Occhio non vede, cuore non duole. Ma la medicina che oggi conosciamo e diamo per scontata, che ha allungato la nostra aspettativa di vita e relegato gravi malattie a ricordi del passato, è in larga parte frutto della sperimentazione sul modello animale. Cerchiamo di ripercorrere alcune tappe fondamentali.

delli zotti - Copia

La domanda che si pone il titolo di questo articolo è decisamente ambiziosa e meriterebbe una risposta completa, precisa e lunga. Tanto lunga. Tanto lunga che il lettore si potrebbe annoiare nel seguire il filo logico e la ricostruzione storica di tutte le scoperte mediche che dobbiamo al modello animale: si dovrebbe parlare praticamente di tutta la medicina moderna. Ogni presidio farmacologico, ogni tecnica chirurgica, ogni intuizione e scoperta che abbia portato avanti il progresso dell’Ars Medica deriva dalla ricerca sul modello animale.

La Medicina nei secoli passati non godeva affatto di una buona reputazione:  “L'arte della medicina consiste nel divertire il paziente mentre la natura cura la malattia”  diceva Voltaire ai suoi tempi e, in tutta sincerità, è difficile dargli torto: la medicina in quel periodo non dava molte risposte, Galeno la faceva ancora da padrone nelle facoltà di medicina di tutta Europa e Harvey doveva faticare per riuscire a dimostrare che il sangue circolasse o altre teorie all’avanguardia rispetto all’epoca, dovendo riscrivere e rielaborare i propri appunti per rispondere alle critiche.

E’ proprio attraverso questo processo di ricerca e di critica continua che si pongono le basi per lo sviluppo della medicina moderna, quella basata sul metodo scientifico e sulle osservazioni, passando anche per il modello animale. E qui ritorniamo alla domanda iniziale: quanto dobbiamo al modello animale per quanto concerne la Medicina che vediamo praticare ogni giorno nei nostri ospedali, nei nostri ambulatori e nelle nostre cliniche? Più che un elenco, è meglio fare qualche esempio concreto.

Il primo esempio riguarda un macchinario che viene usato comunemente in ospedale, all’apparenza così semplice e banale ma che racchiude in sé una lunga, lunghissima storia e ha permesso di migliorare enormemente la pratica medica in quasi tutti i suoi settori. Si tratta dell’ecografo.

Quello che usano i medici per vedere, ad esempio, se abbiamo calcoli biliari, per valutare un seno e così via. Delusi? Non dovreste esserlo, poiché l’ecografo ha rappresentato una grandissima rivoluzione per la medicina moderna, affiancando il medico nell’esame obiettivo e permettendogli di fare diagnosi corrette in tantissimi ambiti, dalle patologie di interesse chirurgico a quelle vascolari, al campo delle urgenze e ovviamente degli screening. Ed è uno strumento relativamente economico, basti pensare che attualmente un modello portatile può arrivare a costare anche attorno ai 2500 euro, comprese le sonde (per fare un paragone, un macchinario per i raggi X può costare attorno ai 130.000 euro).

Oltre alle ricerche di Spallanzani che posero le basi sullo studio della propagazione delle onde (portando allo sviluppo in epoca moderna del sonar, del radar e ovviamente dell’ecografo), sono stati anche fondamentali gli studi di George Ludwig alla fine degli anni ‘40 che fu tra i primi a voler applicare questa tecnologia al Massachussets Institute of Technology, nel suo laboratorio di Bioacustica, cercando dei calcoli nascosti nei muscoli degli animali per poterli visualizzare al meglio, oltre a compiere studi di trasmissione delle onde sui tessuti animali.

Questi studi posero le basi per le successive scoperte e applicazioni in ambito medico, influenzando in modo decisivo lo sviluppo dell’ecografo. Seppur condotti in un’epoca dove la cavia da laboratorio non beneficiava delle norme attuali a tutela dell’animale nell’ambito della ricerca, quante vite (animali e umane) sono state salvate anche grazie a questi studi? Probabilmente un numero incalcolabile.

Un altro spunto ci arriva dalla ricerca oncologica; in questo campo nominare tutte le scoperte, partendo dai meccanismi molecolari fino alle terapie disponibili attualmente, legate al modello animale sarebbe un’impresa ardua e meriterebbe un trattato a parte ma vorrei solo portare un paio di esempi.

