DiMaio Ottoemezzo

Sono bastati due giorni, un paio di tweet e qualche domanda incalzante per aprire una crepa nell'incrollabile muro del complottismo para-grillino.

Un muro su cui ormai da qualche anno rimangono aggrappati alcuni programmi televisivi di inchiesta e approfondimento giornalistico, dove troppo spesso i punti interrogativi lasciano il campo ad inquisitorie affermazioni.

Un muro su cui viene proiettata l'immagine grottesca della cosiddetta pancia del Paese, che oggi assume le fattezze di Matteo Salvini e Giorgia Meloni, domani di Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio.

E così capita che domenica 13 dicembre vada in onda una puntata di Report (Rai Tre) sull'Eni, in cui si cerca di ricostruire una presunta maxi tangente che, a detta della trasmissione, il colosso energetico italiano avrebbe pagato al governo nigeriano per esplorare i fondali marini alla ricerca di petrolio.

Il Cane a Sei Zampe non ci sta e in tempo reale, mentre la trasmissione sta andando in onda, replica attraverso una serie di tweet in cui fornisce la sua versione dei fatti, allegando documenti e infografiche, e chiedendo un contraddittorio in diretta.

Vani i successivi cinguettii della redazione di Report che riportano le parole della conduttrice del programma, Milena Gabanelli, icona grillina della lotta all'inciucio e al malaffare, tanto da risultare la più votata dal popolo pentastellato nelle "quirinarie" del M5s per la scelta del loro candidato alla presidenza della Repubblica.

La crepa nel muro è stata ormai aperta.

Senza entrare nel merito della vicenda della presunta tangente (se ci sia stata o meno lo decideranno, eventualmente, i giudici) a livello comunicativo si è trattato di un cambio di passo quasi epocale: per la prima volta da troppo tempo a questa parte qualcuno si è sottratto al timore reverenziale nei confronti della retorica "anti-casta" e ha "osato" controbattere, replicare, documentare.

E il paradosso è che c'è stato persino un contrappasso nell'uso dei mezzi di comunicazione: mentre Report ingessava la propria denuncia in una sonnecchiante domenica sera su un canale della "vecchia" Tv di Stato, Eni replica sfruttando il web, luogo dove solitamente le teorie complottistiche traggono maggior nutrimento e dove attirano maggior pubblico, giocando d'anticipo e riscuotendo il consenso di molti social media users, che non hanno esitato a supportare e apprezzare la campagna di "contro-informazione" dell'azienda.

Ma il giorno successivo allo scontro Eni vs. Report, la crepa nel muro del complottismo para-grillino è diventata ancora più profonda.

Da Lilli Gruber, a Otto e Mezzo, su La7, si parla del tema del giorno: il crack delle quattro banche popolari, il ruolo del padre di Maria Elena Boschi e la mozione di sfiducia presentata dal M5S nei confronti del Ministro per le Riforme.

L'ospite è il vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio, leader in pectore del Movimento 5 Stelle. In studio anche il giornalista Paolo Mieli.

Di Maio snocciola numeri, dice che la fallita Banca Etruria é della famiglia Boschi e ricorda l'esatto numero di azioni detenute dal papà del Ministro.

La Gruber e Mieli chiedono a Di Maio di quantificare economicamente il valore delle azioni detenute e precisano che no, la Banca Etruria non è della famiglia Boschi.

Di Maio si confonde, è visibilmente imbarazzato, arranca, non sa. E con lui vacillano le incrollabili certezze sue e del popolo grillino, autoproclamatosi immacolato e unto dal signore e quindi in diritto di sentenziare e denunciare. Anche quando non sa esattamente di cosa sta parlando.

Si tratta di due episodi che potrebbero segnare un punto di svolta nella discussione pubblica italiana, dove l'informazione oggettiva ed equidistante, che dovrebbe avere la funzione di consentire al lettore/telespettatore di formarsi un'opinione su un fatto, ha fino ad oggi ceduto il passo a un catartico rituale accusatorio.

Una corte marziale dove tribuni del popolo - che siano parlamentari grillini, leghisti o ex post fascisti - indossano la toga e contemporaneamente impugnano il cappio del boia. E, convinti di essere investiti direttamente dal popolo della carica di reali, autentici e unici interpreti del sentire comune, processano, giudicano, sentenziano ed eseguono la condanna a morte (politica) dei "nemici della povera gente".

Ecco perché le storie di "Eni vs. Report" e di "Di Maio vs. Gruber-Mieli" potrebbero rappresentare l'avvio di un cambio di paradigma nella narrazione del Paese: l'inizio della resistenza mediatica alla potenza di fuoco del complottismo para-grillino, il risveglio delle coscienze dopo tanti anni di sonno ipnotico dovuto alla sudditanza psicologica al fronte anti casta.

Il risveglio dopo un sonno della ragione che ha prodotto fin troppi mostri.