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Adesso che il premio Nobel ha premiato i suoi studi innovativi e sperimentali portandolo all’attenzione del pubblico, riconosciamo concatenazioni logiche à la Thaler dappertutto. Ne siamo circondati: le strategie dei venditori che solleticano le sfumature più sottili della psicologia dei consumatori, le reazioni spesso molto eclettiche che indirizzano le scelte di tutti i giorni in famiglia e nei rapporti di lavoro, gli effetti delle soglie (prezzi “tondi” o “meno-che tondi”, scadenze collimanti o sfasate), l’esistenza di metriche soggettive che più o meno consapevolmente filtrano le nostre valutazioni di convenienza, l’indolenza del singolo cittadino (weak will) nel prendere decisioni con conseguenze che su grandi numeri possono generare effetti apparentemente insormontabili, l’importanza dei sentimenti e dei principi nell’orientare le decisioni economiche.

In realtà sembra tutto un dejà-vu fatto di vari pezzi che arrivano da molte branche del sapere, in primo luogo teoria dei giochi, economia&diritto, marketing, management e organizzazione aziendale, gestione del personale, psicologia, persino psichiatria, teorie dei sistemi complessi, sociologia, public choice, storia e analisi delle istituzioni, analisi quantitative dei big data, etc.. Il valore aggiunto di Thaler sarebbe stato nel mettere in luce il tessuto connettivo che unisce e alimenta tutti questi pezzi e che rende le dinamiche dei sistemi socio-economici complesse e aperte a equilibri multipli. Appunto, "equilibri multipli", altra espressione ben nota alla economia “tradizionale” che già da tempo ha capito che bisogna fare i conti con l’incertezza degli eventi, le discontinuità delle preferenze, le difficoltà di coordinamento delle azioni di innumerevoli sparpagliati decisori, le reazioni di questi stessi alle misure di politica economica.

Thaler ci proietta definitivamente in un contesto fluido, semovente, in cui, almeno in linea di principio, tutto può contare, essere fonte di influenza decisiva e, proprio per questo, non si può prescindere da una preparazione multidisciplinare per capire e affrontare la realtà (ecco, "multidisciplinare", altro aggettivo che si è imposto già da tempo). In alcuni casi (pochi e circoscritti, azzarderei a dire, i più borderline con il marketing) questo cambiamento permette di scoprire leve di azione sinora sottovalutate, con soluzioni efficaci a problemi di policy di lungo corso. L’esempio più famoso è quello delle clausole di attivazione automatica, con diritto di rinuncia/recesso, che sostituendosi alle scelte esplicite possono contrastare l’immobilismo sullo status quo dovuto a indecisione, indifferenza, ignoranza, apatia civica. Ma, se si esclude questi casi, la rivoluzione di Thaler, più che lanciare messaggi positivi e specifici, si sostanzia in un avvertimento generalizzato, un monito agli economisti e ai policy-maker: si prega di maneggiare con cautela rifuggendo da pretese meccanicistiche sul sistema socio-economico.

Che le cose siano molto complesse lo si comprende bene riflettendo che persino approcci à la Thaler non sono immuni dalle critiche à la Thaler. Quasi sempre quale dei possibili effetti à la Thaler prevarrà lo si può scoprire soltanto ex-post, con la raccolta di evidenza sull’accaduto. Un esempio nel dibattito italiano può venire dai contratti di lavoro attivati e trasformati a tempo indeterminato sulla scorta delle decontribuzioni del 2015 e del 2016. Ci si interroga se, una volta scaduti i benefici contributivi, i datori di lavoro possano licenziare i nuovi assunti pagando le penali (giudiziali e extra-giudiziali, a seconda dei casi) previste dal Jobs Act per le interruzioni dei contratti a tutele crescenti.

Alcuni esperti mettono in guardia da possibili contraccolpi occupazionali nel 2018, perché, già dopo un anno e mezzo dall’assunzione, i risparmi da decontribuzione più che compensano le penali da pagare. Si tratterebbe di una logica del tipo mental accounting di Thaler: dal punto di vista gestionale, quei risparmi (minori costi contributivi) non sarebbero andati in confusione con il resto delle risorse del conto economico, ma contabilizzati in una posta “mentale” ad hoc su cui tenere traccia del vantaggio netto delle assunzioni incentivate, per poter essere pronti a finanziare le penali di chiusura dei rapporti di lavoro. Una sorta di posta dedicata e prudentemente precostituita.

Altri, al contrario, possono sostenere che no, Thaler non avrebbe affatto ragionato così. Molti esperimenti sul campo dimostrano che le spese vive, come le penali, hanno un “peso specifico” superiore ai risparmi di spesa, come le decontribuzioni, nel senso che i due lati del dare e dell’avere sottintendono due metriche diverse di valutazione dell’opportunità e del vantaggio economico. Aver risparmiato sulle contribuzioni non aumenta di per sé l’inclinazione del datore di lavoro a pagare le penali e licenziare.

Beh?, quali dei due Thaler è quello autentico per interpretare il mondo? E, soprattutto, una teoria che postula affetti multipli e non falsificabili (può valere l’uno o l’altro esito a seconda delle preferenze del datore di lavoro, ma comunque qualcosa accade), è davvero un nuovo sistema completo di riferimento? O piuttosto non segna forse l’incapacità di indicare un sistema di riferimento?

In realtà, quanto accadrà ad attivazioni/cessazioni dei contratti di lavoro lo scopriremo solo nel 2018, non prima però di aver considerato tutta una serie di altri aspetti di contesto che potranno giocare una influenza, in primis la dinamica del Pil e della domanda aggregata nei prossimi mesi. A pensarci bene, è po’ quello che succede al famigerato gatto di Schroedinger esposto agli effetti della pistola quantistica: contemporaneamente un po’ vivo e un po’ morto e, per sciogliere l’arcano e determinarne lo stato, è necessario un atto di verifica e misurazione (del respiro del gatto, o del movimento del gatto).

Con un parallelismo forse un po’ ardito e impressionista con la Fisica, si può forse dire che Thaler ha contribuito a “relativizzare” l’Economia, allargandone i campi di indagine e le prospettive anche lì dove strumenti e metriche consolidate non sempre danno risposte soddisfacenti. La stessa cosa che nel Novecento è accaduto alla Fisica classica newtoniana. Attenzione, però, perché anche dopo gli sviluppi della Fisica moderna (relativistica, quantistica, delle grandi energie, etc.), continuiamo a guidare automobili e a far volare arei sulla base dei principi della dinamica classica… Utilizziamola con più prudenza, ma non mandiamo in pensione con troppa fretta e troppa “passione” relativistica gli strumenti di analisi e politica economica approntati sinora.