Raffaello LeoneX

Sabato scorso è andata in onda su Radio Radicale una puntata della trasmissione intitolata “Maestri” durante la quale il giornalista Vittorio Emiliani ha illustrato la figura di Raffaello puntando specificatamente l’attenzione sulla sua esperienza da Soprintendente nella città di Roma. Partendo dal racconto di quell’esperienza ed in particolare dalla lettura della lettera che Raffaello indirizzò a papa Leone X - nella quale venivano posti all’attenzione del pontefice i gravi danni che nel corso degli anni erano stati inferti al patrimonio monumentale della città di Roma - Vittorio Emiliani offre un’ampia ricostruzione delle vicende che hanno portato all’introduzione, in Italia, delle norme di protezione del patrimonio storico-artistico e del paesaggio negli anni ‘30 (la legge n. 1089 del 1939 e la legge n. 1497 del 1939).

Come qualsiasi ricostruzione storica militante, anche quella proposta agli ascoltatori di Radio Radicale da Vittorio Emiliani si è misurata, in conclusione, con l’oggi e con il passato più prossimo. È opportuno soffermarsi sugli ultimi dieci minuti della trasmissione. Si tratta di una rappresentazione esemplare del modo nel quale le cosiddette élite - e conseguentemente i media che offrono la tribuna - raccontano il paese e specialmente tutto quello che riguarda la gestione delle città, del patrimonio storico-artistico e dei beni naturali e paesaggistici.

Ogni occasione torna utile per segnalare che il “piccone demolitore” non è stato sepolto insieme a Benito Mussolini e per dire che con la modifica del quadro normativo all’ordine del giorno si deve necessariamente intonare il “de profundis” per qualsiasi attività di tutela e/o valorizzazione del patrimonio storico-artistico e della cultura nel suo complesso. Il fatto che i cantori nostrani della bellezza di un tempo che fu - e di disastri e sciagure che non avvengono - non espongano prove, numeri e concrete dimostrazioni di quel che avevano previsto e che di volta (pre)vedono, non sembra contare molto. A loro, infatti, non si nega mai un’intervista, o più giustamente una tribuna. Ed ai più ambiziosi e poliedrici come Tomaso Montanari - cultore della storia dell’arte, dell’urbanistica di rito berdiniano ed anti-consumistica (di suolo) e del diritto costituzionale - non solo e non tanto l’assessorato alla Cultura del Comune di Roma, come sognava Massimo D’Alema, ma un ruolo di rilievo in quel “governo del cambiamento” che nella primavera del 2018, dopo cinque anni di renzismo (ben peggio del ventennio berlusconiano come dice Vittorio Emiliani), sarà presentato come ancor più indispensabile e necessario per il paese di quanto non lo fosse nel 2013.

Tornando alle parole di Vittorio Emiliani, ecco la trascrizione degli ultimi dieci minuti della trasmissione:

