escher day and night

Dopo il grande successo di pubblico nelle precedenti tappe di Roma, Bologna e Treviso, lo scorso 24 giugno ha inaugurato a Milano, nella sede di Palazzo Reale, la mostra di un artista molto noto al grande pubblico: Maurits Cornelis Escher (1898- 1972). 

La mostra, che proseguirà fino a fine gennaio 2017, si preannuncia senz’altro un buon affare dal punto di vista dei biglietti venduti. Pochi artisti, infatti, sono noti al pubblico come Escher, anche se, a volte, il pubblico stesso non lo sa. Le immagini nate dalla fervida fantasia dell’artista olandese, sono infatti talmente popolari e universalmente note, da essere ormai saldamente entrate nell’immaginario collettivo.
Innumerevoli le citazioni che sono state fatte del suo lavoro. Da Harry Potter a Salvatores, fino allo storico Labyrinth e a un disco dei Pink Floyd, per citare solo alcuni esempi cinematografici. Ma spopolano anche i gadget, penne stilografiche, quaderni, francobolli, poster e altro ancora. Insomma, l’opera di Escher si presta a decorare vari tipi di oggetti, e piace sempre. Perché?

Una prima risposta è immediatamente comprensibile. La caratteristica dell’opera di Escher è il suo riferimento alla scienza e alla matematica. Prospettive impossibili, geometrie non euclidee, tassellazioni e altre sperimentazioni più o meno ardite danno vita, nei suoi lavori, a immagini che procurano un leggero, ma innocuo shock nel fruitore.

Ecco che morte forme geometriche prendono vita, si fanno un giro in salotto e poi tornano, buone buone al loro posto. Visioni irreali sembrano improvvisamente tangibili e il movimento, infinito, ci porta a fare una passeggiata nel mondo surreale, per poi però ricondurci placidamente al punto da cui eravamo partiti. E da cui, volendo, possiamo partire di nuovo, per fare esattamente lo stesso giro. Le opere di Escher stupiscono, paiono aprire una breccia nel mondo della fantasia e dell’irreale, ma poi dopo un lungo giro solo apparentemente avventuroso, ci riportano da capo, al punto di partenza in un falsche Bewegung degno di Wim Wenders.

L’idea insomma, è quella di non capirci più niente. Il disorientamento è reso ancora più inquietante dalla implacabile regolarità e geometrizzazione dello spazio, che non lascia mai alcun vuoto, e quindi preclude ogni anche ipotetica via di fuga. Ecco che allora l’infinito puramente matematico e rigidamente geometrico si rivela un’illusione. Il labirinto, che appare come un gioco divertente, era una prigione e chi vi cade non ne può uscire più, a meno di smettere di prestarsi al gioco, probabilmente con un salto degno di Indiana Jones o di Kierkegaard, a seconda dei gusti.

A parte la facile battuta per cui il mondo – prigione resistente al cambiamento di Escher fa venire in mente certe brutte abitudini della politica nostrana (dalle convergenze parallele di morotea memoria, fino alle atmosfere da “a volte tornano” del Partito Democratico), la domanda può essere un’altra. A quale piacere risponde un tale sentimento di spaesamento, falso infinito e falso mutamento, per godere di tanta fama presso il pubblico? È davvero, scherzi a parte, un lugubre segno dei tempi?

Forse la ragione riguarda l’umano-troppo-umano piacere di perdersi, di farsi portare avanti e indietro e incantarsi in un gioco senza fine. Senza rischi però. La cosa infatti finisce tragicamente per somigliare ad una trappola, dove una sola cosa è certa: il cammino è stabilito e se il ritorno è sempre certo, è altrettanto certo che di lì non sarà mai possibile muoversi se non su un percorso già segnato. Impossibile dunque, perdersi realmente. Si ha l’illusione di muoversi e di evolversi, ma ogni gesto è sempre, immancabilmente, reversibile. Quindi non succede mai nulla.

Tutto poi avviene in una totale assenza di sentimento e di pathos, cosa che accentua il senso di soffocamento. La fredda regolarità è infatti utile a spezzare e rendere innocuo ogni movimento che apparentemente essa stessa fa credere, metaforicamente, di promuovere. E non siamo noi quelli, oggi, le cui molte speranze di cambiamento troppo spesso sembrano avvilupparsi su se stesse e entrare in labirintici giochi di palazzo, quasi senza via d’uscita. Ma la vera domanda è ancora un’altra. Com’è che tutto questo, alla fin fine, ci piace?

Eppure l’arte – almeno lei - dovrebbe fare esattamente l’opposto. Dovrebbe mettere in testa dubbi, costringere anche solo per un momento a cambiare prospettiva e allenarci a rendere flessibile e sveglio il nostro sguardo sulle cose e sulla vita, fino a renderlo libero e il più possibile indipendente. A proposito di riferimenti pop, viene in mente una canzone dei Subsonica di qualche anno fa. La paura del diverso a volte è paura del possibile, o meglio: è paura che diverso sarebbe anche possibile.

Diremmo allora che Escher piace perché incarna una paura e insieme ha su di essa un effetto tranquillizzante. La prospettiva gattopardesca, per cui si cambia tutto per non cambiare niente, ha sempre un effetto incredibilmente rassicurante, ahimè, sulle coscienze. Basta rinunciare a un futuro diverso, a una sana per quanto sofferta metamorfosi, e il gioco è fatto.

In apertura: Maurits Cornelis Escher, Giorno e notte, Febbraio 1938. Xilografia, 39,1x67,7 cm. Collezione Giudiceandrea Federico All M.C. Escher works © 2016 The M.C. Escher Company. All rights reserved