marelli

È tutta colpa degli scienziati.
Ma certo! Lavorano tutti quanti per case farmaceutiche che li pagano fior di quattrini per nascondere la verità sui vaccini, l’inefficacia della chemioterapia, la diffusione di virus letali sviluppati in laboratorio con lo scopo di mettere poi in commercio cure iper-costose.
Inoltre fanno la vivisezione, uccidono animali senza motivi validi.

Meglio invece curarsi con i rimedi della nonna, quelli naturali, senza quelle porcherie che ti uccidono.

Dice Marco, che di scienza non si è mai occupato, ma è cosi confuso da tutte le notizie che gli arrivano da non sapere più a chi credere.

È tutta colpa della società.
Ma certo! Nessuno ascolta quello che gli scienziati dicono - noi rappresentiamo la Scienza, il metodo scientifico, la razionalità.
Mai sentito parlare di Pubmed, di peer-review, di PhD? Anni di studi e di pubblicazioni che dimostrano che i progressi esistono. Le statistiche, i dati, i numeri... , come si fa a credere ai ciarlatani? I modelli animali servono perché non abbiamo alternative, come si fa a non capirlo?

Dice Antonella, ricercatrice biomedica con un dottorato in oncologia medica , frustrata dopo aver letto un commento di un suo contatto che la accusa di uccidere gli animali senza motivo

Che cosa si può estrapolare da questi due paragrafi? Io vi leggo due mondi che non si parlano da tempo. Due mondi che in Italia si allontanano sempre più, con il risultato finale di creare una diffusa sfiducia nella scienza, oltre a favorire l’emersione di teorie complottistiche di varia natura che portano ad eclatanti casi di rifiuto di cure salvavita.

Come si fa a invertire questa tendenza in atto ormai da anni e a colmare il divario? Non è semplice, non esiste una risposta universale. Ma potremmo iniziare favorendo una collaborazione seria tra gli organi di stampa e la comunità scientifica, in modo da produrre articoli destinati al ‘grande pubblico’ ad alto contenuto scientifico che vengano vagliati con rigore da esperti prima di essere dati alle stampe, su carta o sul web. Attualmente manca una collaborazione attiva di questo tipo e purtroppo non si valutano fino in fondo le conseguenze che alcuni articoli possono avere sulle decisioni degli italiani riguardo a cure mediche ed investimenti in ricerca. Gli esempi che illustrano l’assenza di una collaborazione virtuosa tra scienza e stampa sono molteplici:

Esempio 1: il sensazionalismo estremo da parte dei giornali in relazione a nuove scoperte scientifiche troppo affrettatamente definite “rivoluzionarie”. In molti articoli pubblicati su testate italiane di primo piano ci si imbatte assai spesso in titoli come: “Scoperta la molecola chiave che curerà il cancro”. Leggo l’articolo da ricercatore e, conoscendo il settore, so bene che lo scienziato intervistato molto probabilmente non ha detto queste parole. Inoltre interpreto il dato e, pur riconoscendo l’importanza della scoperta, so bene che le osservazioni sperimentali riportate nell’articolo sono riproducibili solo in un particolare modello di tumore e che, una volta confermate da altri laboratori indipendenti, potrebbero (uso il condizionale) generare un farmaco efficace dopo molti anni di test clinici, nella migliore delle ipotesi. 

Ma poi vedo la reazione dei miei amici che lavorano in altri settori, che mi inviano entusiasti il link all’articolo, convinti che sia davvero una scoperta che rivoluzionerà il mondo ‘qui e subito’, e capisco che l’interpretazione data dalla stampa è fuorviante, quando non del tutto errata.
Interpretazione che sollecita abitualmente la fatidica domanda: “Ma se le cure esistono perché la gente muore ancora di cancro? Chissà cosa c’è sotto…”

Non ci credete? Leggete qui: “Trovato il vaccino contro i tumori” Che cosa capite? Che gli scienziati hanno scoperto la cura per TUTTI i tumori. Cito testualmente: “Un team di scienziati tedeschi ha ideato un vaccino terapeutico universale contro i tumori. Induce una fortissima risposta del sistema immunitario. Sono già partiti i test su uomo” e anche “Potrebbe anche essere la notizia del secolo. Un vaccino terapeutico universale contro i tumori.” L’articolo non riporta alcun link alla pubblicazione originale e non c’è nessun commento da parte di un esperto.

