Non sarà la retorica del "ricambio" a salvare l'Italia. Per uscire da questa lunga crisi politica, e  per tornare a essere un paese normale, non servono asfaltatori e apriscatole, né l'esercizio dell'indignazione fine a se stessa, ma "accountability", trasparenza e responsabilità. 

Il declino della politica si è reso evidente nel corso degli ultimi anni e non solo agli osservatori più attenti. La crisi di rappresentatività dei partiti, la loro incapacità a raccogliere e farsi portatori negli ambiti a ciò preposti delle istanze dell'elettorato, unitamente agli scandali che negli ultimi anni ne hanno costellato l'attività e minato la credibilità, indistintamente, hanno indotto una progressiva disaffezione nei riguardi delle pubbliche istituzioni e di coloro i quali operano in esse.

Diverse sono state le reazioni politiche a tale processo, per dare riscontro al malessere collettivo che si andava manifestando. Del movimento nato per convogliare il disagio diffuso e far sì che acquistasse un peso nello scenario elettorale è inutile parlare, dato che non sembra esso sia servito ad altro che a rendere di pubblica evidenza e quantificare l'indignazione della gente. Altre cose non sembra averne concretamente fatte. Può invece svolgersi qualche riflessione su coloro i quali si sono proposti elementi propulsivi di un auspicato fattivo rinnovamento. Partendo dal presupposto che gli schieramenti tradizionali così come gli attori precedenti avessero fallito, disattendendo il mandato a essi affidato, costoro hanno fatto scaturire la conseguenza che fosse necessario venisse lasciato il posto a esponenti di generazioni successive, "nuovi" anagraficamente. Questi ultimi, in quanto non contaminati dalle logiche del passato, avrebbero di certo espresso energie, entusiasmo e mentalità adeguata alle nuove sfide, operando meglio di quelli che avevano preceduti. Così hanno chiuso il cerchio del ragionamento.

Al momento, non è dato avere alcun riscontro della fondatezza di quanto esposto. Difficile è il cambiamento in un contesto ove la stabilità coincide con l'immobilismo, ove il rifiuto dell'evoluzione che è insita nell'idea stessa di progresso tutela ogni posizione precostituita dallo squilibrio fisiologicamente indotto dalla ricerca di un nuovo e più efficiente assetto. Così si mantiene tutto fermo per assicurare la tenuta del sistema e ciò lo si definisce solida compattezza, o "larghe intese", che dir si voglia.

Queste ultime, soluzione obbligata dall'esito elettorale, si riteneva potessero costituire strumento ritenuto utile a dotare il Potere di una forza che altrimenti non avrebbe avuto per realizzare riforme imbrigliate in opposizioni spesso inconcludenti. Invece, di fatto, i diversi schieramenti si reggono l'un l'altro in equilibrio come le carte di un castello, fragile per struttura e consistenza. Le strategie da ultimo concepite affinché le vicende personali di questo o quell'esponente istituzionale non avessero alcun impatto sulla prosecuzione del Governo ne sono esempio evidente. La determinazione che manca nell'adozione delle misure necessarie alla crescita del Paese, all'effettuazione dei tagli alla spesa e all'eliminazione delle situazioni di privilegio viene invece dimostrata da parte dell'Esecutivo nell'andare avanti, a ogni costo. Peraltro, ciò non pare avere molto senso, se il coraggio manifestato nel mantenere saldo il Potere non è finalizzato a fare ciò che serve. Meglio andare oltre.

Ritornando alle istanze di rinnovamento cui si accennava, deve osservarsi come il progressivo disfacimento del sistema politico italiano è frutto di fattori diversi, approfonditamente analizzati sotto i profili più vari da chi ha affrontato l'argomento con la preparazione necessaria a ciascuno di essi. Il rimedio a una situazione che presenta sfaccettature numerose e multiformi non pare, dunque, possa essere ridotto a una mera questione anagrafica e di necessario avvicendamento tra generazioni diverse. Ciò si risolve in una generalizzazione che, in quanto tale, è priva di argomenti solidi a fondamento. Che la "tabula rasa" del pregresso sia imprescindibile preludio a un più luminoso futuro pare affermazione che induce all'ottimismo, ma è priva di qualunque riscontro in termini di concretezza. Una rigenerazione della politica va operata comunque, su questo non v'è chi non concordi, ma alto è il rischio di affidarsi all'ennesimo messia di turno, la cui idoneità al governo del Paese venga in primis valutata in base all'appartenenza a una categoria generazionale predeterminata: ma per correre rischi è finito il tempo. Rinnovamento non significa, dunque, mettere individui anagraficamente nuovi al comando, nel presupposto che una sorta di verginità istituzionale li renda immuni da comportamenti sconvenienti: è evidente che il germe di questi ultimi può annidarsi ovunque, contaminando chiunque.

Il punto è un altro. La rifondazione della politica italiana non può trovare terreno solido in un elettorato sfilacciato da un clima di sfiducia generalmente nutrito nei riguardi di chi occupi ovvero voglia conquistare posti di comando. Occorre che prima si ricostituisca una base ferma e concreta di credibilità di singoli e istituzioni, qualità che la politica ha ormai perso. Non serve allora chiedersi a chi possa essere affidato il Paese, chi possa guidarlo fuori dalle secche in cui personalismi, interessi privati e malaffare l'hanno condotto se a prevalere è comunque, ogni volta, la diffidenza nei riguardi di chiunque aspiri a un Potere dai più percepito come concentrato di variegati opportunismi. Non è, dunque, dall'individuazione del nuovo ad ogni costo che occorre riprendere il cammino verso una politica più dignitosamente intesa e, quindi, svolta. Prima serve ripristinare la fiducia dell'elettorato nei confronti di un Potere che pare badare solo alla conservazione di se stesso. Come ciò possa avvenire è la domanda di fondo.

