Quasi fosse tutto uno scherzo estremo e pessimo, a partire dal decreto-legge del 22 dicembre 2011, n. 211, poi convertito con modificazioni dalla legge del 17 febbraio del 2012, n. 9, che fissava la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) al 31 marzo 2013, tale scadenza – ne avevamo parlato – sembrava essere stata in ultimo prorogata al 1° aprile 2017 su richiesta avanzata della Conferenza delle Regioni, in ragione dei tempi necessari per la costruzione delle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (rems).

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Di risposta, il Consiglio dei Ministri ha approvato lo scorso 31 marzo 2014 un decreto-legge che, pur comprendendo e accogliendo in parte le preoccupazioni delle regioni, ha limitato l’ennesima proroga a un solo anno, ribadendo la necessità del definitivo superamento degli OPG in tempi rapidi, sulla scia di quanto discusso anche pochi giorni prima in occasione del convegno organizzato dalla Commissione Sanità del Senato della Repubblica Impegni per il superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Insomma, gli OPG chiuderanno il 31 marzo 2015.

Una proroga che è stata firmata dallo stesso Napolitano “con estremo rammarico”, ma insieme con “sollievo per gli interventi previsti nel decreto-legge per evitare ulteriori slittamenti e inadempienze, nonché per mantenere il ricovero in ospedale giudiziario soltanto quando non sia possibile assicurare altrimenti cure adeguate alla persona internata”. Anche Stefano Cecconi, portavoce di StopOPG, ha criticato la vergogna dell’ulteriore proroga e ribadito l’assoluta necessità di porre dei vincoli ben precisi ad essa, norme più stringenti a garanzia dell’effettivo superamento degli OPG e al tempo stesso del rafforzamento dei servizi di salute mentale sul territorio, a sostegno di percorsi e progetti individuali. Di qui la proposta di StopOPG di apportare degli emendamenti al decreto-legge del 31 marzo 2014, n. 52, relativo appunto alla proroga dei termini per il superamento degli OPG, per assicurarne maggiore incisività.

Dopo aver superato l’esame delle commissioni Giustizia e Sanità del Senato lo scorso 17 aprile, il testo del decreto con le modifiche richieste è stato discusso e approvato in Senato il 24 aprile, e pur non risolvendo tutte le criticità, costituisce certamente un miglioramento dell’attuale normativa. L’esame del provvedimento è stato quindi inviato in commissione alla Camera, dove il dibattito iniziato lo scorso 12 maggio (resoconto) è stato ora rinviato ad altra seduta. Tra le principali novità apportate dagli emendamenti al decreto: la possibilità per le regioni di rivedere i programmi sulle rems, riducendo i posti letto e reinvestendo i finanziamenti a favore dei servizi di salute mentale; l’obbligo dei programmi di dimissione; l’adozione di norma di misure alternative all’internamento; le condizioni socio-economiche di una persona e la mancanza di un progetto terapeutico non devono più giustificare pericolosità sociale, internamento e proroghe; la misura di sicurezza non può avere durata superiore a quella della pena, dunque un no chiaro ai cosiddetti ‘ergastoli bianchi’.

“Così il faticoso processo del superamento degli OPG può rientrare nei binari della legge 180, che chiudendo i manicomi restituì dignità, diritti e speranze a tante persone – ha dichiarato Cecconi –, anche se c’è naturalmente un grande lavoro da fare, nel solco sempre della legge 180, per dare forza ai servizi socio-sanitari e di salute mentale e rendere quantomeno residuale la necessità di regionalizzazione tramite le rems”. La 180, una legge che, approvata dal Parlamento il 13 maggio del 1978, solo pochi giorni fa ha festeggiato i suoi 36 anni. “Oggi di nuovo i parlamentari sono chiamati come allora a rispondere alla stessa domanda: ma questi internati, queste persone con disturbo mentale che hanno commesso un reato, sono o non sono cittadini? Valgono per loro i diritti della Costituzione? – ha commentato lo psichiatra Peppe Dell’Acqua – E malgrado tutto, questa legge comincia ad aprire degli spiragli e gli internati stanno diventando cittadini”.

Malgrado soprattutto un’accesa polemica dell’ultimo minuto: alcuni emendamenti sembrano infatti prestare il fianco a difficoltà interpretative e perplessità, emerse in particolare nelle prese di posizione da un lato dell’Associazione Nazionale Magistrati (ANM) e del Coordinamento dei Magistrati di Sorveglianza (CONAMS) in un comunicato congiunto, e dall’altro di alcune società scientifiche di psichiatria ed epidemiologia firmatarie di una lettera aperta al ministro Lorenzin. Tra tutti, l’emendamento più contestato è quello secondo cui l’attribuzione della pericolosità sociale deve basarsi solo su criteri soggettivi e non socio-economici: le condizioni di vita individuale, familiare e sociale, sostengono i firmatari, "da sempre assumono importanza fondamentale nelle valutazioni della pericolosità sociale di tutti i soggetti siano o non siano essi infermi di mente".

L’Unione delle Camere Penali Italiane risponde alle critiche avanzate da ANM e CONAMS e puntualizza che questo provvedimento serve a fare in modo che la legge sia uguale per tutti, per i ricchi e per i poveri. E non tornare al celebre “chi non ha non è”. D’altro canto le società scientifiche rimproverano che l'utilizzo esclusivo di criteri soggettivi per determinare la pericolosità sociale di un individuo prefigurino il ritorno di un certo ‘lombrosianesimo’. “È un’accusa che non sta in piedi – replica Dell’Acqua –, l’emendamento dice semplicemente che le condizioni sociali ed economiche non devono portare con disinvoltura all’etichetta di socialmente pericoloso”.

Se alcune preoccupazioni sono certamente comprensibili e una seria riflessione comunque non guasta, altre lo sono davvero molto meno: l’accostamento da parte delle società scientifiche della lotta per il superamento degli OPG alle vicende ‘Di Bella’ e ‘Stamina’, tristemente note, resta assolutamente di cattivo gusto.