Ora leggete la stessa notizia riportata dal Guardian, uno dei maggiori giornali inglesi: "‘Trojan horse’ cancer-fighting injection sparks hope in human trials”. Tradotto: un’iniezione che agisce a mo’ di “cavallo di Troia” contro il cancro dà speranza in test clinici sugli esseri umani. Come appare evidente, il titolo del quotidiano inglese è assai meno sensazionalistico rispetto a quello nostrano. Inoltre l’articolo include il commento di un esperto del settore che sostiene: “Although the research is very interesting, it is still some way away from being of proven benefit to patients(immunotherapy professor Alan Melcher of the Institute of Cancer Research in London, told the Science Media Centre). Tradotto: “Sebbene la ricerca sia molto interessante, c’è ancora molta strada da fare prima che si possa dimostrare un reale beneficio per i pazienti” sostiene il Professor Alan Melcher, dell’Istituto di Ricerca sul Cancro di Londra.

Esempio 2: l’estrema esagerazione e dovizia di particolari usate per descrivere i test che riguardano la sperimentazione animale. L’esempio è recente e riguarda un esperimento su tredici levrieri condotto in Australia. L’esperimento aveva come obiettivo quello di testare nuove tecniche per il trapianto di cuore, i cui risultati si potrebbero tradurre in futuro in potenziali nuovi interventi salva-vita per l’uomo. La ricerca aveva ottenuto tutte le autorizzazioni da parte dei comitati etici e gli animali erano in stato di anestesia profonda, cioè completamente incoscienti e incapaci di provare dolore.

Il Fatto Quotidiano su Facebook usa questo titolo: “SPERIMENTAZIONE ANIMALE. 12 levrieri soffocati e riportati in vita dopo che il loro cuore era stato asportato, poi di nuovo impiantato, e infine uccisi ancora”.

Volete leggere il titolo del Guardian? Eccolo: "Australian university defends using greyhounds for heart transplant study". Tradotto: “Università Australiana difende l’utilizzo di levrieri per uno studio sul trapianto di cuore”

Avete notato la leggera differenza nel contenuto e nell’enfasi del titolo dell’articolo? In questo caso tocchiamo un tema delicatissimo, rispetto a cui i giornali dovrebbero utilizzare estrema cautela e chiedere sistematicamente supporto scientifico prima di scrivere i propri articoli. Questo non per censurare alcun segreto, ma per il rispetto degli animali utilizzati, per il rispetto di chi esegue i test in questione, per il rispetto dei malati che in un futuro prossimo potrebbero beneficiare delle scoperte derivanti da questi esperimenti. Titoli del genere, mancanti di informazioni essenziali per contestualizzare la vicenda, possono essere mal interpretati da parte di un lettore poco informato e suscitare giudizi errati. In proposito vi invito a leggere questo articolo divulgativo che parla di sperimentazione animale.

La cattiva informazione genera lettori poco informati, giudizi affrettati e soprattutto paura verso qualcosa che non si conosce pienamente. E sulla paura e sulle false credenze attecchiscono le teorie complottistiche usate da ciarlatani criminali che vendono false speranze, loro sì, con secondi fini.

Fatta questa lunga premessa, viene spontanea un’ultima domanda: perché gli articoli inglesi sono cosi ben impostati e scritti? Perché gli organi di stampa collaborano da anni con un Science Media Centre, una organizzazione no-profit, finanziata in parti eguali da aziende, università, case editrici e fondi governativi, che si avvale di un pool di ricercatori che lavora quotidianamente con giornalisti ed esperti di comunicazione affinché le notizie ad alto contenuto scientifico siano diffuse in maniera corretta e rigorosa, senza abbandonarsi a facili sensazionalismi e senza generare allarmi. Perché non adottare la stessa strategia anche in Italia?

Al momento non esiste nulla di tutto ciò nel nostro Paese ma la comunità dei ricercatori si sta muovendo finalmente in quella direzione. Alcune Associazioni che si occupano di ricerca in Italia (AIRIcerca, ANBI, FiBIo, Pro-test Italia, Biochronicles, Tempesta di Cervelli) stanno lavorando ad un progetto comune per far nascere qualcosa di simile al Science Media Center anche in Italia. No-profit.

Saranno disposti i giornali italiani a collaborare con noi? Saranno disposti a rinunciare a qualche clic in favore di un’informazione scientifica seria e rigorosa?