“(…) Purtroppo con l’avvento dei governi Berlusconi si è invece tentato spesso di privatizzare in maniera surrettizia, di vendere i beni storico-artistici creando con Tremonti addirittura una società per azioni, la Patrimonio Spa, due condoni edilizi ed uno ambientale. Sii è aggredito davvero in maniera spaventosa il paesaggio perché ad ogni condono si riaccende l’abusivismo in tutte le regioni ma soprattutto in regioni già massacrate che sono Campania la Calabria e la Sicilia, come dimostrano gli incendi appiccati di questi giorni che sono spesso il frutto non di piromani esaltati pazzi, ma di manovali della criminalità che bruciano aree dove a volte vogliono essere realizzati dei pascoli ma soprattutto per creare le premesse di nuove grandi speculazioni edilizie nelle zone più belle del paese che sono quelle dei parchi così poco tutelati.
Durante il periodo berlusconiano assistiamo a questi tentativi di stravolgimento delle leggi esistenti a cominciare dalla legge Galasso sui piani paesaggistici del 1985, realizzata soltanto in parte, e ad un dissanguamento dei finanziamenti per il Ministero (…) finché si arriva a Renzi che peggiora la situazione perché Renzi, come sindaco, è stato stoppato dall’autorità e dall’autorevolezza della cultura in generale e della soprintendenza fiorentina in particolare che non gli ha consentito di raschiare nel Salone dei Cinquecento il famoso affresco di Giorgio Vasari perché riteneva - lui - che sotto ci fosse la battaglia di Anghiari di Leonardo. In realtà non c’era nulla, però il fatto che gli è stato impedito di effettuare - dopo che alcuni saggi avevano dimostrato che non c’era nulla - un raschiamento generale. Lui se l’è presa in maniera furente con la Soprintendenza che non gli ha fatto ricostruire in stile la facciata della chiesa di San Lorenzo che ha il fascino del non finito da cinque secoli, dove ci sono le tombe dei Medici. (La stessa Soprintendenza) gli ha contestato l’affitto - tra l’altro anche per pochi euro - per una notte intera di un passaggio pubblico quale è il Ponte Vecchio per una festa della Ferrari. Si afferma questa concezione che la cultura deve rendere soldi, che i musei devono rendere soldi e dice (Renzi) nel suo libretto - ambiziosamente intitolato Stilnovo - che Soprintendente è una delle parole più brutte di tutto il vocabolario della burocrazia, è una di quelle parole che suonano grigie scritte (…) soprintendente de che? Chiude con grande eleganza formale. La cultura non può reggersi su un sistema organizzativo dell’800, in realtà è del 1907, e non possono essere le soprintendenze al centro di tutto ciò, le soprintendenze che sono un assurdo potere monocratico che non risponde a nessuno, ma che passa sopra chi è stato eletto dai cittadini. Vorrei vedere il grande chirurgo che decide un’operazione non con la sua equipe ma sentendo il presidente dell’ospedale o l’assessore alla sanità regionale.
Sono veramente confusioni sottoculturali gravissime e purtroppo da questa impostazione il ministro Franceschini ha derivato una riforma dei beni culturali e del paesaggio che ha previsto, in attuazione, la separazione secca dei musei dal loro territorio che ha sempre alimentato i musei in particolare quelli archeologici che senza il loro territorio non vivrebbero. Doveva proporre la separazione tra tutela e valorizzazione quindi tra Soprintendenze e musei creando nell’apparato dello Stato una confusione e una paralisi incredibile, ha ridato qualche lira in più ma mica tanto, siamo allo 0,25% del bilancio e siamo al terz’ultimo quart’ultimo posto in Europa prima soltanto della povera Grecia e della Romania dietro tutti. Spendiamo almeno 4 o volte meno della Francia che ha un patrimonio molto inferiore al nostro.
Addirittura secondo questa riforma criticatissima del Ministro Madia le sovrintendenze dovrebbero finire - separate dai poli museali - sotto i prefetti, cioè sotto l’autorità di polizia. Veramente siamo alla follia pura e quindi tornano in mente quelle parole straordinarie di Raffaello sulla necessità di conservare tutto dell’antico, di non manomettere più nulla, di non sfregiare più nulla, di attuare un confronto con gli antichi vivo e continuo al fine di poterli eguagliare o magari superare con nuovi edifici, di nutrire e favorire le virtù, di risvegliare gli ingegni, dar premio a virtuose fatiche qui e oggi (…)”.

La possibilità di esprimersi liberamente va assicurata a tutti, ma dai “maestri” - e Vittorio Emiliani, parlando di maestri del passato a Radio Radicale, sembra ergersi a questo ruolo - è lecito pretendere una ricostruzione dei fatti esposti che sia corrispondente al concreto dispiegarsi degli eventi ed al significato che va attribuito alle parole. Da questo punto di vista appare poco magistrale - nel senso di “da maestro” - la connessione tra l’abusivismo ed il condono edilizio, tra gli incendi appiccati da manovali della malavita organizzata e le speculazioni edilizie all’interno di aree protette.

