zica aedes

L’epidemia da Zika virus e l’ipotetico collegamento con l’aumento di neonati con microcefalia? Colpa della Fondazione Rockfeller (e di chi sennò?) che ha diffuso il virus (con modificazioni genetiche oscure, ovviamente) chissà per quali malvagi scopi o, in alternativa - ma anche no -, farsa di facciata per nascondere terribili piani delle case farmaceutiche per testare sui bambini nuove potentissime molecole? E l’Oms, ovviamente, è complice, come lo fu con la suina, insieme all’informazione?

Diciamolo subito, il copyright di queste fantasiose ricostruzioni spetta a due persone ben precise: Claudio Messora (alias Byoblu), blogger, ex capoccia dello staff comunicazione del M5S in Europa poi liquidato da Casaleggio (abbonato premium quando si tratta di raccontare complotti-bufala); e Mauro Villone - con il significativo contributo di disinformazione.it (nomen omen, d’altronde) -, sceneggiatore, viaggiatore, blogger per Il Fatto Quotidiano, credulone. Il primo, sul suo blog, suggerisce una storia torbida “di ricombinazioni genetiche che parte da molto, molto lontano e che ha tra i suoi protagonisti la Fondazione Rockefeller”; il secondo - dato che siamo nel regno dell’incertezza - si sente autorizzato a fare ipotesi terribili, letteralmente da “strategia della paura”. Ecco allora che il Brasile povero diventa “un ottimo posto dove lanciare un allarme virus che potrebbe avere due funzioni. Quella di nascondere l’insorgere di una patologia dovuta ad altre cause, come la microcefalia. Oppure quella di spaventare la popolazione sia locale che di tutto il mondo e quindi poter successivamente inventare un vaccino che possa far fare di nuovo molti soldi alle corrotte multinazionali del farmaco”. Ma non basta, lo sceneggiatore vede come ipotesi plausibile anche quella di una microcefalia causata “da un altro tipo di sperimentazione sui feti che le autorità intendono nascondere”.

Dovremmo avere fatto già il callo a questo tipo di fenomeni che ormai puntualmente si presentano di fronte all’incertezza della scienza e a una comunicazione che non ha ancora trovato la formula magica per risolvere il conflitto tra ciò che non si sa, le esigenze di certezza di tutti quando si parla di salute e le complessità di un mondo globale. Proviamo allora a a mettere in fila quel che sappiamo di un caso complicato che ha portato l’Organizzazione mondiale della sanità a diramare un allarme sul contagio da virus Zika e, soprattutto, sui suoi possibili effetti sulla salute dei nascituri; perché accorgersi della complessità e provare a capirla è il primo modo per non farsi imbambolare dalle mirabolanti capacità di analisi dei guru di oggi, le cui “sceneggiature” in questi casi sono buone, al massimo, per essere scartate anche per film di fantascienza di serie Z.

Chi è Zika? Il virus Zika non è l’ultimo arrivato. Venne isolato in Uganda nel 1947 (sì, dagli scienziati della Rockfeller) e si trasmette tramite delle banali punture di zanzara: il vettore sono quelle della specie Aedes. C’è stato un caso negli Stati Uniti di sospetta trasmissione per via sessuale, ma non è stato confermato e sembra molto dubbio. Piccole epidemie recenti sono state rilevate - passando in sordina - nel 2007 e nel 2013 in Micronesia e nella Polinesia francese. Poi nel 2015 si è verificata un’impennata che perdura ancora oggi nell’America del Sud: Brasile (dove potrebbe essere arrivato prima, nel 2014 durante i Mondiali di calcio) e Colombia; in Africa e, ma in modo più sporadico, in altre aree delle Americhe. Come ha fatto Zika a spostarsi dall’Africa? Senza scadere nelle ricostruzioni da B-Movie offerte da Messora, è molto probabile che sia un effetto del ‘mondo globale’: virus e malattie viaggiano insieme a persone e merci. Una situazione che va certamente tenuta sotto osservazione e combattuta (qualsiasi epidemia non è mai a costo zero), ma che è anche normale che accada, è accaduto sempre ogni volta che l’uomo si è spostato.

L’allarme è per la microcefalia. Fino a pochi mesi fa non destava molte preoccupazioni: pur non essendoci un vaccino, né una cura specifica, i suoi sintomi non sono molto diversi da quelli di una normale influenza e così viene efficacemente curata anche ora. Però in Brasile pare abbia portato a conseguenze gravissime sui nascituri: secondo l’Oms c’è un fortissimo sospetto che possa causare microcefalia o altri problemi neurologici nei bambini nati da madri che sono state infettate. Il sospetto nasce anche perché è stato appurato che il virus è in grado di oltrepassare la barriera della placenta, anche se neppure questo fattore è conclusivo. Per questo (non per l’epidemia in sé) è scattato l’allarme mondiale. C’è però un altro problema, e non è di poco conto. La microcefalia si diagnostica in prima battuta misurando la circonferenza della testa del bambino e confrontandola con dei parametri standard. Solo che non esistono dei veri e propri standard. In poche parole: manca un criterio di classificazione valido per tutti.