Il primo riguarda una proteina definita p53. A molti questo nome non dirà assolutamente nulla, ma a chi lavora in ambito medico, biologico e biotecnologico si illumineranno subito gli occhi; il Dott. Lane (attualmente Prof. Sir Lane, Chief-Scientist presso il Cancer Research UK) stava studiando un virus chiamato SV40, che provocava tumori nelle cellule di origine murina, rendendole “immortali” e facendo loro acquisire molte caratteristiche delle cellule tumorali; nel fare questo, si imbattè in una proteina che pesava 53 kD e che, per questo motivo, chiamò p53; nel suo studio pubblicato nel 1979 (Lane, DP & Crawford, LV. T antigen is bound to a host protein in SV40-transformed cells. Nature 1979, 278 (5701), 261-3 ) riportò queste parole:

“E’ possibile che (la proteina misteriosa) possa agire normalmente come regolatore di determinate funzioni cellulari legate al controllo della crescita...E’ di primaria importanza determinare i livelli di questa proteina nelle cellule normali e vedere se può essere indotta da altri agenti cancerogeni.”

Il Dr. Lane non sapeva di aver appena fatto una delle scoperte più importanti nel campo dell’oncologia moderna; la proteina p53 infatti è coinvolta in modo importante nella risposta della cellula in seguito ad un danno del DNA, bloccandone la replicazione o provocandone addirittura la morte e proteggendoci dall’insorgenza di tumori, oltre ad avere moltissime altre funzioni che non sono state ancora del tutto chiarite. E quando questa proteina funziona male o vi sono dei danni a livello del gene che la codifica (come nella Sindrome di Li-Fraumeni) possiamo avere un rischio maggiore di sviluppare tumori a vari livelli nel nostro organismo.

Questa proteina è stata ed è ancora oggetto di tantissimi studi, in quanto si presenta come un bersaglio efficace su cui investire per poter curare patologie neoplastiche, riattivando la funzione di p53 che spesso si viene a perdere nelle cellule tumorali e facilitando l’eliminazione di queste cellule aberranti. E gli studi sugli animali confermano anche questo dato, ossia che ripristinando la normale funzione di p53 si osserva una regressione delle masse tumorali [1].

Un secondo esempio legato alla ricerca in campo oncologico riguarda i fattori di crescita e qui possiamo menzionare il contributo italiano ad una scoperta che valse il Premio Nobel a Rita Levi Montalcini oltre che a Stanley Cohen, scopritori rispettivamente del NGF (Nerve Growth Factor) e dell’EGF (Epidermal Growth Factor); entrambi condussero i loro studi su modelli animali, nello specifico su embrioni di pollo e su topi, e scoprirono questi due fattori di crescita importanti, aprendo la strada per lo studio degli altri fattori di crescita che oggi conosciamo; in particolare questa scoperta aprì la strada anche alle cosiddette “alternative” in vitro, rendendo disponibili quei fattori di crescita che vengono utilizzati in tutti i laboratori del mondo per le colture cellulari.

Un altro effetto di questa scoperta sono stati gli anticorpi monoclonali (che fanno parte dei cosiddetti farmaci biologici) che hanno come bersaglio proprio questi fattori di crescita o i loro recettori e che possono attualmente essere utilizzati nei protocolli oncologici di terapia, oltre che per altre patologie. Queste scoperte, assieme ad altre ovviamente, hanno permesso di abbattere la mortalità nei pazienti oncologici arrivando anche a tassi di guarigione impensabili fino a 30 anni fa; basti pensare solamente alle leucemie infantili o ai linfomi di Hodgkin, al tumore alla mammella o al colon-retto; e lo dobbiamo anche al modello animale questo successo.

E ancora, non si può non citare la scoperta dell’insulina e del ruolo del pancreas nel diabete ma, in questo caso, vi consiglio di leggere questo lavoro interessante ed esaustivo a cura del Dott.  Salvo Di Grazia. Un ultimo esempio riguarda le malattie infettive; se oggi possiamo affrontare in modo abbastanza tranquillo una polmonite o altre infezioni, fino a 100 anni fa non si poteva dire lo stesso: malattie come la difterite, la tubercolosi, la pertosse e altre mietevano vittime, soprattutto tra i bambini. Grazie allo sviluppo di antibiotici, di vaccini e di terapie di supporto molte di queste malattie sono viste quasi come una normale ed innocua routine. Un esempio su tutti è la difterite, una malattia che nel 1900 causava circa 40 morti ogni 100.000 persone negli Stati Uniti: negli ultimi 10 anni l’OMS ha rilevato solo due casi di difterite negli USA.