Un giornalista come Vittorio Emiliani dovrebbe conoscere bene sia la normativa che trova applicazione rispetto ai terreni attraversati dal fuoco - non a caso non risulta che nella parte della pineta di Castel Fusano andata in fumo nel 2000, come in molte altre aree bruciate, siano state o stiano per essere realizzate una struttura turistica o delle palazzine – ma forse sull’argomento la sua fonte è Roberto Saviano. Allo stesso tempo dovrebbe essere tenuta ferma la differenza tra un abuso edilizio - che può essere sanzionato anche penalmente - e la realizzazione di un'operazione immobiliare che, ancorché possa essere considerata una “speculazione edilizia”, resta un'attività lecita, alle condizioni e con le modalità previste dal nostro ordinamento, e non un affare che, stando a quanto detto durante la trasmissione radiofonica, sembrerebbe riguardare necessariamente ed esclusivamente la criminalità organizzata.

Allo stesso tempo Vittorio Emiliani dovrebbe sapere - e conseguentemente informare chi lo ascolta - che durante i governi Berlusconi non si è assistito ad uno stravolgimento delle norme vigenti in materia di protezione del patrimonio storico-artistico e del paesaggio. Durante il governo Berlusconi, con il Ministro Giuliano Urbani, viene predisposto ed approvato il Codice dei beni culturali e del paesaggio, intervenendo sul Testo unico dei beni Culturali di Giovanna Melandri senza toccare - e men che meno stravolgere - le disposizioni contenute nelle citate leggi n. 1089 e n. 1497 del 1939 ed integrate con la menzionata legge Galasso, con le quali vengono individuati i beni (culturali e paesaggistici) da conservare e proteggere.

Con il Codice Urbani si è piuttosto confermata e consolidata un’impostazione, alla quale si ispira la suddetta legge Galasso, concernente la tutela del paesaggio - che ne rende evidente il particolare rilievo che ha nel nostro ordinamento - in base alla quale le Regioni ed il Ministero dei Beni Culturali sono pienamente coinvolti sia nella predisposizione degli strumenti di gestione dei vincoli (le dichiarazioni di notevole interesse pubblico ed i piani paesaggistici) sia nel rilascio delle autorizzazioni. Tutto ciò nel tentativo di mettere riparo e correggere le inefficienze ed i guasti connessi al primo processo di delega alle regioni avviato negli anni '70 con il noto D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616 (art. 82).

Per quanto riguarda la svendita dei beni storico-artistici è noto a chi conosce la vicenda che la sdemanializzazione e la possibilità di vendere erano necessariamente subordinate all'accertamento, di competenza delle strutture del Ministero dei Beni Culturali, dell'insussistenza dell'interesse culturale del bene da vendere e/o conferire alla richiamata Patrimonio Spa. In una trasmissione che dura più di mezz'ora ci sarebbero stati tempi e modi per fornire questa informazione - e, perché no, per spiegare anche quanti e quali beni storico-artistici sarebbero stati alienati dallo Stato in quegli anni.

Altrettanto poco magistrale appare il tentativo di stabilire un nesso di causalità tra le divergenze tra Matteo Renzi e la Soprintendenza di Firenze - a parte la difficoltà a credere che l’allora sindaco di Firenze volesse comunque raschiare l’affresco del Vasari anche dopo che le verifiche avevano evidenziato che non ci fossero più tracce del sottostante affresco di Leonardo, ovvero senza che le suddette verifiche venissero effettuate - e la riforma, o meglio le due riforme, del Ministero dei Beni Culturali effettuate in questi anni.

