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L’ultima in ordine di tempo è proprio di queste settimane: la Prima Commissione Affari Costituzionali della regione Marche ha approvato un provvedimento che accoglie un emendamento presentato da un consigliere del Movimento 5 Stelle in cui si invitano le mense universitarie della regione a non utilizzare olio di palma. Non è certo la prima volta che un ente pubblico prende una iniziativa del genere, ma in questa occasione l’Unione Italiana per l’Olio di Palma Sostenibile ha deciso di non fare finta di niente, ed è passata al contrattacco.

“La decisione della Regione Marche di puntare su prodotti “senza olio di palma” ci lascia esterrefatti e ci appare del tutto immotivata. Non esistono presupposti normativi e scientifici per invitare le mense universitarie a preferire prodotti senza olio di palma criminalizzando, di fatto, un ingrediente. Siamo pronti ad intervenire sul piano legale per tutelare le nostre posizioni e quelle dei consumatori”, ha affermato Giuseppe Allocca, Presidente dell’Unione Italiana per l’Olio di Palma Sostenibile, a commento del Piano approvato.

“Se l’intento della Regione Marche – prosegue Allocca – è quello di promuovere un’alimentazione sostenibile e di tutelare la salute dei consumatori, ricordo che – per impiego di terra, acqua, fertilizzanti e pesticidi – l’olio di palma è più sostenibile rispetto agli altri oli vegetali". Dal punto di vista nutrizionale ad oggi, infatti, nessun Istituto o Ente o Organizzazione nazionale o internazionale ha mai ritenuto di vietare l’olio di palma dall’alimentazione né di limitarne l’uso in via precauzionale.

Pochi mesi fa ha fatto discutere l’iniziativa dell’amministrazione comunale di Torino, di proporre un giorno al mese di dieta vegana nelle mense scolastiche, come primo passo per fare di Torino una città “vegan friendly”. Follie a cinque stelle, quindi? Non proprio (o non solo), se pensiamo che già tutte o quasi le regioni italiane hanno varato regolamenti per imporre o suggerire cibo biologico nelle mense scolastiche - una norma simile è stata varata recentemente anche dal Parlamento francese - nonostante la scienza abbia escluso categoricamente che tra i prodotti bio e quelli convenzionali esistano delle differenze nutrizionali a vantaggio del bio.

Ma se non esistono differenze, perché le amministrazioni pubbliche promuovono certi prodotti a scapito di altri? Un politico ha tutto da guadagnare ad assecondare una percezione diffusa, benché errata, e al tempo stesso a far passare surrettiziamente istanze protezionistiche e corporative attraverso l’alibi della tutela della salute, istanze di cui possono beneficiare alcune categorie organizzate di produttori, che ricambieranno nell’urna elettorale. Certo, fa riflettere l’impegno che viene messo nell’orientare le scelte alimentari degli sventurati studenti: dove arriverebbero se avessero il potere di arrivare anche nel piatto di ciascuno di noi?

Una risposta (inquietante) arriva da una delibera della nuova amministrazione capitolina che prevede per le mense scolastiche nientemeno che cibo biologico, DOP e IGP, a filiera corta, da trasportare su ferro, vetture ibride o elettriche, con donazione degli alimenti integri che avanzano a enti caritatevoli. Con la speranza che alla fine sia almeno commestibile.