Butterfly Scala

Il successo di Madama Butterfly alla Prima della Scala è la rivincita di Giacomo Puccini sul fiasco totale della prima dell’opera, proprio alla Scala, nel 1904, quando questa venne accolta (da una lettera dell’editore Giulio Ricordi) con 'grugniti, boati, muggiti, risa, barriti, sghignazzate', in verità anche a causa di un astio preventivo nei riguardi del compositore lucchese: hanno 'pagato' la scelta di Riccardo Chailly di riproporre la prima versione e non quella successiva, che ha fatto di Madama Butterfly la sesta opera più rappresentata al mondo, e la regia conservativa di Alvis Hermanis, con poco spazio a innovazioni e infedeltà.

Ma il 7 dicembre Milano e l’Italia ridiventano anzitutto la città e il Paese del Teatro alla Scala, il secondo brand italiano più noto al mondo (dopo la Ferrari): un evento di massima importanza non solo sul piano cultural-musicale ma anche del riconoscimento internazionale della città e del Paese. L’incasso della Prima del 2016 ha sfiorato i due milioni di euro con un indotto circa di altrettanto, e un’intera stagione genera un indotto “diffuso” di cinquanta milioni.

La Scala è un esempio virtuoso di impresa dello spettacolo: nel 2011 i ricavi si sono attestati su quasi 114 milioni, circa il doppio del secondo ente lirico italiano (l’Arena di Verona), ma non solo: stando a una ricerca della Bocconi, la Scala e l’Arena (unici in Italia) condividono un’eccezionale attitudine ai ricavi propri (botteghino e altre attività artistiche), pari al 40% di quelli totali per la Scala e al 55% per l’Arena.

Tutti gli altri enti lirici fanno molto peggio: il “migliore” è il Maggio Fiorentino, che ricava il 28% del totale dalle attività artistiche. Il resto dei ricavi arriva da contributi di enti pubblici e dei soci privati della fondazione, da donazioni e dal cinque per mille. La quota di contributi pubblici genera, secondo la Bocconi, un indotto di 2,7 volte sia sul turismo sia sul tessuto d’impresa (un ottimo investimento, dunque).

I dati più recenti confermano questa ricerca, anche se quelli del 2015 non sono da prendere in considerazione perché hanno subìto l’effetto Expo. Ancora sui dati del 2014, comunque, la Corte dei Conti si è pronunciata inequivocabilmente: "La sintesi dei dati esposti qualifica la Fondazione (la Scala, n.d.r.) come un unicum nel panorama lirico-sinfonico italiano". Ed effettivamente la Scala compete, a livello gestionale, più che altro con i suoi “pari” europei.

Tornando al 2011, la ricerca della Bocconi mostra che il “sistema” dell’Opéra National de Paris ha ricavato 197 milioni (contro 114) con una capienza complessiva più che doppia (5508 contro 2013) e un numero impressionante di alzate di sipario (702 contro 319), ma con una quota di contributi pubblici maggiore della Scala (54% dei ricavi contro 41%) e meno ricavi di botteghino (8% contro 12%).

La prima della Scala è stata una scommessa vinta anche televisivamente, con la diretta su Rai 1 al 13,48% di share medio e 40 minuti di tempo medio per spettatore: il miglior risultato di sempre in Italia per l’opera in tv. Il “virus” dell’opera lirica di cui parlava il sovrintendente Alexander Pereira (“basta che per dieci secondi la musica entri nei cuori degli spettatori”) non è però così facile da trasmettere in un’epoca in cui la musica classica è sostanzialmente estranea alla cultura musicale di massa.

A Milano, da tempo, con l’iniziativa “Prima Diffusa” si cerca di riavvicinare la città al suo teatro, proponendo la diretta della rappresentazione in teatri di quartiere, centri culturali periferici e addirittura cortili condominiali e carceri, e la Scala stessa è impegnata a rendersi di nuovo protagonista del fermento culturale meneghino, ad esempio con l’opera per i bambini, con biglietti scontati o con promozioni per assistere alle prove.

Il recupero della funzione aggregativa che da sempre ha il teatro, non solo musicale, è il primo passo su cui puntare per valorizzare la musica nell’immagine e nella promozione turistico-culturale della città e, indirettamente, del Paese stesso. La Scala, infatti, “fa notizia”, nel senso che la sua Prima viene ripresa dai mass media di tutto il mondo e, anche nel resto dell’anno, i “cloud” delle ricerche su Google relativi al nostro Paese vedono i termini attinenti con la musica ai primi posti (Scala, ma anche Verdi, Barenboim e altri ancora).

L’editore Giulio Ricordi, nel 1885, da consigliere comunale dovette difendere la Scala da ipotesi di ritiro del finanziamento comunale, ricorrendo ad argomentazioni attuali: l’indotto economico e la centralità mondiale del teatro scaligero. "Vediamo che in Italia non si abbandoni il mondo dell’opera", concludeva l’editore-consigliere. Oggi non è più in discussione il finanziamento pubblico (nel 1897, pochi lo sanno, la Scala “chiuse” per mancanza di questa voce di bilancio) ma, nel frattempo, la musica classica è – dicevamo – quasi “espulsa” dalla cultura di massa, e questo comporta il rischio di smarrire quello che invece resta uno dei principali volani di attrazione del Paese al di là di grandi eventi (da Expo alle Olimpiadi) che, oltre ad essere controversi per il “conto economico”, producono attrattività limitata nel tempo.

L’occasione della Prima del 7 dicembre può farci riflettere sul patrimonio immateriale rappresentato dalla tradizione musicale e sui modi per valorizzarlo ogni giorno dell’anno. In un mondo globalizzato questo significa anche sostenere il confronto cui sono sottoposte la Scala e le altre eccellenze musicali italiane fuori dai confini: confronto che sempre più è uno scambio di esperienze e di ospitalità. Occorre promuovere la musica come risorsa fondamentale del territorio, cui è connessa da un forte legame simbolico ed artistico, esattamente come si fa per le altre forme d’arte e per il made in Italy.

Dentro i confini, occorre maggiore impegno verso l’educazione musicale e il sostegno alle attività musicali, affinché i nostri connazionali non dimentichino questo legame e se ne facciano sempre più ambasciatori nel mondo. L’invito di Ricordi a non abbandonare l’opera (e la musica) è quanto mai attuale.