Umberto Veronesi

Difendeva gli ogm, l'eutanasia, il nucleare, il fumo elettronico, le adozioni gay, la legalizzazione della cannabis, la maternità surrogata, il vegetarianesimo, un'idea non reclusoria della malattia e non paternalistica della cura. Non c'è causa razionalistica, scandalo bioetico, eresia libertaria che non abbia patrocinato con rigore e divertimento illuministico. Aveva un'idea religiosa della ragione e materialistica della vita. Ha insegnato a intere generazioni a non avere paura del cancro, ma della paura del cancro.

Umberto Veronesi è morto ieri a 90 anni, salutato come un eroe della scienza e della cultura nazionale da quella stessa politica che, negli ultimi vent’anni, ha liquidato le sue provocazioni – tutte, nessuna esclusa - come le smanie di un immoralista o le mattane di un vecchio narcisista.

Aveva invitato a “dimenticarsi di Dio” e a sostituire i capisaldi della moralità tradizionale – Dio, patria e famiglia – con quelli, sottilmente rivisitati, della rivoluzione francese – libertà, solidarietà e tolleranza – e nello stesso tempo aveva reso un inopinato omaggio al “discorso di Ratisbona” di Papa Ratzinger per la sua difesa del primato del logos e del legame indissolubile tra la fede e la ragione, che ovviamente Veronesi interpretava, in modo molto diverso da Benedetto XVI, nel senso spinoziano dell’identità tra Dio e natura, tra ordine razionale e ordine naturale.

Si può sospettare – e molte delle sue uscite autorizzano il sospetto – che considerasse la fede nel Dio personale delle religioni del libro una sorta di pregiudizio arcaico e mitologico, di residuo irrazionalistico sopravvissuto alla rivoluzione dei lumi. Da molti punti di vista, in un mondo che celebra la “rivincita di Dio” e l’inestinguibilità della trascendenza come orizzonte culturale, di vita e di identità, anche politica, l’ateismo “positivo” fa di Veronesi un personaggio anacronistico, insensibile agli enigmi della teodicea, ma sensibilissimo ai travagli della sofferenza umana, insofferente ai discorsi sul senso della morte, ma impegnatissimo nella rincorsa affannosa e fiduciosa della cura di una malattia a lungo rimossa e dunque indicibile (“un brutto male…”).

Tra tanti scienziati che ostentano un prudente agnosticismo e un deferente rispetto per le cose di Chiesa, Veronesi non aveva timore di guardare alle religioni abramitiche con la stessa distanza storiografica che la cultura contemporanea, anche di ispirazione religiosa, riserva al politeismo greco e romano.

Tutto questo non faceva di lui uno scienziato sinistramente “sovietico”, un positivista stolido e insensibile ai travagli dell’animo umano e intrigato dalla mera meccanica della vita, ma un ricercatore segnato da una spiritualità curiosamente orientale e da una sensibilità profonda per l’universo vivente: così ad esempio si spiega la sua scelta, sempre rivendicata e difesa, di un’alimentazione rigorosamente vegetariana per ragioni in primo luogo etiche (per scongiurare la sofferenza degli animali e la dissipazione di risorse naturali scarse) e solo in seconda istanza per motivi, in teoria preminenti, di natura sanitaria (una dieta più equilibrata e meno tossica per il corpo umano).

Aveva i numeri, la fama e l’aura per diventare una sorta di Padre Pio “tecnologico”, un santo salvatore di vite e di spiriti, un’icona della pietà e della devozione popolare, e invece preferiva vestire i panni più modesti e più ingombranti dell’umanista settecentesco, interrogato dallo scandalo della sofferenza e impegnato nell’impresa (insieme scientifica e morale) di porvi concretamente rimedio, a partire da una comprensione partecipe dell’esperienza del dolore e della paura, della speranza e della disperazione. Ha inventato nuovi modi per curare e guarire il cancro, ma anche un modo nuovo per umanizzare la malattia e il rapporto con essa.

È stato certamente un genio della medicina, ma anche un pazzo della politica, e all’Italia, probabilmente, più che il primo, finirà per mancare il secondo.

@carmelopalma