granocappelli

Nelle ultime settimane è salita alla ribalta delle cronache una contesa che sta animando il panorama cerealicolo nazionale e che vede contrapposti la bolognese Società Italiana Sementi (SIS) e il Consorzio Sardo Grano Cappelli. L’oggetto di quella che è stata prontamente ribattezzata “la guerra del Cappelli” è proprio il celebre grano duro “Senatore Cappelli”, costituito nel 1915 da Nazareno Strampelli e ritornato in auge nel solco della moda dei cosiddetti “grani antichi”.

Il motivo dello scontro è dato dall’esclusiva che la società bolognese si è aggiudicata nel 2016 per riprodurre e certificare la semente del “Cappelli” per un periodo di 15 anni, grazie alla vincita di un bando del CREA (che del “Cappelli” detiene i diritti). La vicenda ha ovviamente suscitato l’ira dei piccoli produttori indipendenti di grano “Cappelli”, protagonisti di una realtà nata quasi per hobby e trasformatasi nel corso del tempo in un affare molto redditizio, ma sulla quale ha sempre aleggiato una buona dose d’incertezza in merito alla genuinità della semente circolante. Prima che la SIS ottenesse l’esclusiva in materia, infatti, disporre di semente certificata di grano “Cappelli” era un’opzione resa dubbia dalla presenza di più d’un sedicente detentore o rivenditore del prezioso grano.

Chi scrive ha avuto occasione di entrare in contatto con agricoltori che, dopo aver acquistato ed utilizzato semente “certificata” di grano “Cappelli”, hanno lamentato la presenza di spighe di grano tenero in mezzo a quelle inconfondibilmente scure del celebre duro strampelliano, evidentemente risultanti da un difetto di purezza della semente. Un difetto che qualcuno avrebbe addirittura provato a spacciare come “normale”, sostenendo che il grano tenero “riemergerebbe” spontaneamente dal duro in virtù di un’origine ancestrale del primo dal secondo! Inutile dire che si tratta di una balla spaziale che “reinterpreta”, viziosamente e quasi a mo’ di trasmutazione alchemica, un’effettiva origine di Triticum aestivum (grano tenero) da un incrocio avvenuto anticamente tra Triticum durum (grano duro) ed Aegilops tauschii, ma che non ha nulla a che vedere con ciò che oggi, in mezzo al campo, è spiegabile unicamente con l’effetto prodotto da una partita di seme inquinato.

Tecnicismi a parte, il problema della certificazione del “Cappelli” è reale ed era in qualche modo emerso già un paio d’anni fa in uno studio della società emiliana Open Fields, dedicato alle dimensioni economiche raggiunte in Italia da questa varietà e pubblicato nel 2016 sulla rivista Pastaria. Un dato in particolare, molto eloquente, riguardava la superficie certificata, corrispondente ad appena 250 ettari, a fronte di una superficie complessiva stimabile in almeno 3000 ettari (dedotta in base al fatto che la resa del “Cappelli” non supera i 30 quintali per ettaro e la produzione annua stimata all’epoca era di circa 9000 tonnellate). In altre parole, solo la granella prodotta da meno del 10 per cento della superficie coltivata a “Cappelli” poteva dirsi autentica oltre ogni ragionevole dubbio.

I dati di Open Fields sono peraltro in disaccordo con quelli resi noti recentemente dalla SIS. Secondo l’azienda bolognese, infatti, gli ettari coltivati a “Cappelli” sarebbero solo mille, a fronte di 2500 tonnellate annue prodotte in virtù di una resa oscillante dai 10-15 quintali per ettaro delle aree meridionali rispetto ai 25-30 quintali delle aree più a nord. Non è però chiaro se i dati della SIS si riferiscano o meno alle sole superfici “controllate” dall’azienda, ossia quelle in cui gli agricoltori seminano la semente venduta loro dalla società bolognese, la quale acquista poi il prodotto a 50-60 euro il quintale per rivenderlo ai trasformatori a 80-100 euro (il prezzo varia in base al regime di produzione convenzionale o biologico).

Al di là delle cifre, resta sul tavolo la violazione di dignità lamentata dai produttori sardi, che da molti anni producono il “Cappelli” nell’ambito di una filiera consolidata, e che ora si sentono defraudati di un diritto improvvisamente compromesso da restrizioni di natura monopolistica.
Così, mentre altri produttori di grano “Cappelli” stanno guardando alla possibilità di coltivare varietà alternative (purché “antiche e libere”), il consorzio sardo ha optato per la mobilitazione politica, ottenendo l’interessamento dall'assessore regionale all’agricoltura Pier Luigi Caria e del deputato Mauro Pili, autore di una recente interpellanza parlamentare in materia.

In attesa che l’ennesima querelle dell’agroalimentare di nicchia nostrano si risolva, resta sullo sfondo il guazzabuglio di marchi e marchietti coniati nel corso degli anni utilizzando, in tutte le salse, il nome “Senatore Cappelli”. Il tutto più o meno accompagnato dalla bonaria faccia baffuta e cappelluta del suo creatore, quel Nazareno Strampelli che, celebrato giusto l’anno scorso come innovatore della granicoltura mondiale, si ritrova relegato a testimonial involontario di un duello rusticano d’altri tempi.