provvisoriamente quelle utili, ma non hanno alcun fine predeterminato rispetto al quale funzionare.

Inoltre, le teorie economiche liberali forniscono una spiegazione di come, in un contesto di risorse scarse, possono essere garantite e tutelate le libere scelte individuali di ciascun individuo, mettendolo al riparo da altri che "scelgono per lui", che siano autorità pubbliche o organizzazioni private. E lo fanno molto bene, secondo un metodo scientificamente solido, che permette di formulare predizioni chiare e falsificabili sulle circostanze e le politiche economiche che riducono la libertà individuale, fino ad annullarla. Viene dimostrato chiaramente perché, ad esempio, un regime ad economia pianificata e centralistica, non può evitare, per sopravvivere, di controllare sempre più capillarmente ogni dettaglio dei comportamenti e delle scelte personali dei singoli individui in una società, trasformando lo Stato in un regime totalitario. Le predizioni della teoria economica liberale si sono sempre avverate: i regimi politici che hanno tentato di ridurre o abolire il libero mercato e la concorrenza hanno sempre introdotto restrizioni per le libertà personali, fino alla soppressione dei diritti civili fondamentali, dall'URSS al Venezuela di Hugo Chavez.

Infine c'è il fattore del rischio personale, nesso cruciale tra libertà economica e 'società libera' chiarito dal pensiero economico e giuridico liberale, che il mondo "non-liberista" non prende molto in considerazione. La società "che non esiste" di Margaret Thatcher non è la negazione dei rapporti sociali, dei diritti civili, della cooperazione o della solidarietà. Al contrario è una società dove ciascun attore si assume direttamente i rischi delle sue iniziative economiche (e non, se ha voglia di dedicarsi, ad esempio, alla beneficienza), e ne subisce le conseguenze qualora si rivelino sbagliate andando in bancarotta, trascinando con se creditori, dipendenti e familiari. Ma è questo, appunto, il duro prezzo da pagare per poter vivere liberamente, in assenza di autorità superiori che prescrivono i comportamenti in nome del bene superiore.

La capacità spontanea di assumersi responsabilità, valutare realisticamente i rischi, e mantenere gli impegni dati con i propri interlocutori - in sintesi, la credibilità di un attore economico - è la "polizza" a garanzia della fiducia su cui si regge tutto il sistema di mercato, senza la quale nessuna misura repressiva e punitiva esercitata da un'autorità sarebbe davvero efficace. Per questa ragione, l'economia libera tende a incentivare comportamenti responsabili anche in assenza dello spauracchio della punizione giudiziaria, mentre le economie fondate sulla pianificazione esercitata da una 'infallibile' autorità pubblica, tendono a incentivare comportamenti volti a "catturare" la stessa autorità, ingraziandosene i favori, socializzando i costi su chi non è altrettanto abile in questa attività.

Il liberismo non è dunque una dottrina di politica pubblica, ma una teoria logica e ben strutturata che aiuta a comprendere fenomeni economici concreti e diagnosticare le ragioni specifiche di crisi gravi e globali, come quella iniziata nel 2008, con il fallimento della banca americana Lehman Brothers, spesso indicato proprio come "inizio della catastrofe'" generata dalle politiche neoliberiste. Ma se si entra nel merito di ciò che è accaduto, non si ha difficoltà a sfatare questa infondata narrazione.

Le cause della crescita esponenziale di debito finanziario privato e pubblico sui mercati internazionali - fino alla grave esplosione del 2008 - può essere individuata nella progressiva distorsione degli indicatori che consentono agli attori economici operanti sui mercati una realistica attribuzione dei rischi di investimento, conseguenti ad anni di politiche monetarie espansive (tassi d'interesse tendenti a zero), e garanzie monetarie e fiscali pubbliche al settore creditizio, capaci di creare l'illusione della possibilità di un indebitamento indeterminato senza rischi.

Ma la corretta valutazione del rischio è il fattore essenziale per il corretto funzionamento della società liberista (ci piace di più chiamarla "libera") dove attori responsabili si dedicano allo scambio volontario. Quando questo fattore viene meno, si entra nell'era delle bolle finanziarie, delle banche too big to fail, delle vertiginose spirali di indebitamento pubblico e privato, e delle spietate politiche di austerità fiscale sulla pelle di cittadini e imprese al prezzo di impoverire cittadini, distruggere attività produttive e azzerare i flussi di investimento in economia reale, politiche intraprese nel tentativo disperato e frenetico di scongiurarne la deflagrazione in fallimenti sistemici capaci di spazzare via l'economia mondiale.

Più che nell'era del neoliberismo sarebbe quindi forse più corretto affermare che viviamo in quella delle "debt-democracies", dell'indebitamento selvaggio scatenato da garanzie e interventi di decisori pubblici e politici (vedere le banche italiane in questi giorni, o Paesi Ue che hanno finanziato i loro sprechi e indebitamenti per anni grazie ai bassi tassi di interesse portati in dote suo malgrado dalla Germania in seguito alla creazione della moneta unica). Il mercato e la concorrenza, in questo scenario, più che i carnefici, sono forse le più importanti vittime, ed è un problema per tutti.