Un buon maestro spiegherebbe che le riforme del Ministro Franceschini potranno essere valutate in modo ponderato tra qualche anno guardando ai risultati che verranno raggiunti (lo stato di conservazione dei beni, l’adeguatezza dei processi di valorizzazione, l’efficienza e l’efficacia delle forme di gestione e dei meccanismi di finanziamento previsti) non certo facendo un processo sommario - molto sommario - alle presunte intenzioni che ne avrebbero ispirato il disegno ed attribuendone la genesi e la paternità ad uno spirito di rivalsa del presidente del consiglio Matteo Renzi.

Che dire, poi, del passaggio nel quale, riferendosi alla cosiddetta riforma della Pubblica Amministrazione del Ministro Marianna Madia, Emiliani compie due operazioni davvero poco magistrali? Scambia il prefetto per il questore - visto che, come è noto, è quest’ultimo l’autorità di pubblica sicurezza (e dunque la vera e propria autorità di polizia) - ed espone una sintesi sommaria e del tutto incomprensibile dell’articolo della legge delega per la riforma della Pubblica Amministrazione riferito alla riorganizzazione dell’amministrazione dello stato (quella centrale, quella periferica e quella delle Prefetture-Uffici territoriali del Governo).

Con l’articolo n. 8 della legge n. 124/2015 al Governo è stata conferita la delega - peraltro sino a questo momento non ancora esercitata - per procedere alla riorganizzazione dell’amministrazione dello Stato ed in particolare l'amministrazione centrale, quella periferica e le Prefetture Uffici Territoriali del Governo. La legge delega prevede letteralmente che l’attuale Prefettura venga trasformata in "Ufficio Territoriale dello Stato, quale punto di contatto unico tra amministrazione periferica dello Stato e cittadini", e che i Prefetti - sul modello di quanto accade in Francia - svolgano funzioni di direzione e coordinamento dei dirigenti degli uffici facenti parte dell'Ufficio territoriale dello Stato con l’eventuale esercizio di poteri sostitutivi, tenendo comunque ferma “la separazione tra funzioni di amministrazione attiva e di controllo, e di rappresentanza dell’amministrazione statale”.

L'articolo n. 8 della legge delega prevede, infine, che con i successivi decreti delegati tutti gli uffici periferici delle amministrazioni civili dello Stato (anche le Soprintendenze) vengano fatti confluire nell'ufficio territoriale dello stato, definendo i criteri (non la semplice subordinazione gerarchica richiamata apoditticamente da Vittorio Emiliani) per l'organizzazione dell'Ufficio territoriale dello Stato e, dulcis in fundo, individuando la "dipendenza funzionale del prefetto in relazione alle competenze esercitate".

In altre parole, il decreto delegato avrà anche il compito di stabilire da chi ed in che modo il capo del nuovo Ufficio Territoriale dello Stato (il prefetto) dipenderà a seconda delle diverse funzioni da svolgere. Tecnicismi e dettagli - peraltro non ancora noti, visto che, come si diceva, la delega non è stata ancora esercitata - a parte, tutto ciò non può essere, in ogni caso, sintetizzato dicendo, per giunta all’interno di una trasmissione che, come già segnalato, è durata più di mezz’ora, che le Soprintendenze finiranno sotto i prefetti e dunque sotto l’autorità di polizia.

Il magistero di Raffaello è indubbio. Molto meno magistrale appare, invece, il tentativo di chi – come Vittorio Emiliani - sembra richiamarne l’importanza non solo per dare prova della sua sensibilità e della sua cultura alle orecchie di chi lo ascolta, ma anche e soprattutto al fine di fornire una ricostruzione caricaturale di alcune esperienze di governo e di processi legislativi di riforma (avvenuti e/o ancora in corso), e di far trasparire un'immagine, totalmente deformata, del sistema che disciplina la conservazione dei beni (culturali e paesaggistici) e l’effettiva applicazione delle norme di gestione delle plurime forme di tutela (vincoli) previste dall’ordinamento.