Al riguardo si osserva che, oltre alle norme che definiscono in punto di diritto il comportamento cui ogni esponente pubblico è tenuto, esiste un sistema non codificato di regole di condotta sulle quali si fonda l'affidabilità individuale. Si tratta di principi privi di efficacia giuridica, ma il cui rispetto è idoneo a conferire a chi a essi si conformi una stima reputazionale che concorre a una maggiore solidità personale.

La compliance a criteri di correttezza unanimemente condivisi, oltre che agli obblighi previsti dal diritto positivo è oggi ciò che manca, ai fini della credibilità dei singoli e al contempo delle istituzioni delle quali essi fanno parte. In cosa si sostanzino i criteri di correttezza di cui si parla è della massima evidenza: basti pensare a ciò che negli ultimi anni ha minato la fiducia, presupposto e strumento di facilitazione di ogni relazione economica e politica al contempo, dei pubblici esponenti. Non si fa riferimento a condotte non conformi a modelli moralistici astrattamente concepiti, bensì a situazioni di conflitto di interesse, attuale o potenziale, variamente declinate: intrecci opachi che delineano interferenze e scambi di favori fra soggetti in posizioni rilevanti; relazioni amicali variamente intese da chi si trovi a gestire interessenze personali; contaminazioni fra politica e ambienti che devono necessariamente essere mantenuti su piani diversi; in buona sostanza, tutte quelle fattispecie comunque idonee a indurre il dubbio che non si stia operando per il bene di tutti, ma per il perseguimento di interessi propri o di parti a sé correlate. Come precisato, non è un'esimente la circostanza che si tratti di comportamenti posti in essere nel formale rispetto della legge: ogni tipo di relazione non trasparente fra politica e poteri diversi non può essere ammessa in contesti nei quali solo delle istanze della collettività si debba tener conto. Qualunque atto possa far sorgere il sospetto che risorse destinate a fini di pubblico interesse, ivi compreso il tempo e l'impegno, vengano distolte verso scopi differenti non può essere tollerato. Il governo dei soggetti rappresentati deve avvenire in maniera imparziale ed efficiente da parte di coloro i quali siano destinatari del mandato a operare affinché l'intera collettività ne tragga vantaggio.

Perché le istituzioni possano godere di stima reputazionale e, di conseguenza, della fiducia della gente serve, da un lato, l'osservanza dei principi suddetti, dall'altro, il rifiuto di ogni forma di tolleranza verso chiunque, soggetto pubblico e privato, sul cui operato possa nutrirsi una qualsivoglia ombra. Questa è la base per la ripartenza: perché un nuovo sistema possa essere costituito serve il coraggio di escludere inderogabilmente dal Potere chi non abbia avuto la cura di riservare a esso un trasparente esercizio.

Un livello di credibilità elevato, fondato sul riconoscimento da parte dei terzi della serietà dei soggetti che governano il Paese e, di conseguenza, del Paese stesso nel mantenere le promesse prestate e nell'assolvere agli impegni assunti, consentirebbe all'Italia di trovare un ambiente più favorevole in qualunque contesto internazionale. Una maggiore accountability di ogni pubblico attore gioverebbe altresì alle relazioni che si svolgono in ambito nazionale, tra individui e centri di Potere, eliminando quegli ostacoli che trovano nella diffidenza verso la politica nel suo complesso elemento ostativo al fisiologico svolgersi dei più svariati rapporti. Infine, eviterebbe che il Parlamento, luogo deputato a risolvere normativamente problemi della collettività, disperdesse il proprio impegno in discussioni aventi a oggetto l'affidabilità di questo o quel rappresentante. In presenza, infatti, di un complesso di regole di condotta unanimemente accettate in quanto alla base di relazioni corrette e trasparenti, non sarebbe necessario alcun dibattito al fine di valutare il comportamento di un qualche pubblico esponente: la responsabilità personale sarebbe tale da indurre chiunque a trarre autonomamente le opportune conseguenze dal proprio operato, se in violazione dei principi di comportamento cui tutti hanno aderito.

La cosiddetta rottamazione di cui negli ultimi anni si è tanto parlato, pertanto, non è una questione generazionale, così come essa è stata rappresentata. Deve essere, invece, intesa esclusivamente come conseguenza del venir meno di requisiti di credibilità personale e, di riflesso, istituzionale: dal Potere, come detto, va allontanato chiunque abbia agito in maniera tale da rendere inaffidabile se stesso e opaco il proprio operato. La politica va sfrondata da ogni dubbio, perché possa essere davvero rifondata e la fiducia in essa ricostituita. Il clima di sospetto che ostacola l'evoluzione collettiva e con essa il progresso non può continuare a essere legittimato. Dalla fiducia nei singoli occorre ripartire perché, in un circolo virtuoso, la gente riacquisti fiducia nei consessi cui essi prendono parte e sia indotta a tornare alla partecipazione attiva a una politica migliore. Le categorie anagrafiche non hanno alcun significato nel compimento di tale processo.

«In un mondo da cui gli scemi, i farabutti ed i superbi non siano ancora stati cacciati via se non in parte, non si guarisce, no, la malattia...», scriveva Einaudi: da qui si ricomincia.