Potrei andare avanti con questi esempi ma preferisco riportare, a conclusione di questo articolo, un lavoro del NEJM in occasione dei suoi 200 anni di storia che mette a confronto tre medici di tre epoche diverse di fronte ad una paziente con asma.[2] I tre medici sono rispettivamente del 1828, del 1928 ed infine del 2012 e di fronte ad un paziente asmatico il primo (del 1828) consiglia:

I think that she may benefit from smoking the leaf of Datura stramonium, also known as the thorn-apple plant. Many asthma sufferers have tried this remedy, and it seems to provide relief from a fit, even though it will not prevent a recurrence. Several years ago, Dr. Bree reported in the New England Journal of Medicine and Surgery that such smoking had a deleterious effect on a number of patients suffering from difficulty of respiration. However, in my experience, patients such as this woman will derive benefit from such treatment in that it shortens the duration of their indisposition from an asthmatic fit. I recommended this treatment to my patient, and she tells me that she has benefited from it.

In poche parole consiglia alla paziente di fumare le foglie della Datura Stramonium, un’erba contenente potenti alcaloidi e dagli effetti collaterali importanti.Il secondo medico (del 1928) scrive invece:

Treatment is difficult. Your use of adrenaline injections for acute attacks is appropriate; there is reason to believe that treatment with oral ephedrine may also help with her asthmatic episodes. The relief is of longer duration than with injected adrenaline and the patient can administer it herself. Ephedrine is not a substitute for injections of adrenaline when the patient is in extremis. The critical factor in treatment is removing the patient from exposure to the proteins to which she is sensitive. Her positive skin test to ragweed pollen extract is in agreement with the clinical history of worsening disease in the autumn. However, there may be proteins to which she is allergic that were not included in our skin test panel. In my experience, removing a protein from a patient's exposure is very hard to accomplish. One strategy, which I am loath to suggest unless there is no other hope, is a move to a climate where there are fewer proteins in the air to which the patient would be exposed.

Ossia, non avendo in quel periodo alcuna terapia efficace se non le iniezioni di adrenalina, si consigliava alla paziente di eliminare il fattore scatenante, evitando gli allergeni scatenanti la reazione. In quel periodo si consigliava anche di andare in alta montagna proprio per patologie come questa.Infine il medico del 2012 che, dopo un’attenta anamnesi ed esame obiettivo della paziente, le dà consigli su come modificare la terapia in conseguenza di un’asma poco responsiva al trattamento che sta già seguendo:

You and your physicians have done an excellent job of managing your asthma. The treatments you are using now are well established and known to be effective. There are three treatments that could be added to your regimen, but it is difficult to be certain that they would be effective. First, oral theophylline could be added to your regimen. Although you cannot recall having received treatment with theophylline, given your age and asthma history, it is likely that you were treated with this agent as a child. This therapy could be of value, but it is necessary to monitor blood levels of the drug to obtain an optimum response, and some patients find testing to be burdensome. There is a small chance that theophylline could make your asthma worse by relaxing the muscle that separates your stomach from your esophagus; if this occurred, the treatment would be stopped. Second, Singulair could be replaced with Zyflo CR (zileuton, controlled release). The active ingredient in Singulair is montelukast, which blocks the action of the cysteinyl leukotrienes at the CysLT1 receptor, whereas zileuton prevents the synthesis of both cysteinyl leukotrienes and dihydroxy leukotrienes. There are theoretical reasons to believe that controlled-release zileuton would yield a clinical benefit, but there are no compelling data to support this approach. Monitoring of liver function is required during initiation of treatment with zileuton. Third, Xolair (omalizumab) could be added to your regimen. This anti-IgE monoclonal antibody is given once a month by injection. There is clearly an allergic component of your disease; your total IgE level is elevated, but it is not so high as to preclude the use of omalizumab.

Senza andare sui dettagli tecnici dell’ultima lettera, è facile comprendere come e quanto la medicina sia cambiata in modo radicale dal primo all’ultimo medico, e quanto col tempo sia diventata più efficace ed accurata. Non si può guardare a questi progressi senza considerare quanto importante sia stato l’uso del modello animale per lo sviluppo della medicina moderna.


 

[1] Vousden KH, Prives C. Blinded by the Light: The Growing Complexity of p53. Cell. 2009 May 1;137(3):413-31.

[2] Erika von Mutius, M.D., and Jeffrey M. Drazen, M.D. A Patient with Asthma Seeks Medical Advice in 1828, 1928, and 2012 N Engl J Med 2012; 366:827-834