seminadiretta

Glifosate, l’erbicida sotto accusa dal 2015, incassa l’ennesimo proclama abolizionista del ministro all’agricoltura Maurizio Martina, il quale si candida a capofila di una politica nazionale che di ascoltare la scienza proprio non sembra averne intenzione.

Provate a immaginare di essere sdraiati su un tavolo operatorio per un delicato intervento all’aorta. Uno di quelli che se il chirurgo sbaglia di un millimetro vi spedisce al creatore. Immaginate ora che quel chirurgo, quello che vi dovrà aprire il torace come un pollo, non sia giunto lì perché è il più competente dei chirurghi, bensì perché qualcuno lo ha eletto. Lo ha piazzato in quella sala operatoria ricorrendo a dei voti popolari.

Non è quindi il più bravo, per lo meno come chirurgo. È stato solo bravo a persuadere la dirigenza sanitaria a candidarlo, come pure è stato bravo a raccogliere voti a destra e a manca, raccontando di volta in volta agli elettori ciò che essi volevano sentirsi dire. E così pure per l’anestesista, l’assistente, l’infermiera e tutto il resto dell’equipe. Tutti eletti, non selezionati. Tutti quindi bravissimi a convincervi che andrà tutto bene. Che faranno il meglio del meglio nell’interesse della vostra salute. Il tutto, però, documentandosi nel frattempo su qualche sito web sostenitore delle terapie olistiche a base di erbe alpine, anziché sui tomi di anatomia umana e di anestesiologia.

Perché se la medicina olistica tira voti, mentre la bibliografia medica li fa perdere, quell’equipe sposerà bellamente la prima e rinnegherà la seconda, anche se sa che sta facendo una scelta nefasta per il paziente. Metteranno quindi sul piatto ciò che la gente là fuori, quella sana, vuole sentirsi dire, anziché assumersi la responsabilità di operare rifacendosi alle più consolidate evidenze medico-scientifiche se queste sono invise alle minoranze rumorose che infestano lo Stivale.

E li convinceranno, quelli là fuori, perché convincere, persuadere, è il loro mestiere. Tanto, il popolo mica ci sta lui sotto le lampade operatorie in attesa di essere sezionato. Ci state voi. E chi mai vorrebbe trovarsi su quel tavolo? Forse nessuno. Se infatti il paziente depilato e spalmato di Betadine siete voi in prima persona, di quelle retoriche da campagna elettorale non ne sentireste affatto bisogno, preferendo di gran lunga qualcuno di cui siete sicuri. Qualcuno che si rifaccia solo e unicamente alle prove della scienza anziché prendere decisioni in base a calcoli elettorali. Cioè quello che sta succedendo con glifosate in Italia.

Sul tavolo operatorio c’è infatti un erbicida il cui destino è sospeso a livello europeo. Un diserbante sul quale l’Italia politica, ovvero l’equipe chirurgica eletta anziché selezionata, dovrà esprimersi. Basta poco quindi a spostare verso l’olistico le dichiarazioni del “chirurgo”, in tal caso il ministro all’agricoltura Maurizio Martina. Bombardato da una storm di tweet da parte dei gruppi abolizionisti ha infatti lanciato una risposta lapidaria: “No al rinnovo dell’autorizzazione europea per il glifosate. Italia leader agricoltura sostenibile. #stopglifosato”.

Martina, del resto, già in passato si era espresso a favore di un’Italia “glyphosate free” entro il 2020, incurante delle rimostranze degli agricoltori italiani, come pure incurante dei giudizi positivi su glifosate forniti da agenzie ed enti sovranazionali di assoluta serietà, come Efsa, Echa o Bfr tedesco. Non si pretende l’ascolto di pareri extra continentali, come quelli dell’Epa americano, o delle autorità australiane e neozelandesi. Non si dice di ascoltare i gruppi di lavoro congiunti Fao/Oms, tutti unanimi nel dire no, glifosate non è pericoloso, glifosate non è cancerogeno. Ma che almeno si ascoltassero i referenti scientifici europei, questo sì. Invece nulla.

Ormai il treno forcaiolo dell’inquisizione anti glifosate sembra partito e scendere in corsa non pare più cosa che un politico accorto possa avere il coraggio di fare. Ammettere oggi che glifosate è ok, e che quindi l’Italia a Bruxelles voterà sì, equivarrebbe infatti a rompersi l’osso del collo. Per lo meno politicamente. Un coraggio che Martina non pare avere, come del resto nessuno dei suoi predecessori. Neppure quella tal Nunzia De Girolamo intervenuta recentemente a una tavola rotonda organizzata da Confagricoltura proprio su glifosate: la ex-Ministra ha dapprima difeso orgogliosamente il niet italiano espresso a Bruxelles circa gli Ogm, auspicando però in materia di glifosate un atteggiamento solido e razionale, basato unicamente sulle evidenze scientifiche.

Un doppio salto carpiato in meno di cinque minuti, perché il richiamo a rifuggire dalle ideologie in materia di glifosate ha seguito di un solo istante la dimostrazione che di quanto dicesse la scienza sugli Ogm alla politica italiana non è mai importato alcunché, incentrata com’era a emettere circolari e decreti contro gli agricoltori ribelli che provavano a coltivarli. Circolari e decreti caduti poi sotto i colpi della Giustizia europea, peraltro. Lì, sugli Ogm, dati e numeri non sono contati alcunché, tarpandone quindi le ali alla faccia delle esortazioni giunte da un monoblocco poderoso di scienziati che hanno fornito una serie sterminata di dati e numeri.

Dati e numeri, appunto. Solo questi dovrebbero contare. Considerando però che la politica italiana ha già deliberatamente ignorato ciò che dice la scienza in materia di Ogm, prendendo decisioni dettate appunto dall’ideologia, non resta che constatare che pure per glifosate l’atteggiamento rimane il medesimo: alle tipiche blandizie da convegno, espresse nel presente, stanno infatti seguendo gli stessi comportamenti sconcertanti del passato. E se così sarà, l’erbicida in questione possiamo considerarlo già spacciato. Non perché sia colpevole, ma perché il furor di popolo espresso via twitter ha voluto così.

Peccato che glifosate stia agli agricoltori come appunto il bisturi ai chirurghi. Levarglielo di mano non potrà far altro che mandare in vacca tutte le operazioni colturali in cui sarebbe stato dall’utile all’indispensabile, a cominciare da quelle a basso impatto ambientale come la semina su terreni non lavorati o dopo lavorazioni minime di superficie. E su quel tavolo operatorio, in qualità di cittadini che fanno la spesa e che vogliono mangiare italiano, a questo punto vi ci dovreste sentire pure voi. E dovreste trarre quindi le debite conclusioni se quella equipe vi sta bene, oppure no. Perché quando le erbe alpine non funzioneranno, saranno guai anche per voi.