Floating piers

Nell’Italia appena travolta dal vortice pentastellato, che tra entusiasmi e perplessità vince ovunque i ballottaggi con percentuali bulgare, in quel del Lago d’Iseo un artista, ironia della sorte bulgaro anche lui (ma solo d’origine), prova a sperimentare l’impossibile.

In ambito artistico è il fatto del momento. Tutti ne parlano, tutti ci vogliono andare. Indipendentemente dall’interesse che viene rivolto abitualmente al mondo dell’arte e della cultura, indipendentemente da quanto ci si interessi o disinteressi di arte contemporanea, oggi non c’è italiano che non muoia dalla voglia di andare a provare sulla sua pelle che cosa vuol dire camminare sulle acque.

Stiamo parlando dell’installazione di Christo e Jeanne Claude (sì, già, non tutti si ricordano che c’è anche lei. Come si legge nel sito ufficiale dell’opera, l’idea originale del lavoro nacque infatti dai due artisti insieme negli anni settanta, ben prima della morte di lei) che fino al prossimo 3 luglio sarà visibile, e soprattutto percorribile, lungo il Lago d’Iseo. Inaugurata ufficialmente lo scorso 18 giugno, l’installazione si chiama The floating piers, letteralmente "i pontili galleggianti", ed è un affascinante esempio di land art.

Visivamente, con l’aggiunta dell’ambientazione acquatica, il pontile di Christo ricorda il sentiero di mattoni gialli del Mago di Oz, anche se non conduce alla Città di Smeraldo. Si tratta di un lungo pontile giallo oro, che letteralmente si srotola sul lago per un lungo percorso che conduce il pubblico a piedi da Sulzano fino al Monte Isola, e da lì all’isola di San Paolo.

Costata mesi di lavoro e una dettagliata progettazione tecnica e architettonica, l’installazione consente come per magia un gesto che normalmente non è accessibile agli umani: camminare sulle acque. Ma, soprattutto, con questo stesso gesto incredibile, dagli evidenti rimandi simbolici e persino religiosi, permette a chi intraprende il cammino di guardare il paesaggio da una prospettiva inusuale. Appunto, potenzialmente impossibile.

Nel lavoro di Christo emergono almeno due caratteristiche. Per prima cosa, e come ogni buon esempio di land art, l’opera si gioca principalmente nel proprio rapporto fisico e concreto con il territorio che la ospita. Territorio nel senso effettivo, perché si tratta evidentemente di un’opera d’ingegneria, e anche nel senso strategico del rapporto con gli enti locali che ne hanno consentito e promosso la realizzazione. Ma, ancora, l’opera interagisce anche e soprattutto con il territorio anche nel senso del tessuto sociale che la accoglie e le dà vita concreta.

In questo senso, con The floating piers Christo ci dice che cosa l’arte potrebbe fare per noi, molto al di là dell’innegabile effetto turistico e ludico immediatamente percepibile.

Ponendoci fisicamente a guardare le cose da un punto di vista altrimenti impossibile, l’opera d’arte permette di allargare la nostra visione del mondo, magari prendendo in considerazione situazioni e prospettive non subito evidenti, che altrimenti sarebbero rimaste nascoste. Fuori di metafora, mentre percorriamo il cammino sulle acque, fisicamente possiamo vedere il lago e il paesaggio da un punto di vista a cui non siamo abituati e che quindi potenzialmente provoca reazioni diverse: curiosità, meraviglia, stupore o anche paura.

Mentre questo accade, però, impariamo anche che forse, qualche volta, anche le situazioni con cui abbiamo a che fare quotidianamente, e la stessa vita, si comportano come quel paesaggio. In altre parole: esistono punti da cui non siamo abituati a guardare il mondo, esistono altre prospettive possibili.

Nei casi migliori l’arte inventa dal nulla una dimensione poetica, con cui però possiamo concretamente misurarci. E lo fa invitandoci a dare un nome alle cose che sono sempre state lì, ma che per noi non esistevano, semplicemente perché non eravamo capaci di vederle o non avevamo prestato loro sufficiente attenzione.
Perciò l’arte ha sempre a che fare con il territorio, soprattutto quando lo svela e lo trasforma in maniera creativa.

Così, con il suo sentiero dorato, Christo ci conduce passo passo a sperimentare una visione nuova e diversa. Questa visione però è sempre solo nostra, e non risente dell’influenza dell’autore. L’artista non ci dice che cosa dobbiamo guardare o pensare mentre camminiamo sul lago. La sua mano non conduce lo sguardo, ma semplicemente offre l’occasione di sperimentarne uno diverso.

Segui il sentiero dorato, diceva la strega a Dorothy appena giunta nel magico Mondo di Oz, in un racconto denso di simboli psicologici. Nella favola il sentiero dorato è un percorso di crescita prima di tutto interiore, alla fine del quale le illusioni tossiche svaniscono e l’io ritrova il proprio sé. In modo analogo, con il suo sentiero tracciato sulle acque, Christo dà vita ad un percorso poetico che induce a cambiare prospettiva. Ma soprattutto, suggerisce che cambiare prospettiva, appunto, è sempre possibile.

Un suggerimento prezioso e un insegnamento da tenere presente, soprattutto in tempi in cui il cambiamento è percepito come una profonda esigenza sociale. Non perché sia il caso di fare i miracoli e magari imparare a camminare sulle acque, ma perché, più banalmente, proviamo a scommettere che con l’inventiva e la concretezza di un progetto ben congegnato, passo dopo passo, possiamo trovare il modo di dare consistenza almeno ad alcuni dei nostri sogni.