Nel regno dell’incertezza. In tutta questa vicenda c’è una sola cosa certa: l’espansione del contagio da Zika virus. Le sue gravi conseguenze sono, al momento, solo sospetti, definiti forti dagli esperti, e per questo l’Oms ha deciso di far suonare la campana d’allarme in via cautelativa, correndo il rischio di fare una brutta figura ma prevenendo l’accusa di non essersi mossa per tempo nel caso il pericolo si rivelasse reale. È un gioco di complessi bilanciamenti: nell’incertezza meglio spostare il peso sulla precauzione, anche se magari sarebbe stato meglio evitare paroloni come “esplosiva” parlando dei modi in cui si starebbe diffondendo il virus.

Un pallone destinato a sgonfiarsi? Probabilmente le paure su Zika e i suoi tremendi effetti sui bambini sono destinati ad essere ampiamente ridimensionati man mano che si acquisiranno maggiori informazioni. Già a pochi giorni dal lancio dell’emergenza da parte dell’Oms i primi dubbi sulla reale correlazione tra contagio e sviluppo di danni neurologici nei neonati sono emersi. Nella seconda metà del 2015, quando è scattata l’attenzione, in Brasile si sono moltiplicate le segnalazioni di microcefalie in tutto il Paese, soprattutto negli stati del Nord. Al 2 febbraio il Ministero della salute stava esaminando 3.670 casi sospetti di microcefalia o altri danni neurologici, poco meno dell’80% di tutti i casi notificati (che sono stati 4.783 al 30 gennaio). Di questi solo 404 sono stati confermati e 17 sono stati messi in relazione con il virus Zika. 709 sono stati invece scartati. Questo è un dato già di per sé interessante: solo una (relativamente) piccola parte dei casi sospetti si è rivelati reale. E infatti non manca chi ha osservato che tutto possa nascere da un ‘eccesso’ di segnalazione di casi sospetti, dovuti, da una parte, alla richiesta del Governo brasiliano una volta avanza l’ipotesi di un collegamento tra le malformazioni e il contagio da Zika, dall’altro, a delle difformità nei vari sistemi di notificazione adottato dai diversi Stati.

Poco dopo l’allarme lanciato dall’Oms nei primi di febbraio, lo Stato di Pernambuco, che è quello in cui sono state registrate più segnalazioni, ha emanato un bollettino sull’andamento dell’epidemia e dei casi di microcefalia che è davvero curioso: nelle ultime settimane considerate i casi segnalati di microcefalia sono calati drasticamente, fino a tornare a livelli ‘normali’ (fig.1).

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Fig.1 Il ritorno alla ‘normalità’ nelle segnalazioni di microcefalia nei neonati nello Stato di Pernambuco.

C’entra davvero Zika? Cosa è successo? Non si sa. Il bollettino si preoccupa solo di dare i numeri, ma non cerca di spiegarne le cause. Ma che tra queste possa non esserci Zika non è del tutto improbabile. Uno studio preliminare pubblicato dall’Oms, condotto da Sandra da Silva Mattos del Círculo do Coração de Pernambuco e colleghi ha preso in esame più 16mila referti di bambini nati tra il 2012 e il 2015 presi da 21 centri medici dello stato di Paraíba (che è stato molto colpito da Zika). Ciò che hanno ottenuto è, utilizzando la definizione più ampia di microcefalia (che non per forza indica una condizione patologica), un numero di casi più alto del normale - tra il 4 e l’8% del totale dei nati, (mentre ci si aspettava 3-4 casi all’anno secondo le statistiche generali) già dalla fine del 2012, con un picco nel 2014, anche prima di un eventuale arrivo di Zika con la Coppa del Mondo (fig.2).

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Fig.2 La distribuzione temporale dei casi di microcefalia nello stato di Paraíba a partire dal 2012 e fino al 2015, usando tre differenti criteri diagnostici. Si notano gli alti valori già dal 2012 e il picco nel 2014, prima che Zika fosse entrato in Brasile.

I casi più gravi di microcefalia sono però significativamente aumentati negli ultimi mesi del 2015 (fig.3).

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Fig.3. La crescita dei casi più gravi di microcefalia nello Stato di Paraíba negli ultimi mesi del 2015

È difficile dare un’interpretazione univoca di questi dati: da un lato sembra evidente - come segnalato anche su The Lancet in un recentissimo articolo di alcuni ricercatori brasiliani - che nello stato sudamericano ci sia un numero fuori norma di casi di microcefalia, risalente ad anni anche molto precedenti al 2015; dall’altro è probabile che se Zika c’entri davvero qualcosa, non sia l’unico fattore. “Molti altri fattori potenziali vanno considerati come causa dell’epidemia - suggeriscono Matos e colleghi - . Tra queste c’è la possibilità di effetti intensificatori portato da infezioni associate, anche infezioni virali, come la Dengue e la Chikungunya (che sono endemiche in alcune aree del Paese, ndr), entrambe trasportate dallo stesso vettore: la zanzara Aedes. Vanno considerati anche esposizioni teratogene, come quelle verso vaccini o farmaci usati negli stadi inziali della gravidanza. Inoltre, c’è anche la malnutrizione, che è stata associata alla microcefalia e che potrebbe intensificare gli effetti quando accoppiata ad altre cause eziologiche. Infatti, molti dei casi riportati riguardano famiglie a basso reddito”.

È evidente allora che l’incertezza non sia destinata a diradarsi presto, non prima almeno di aver compiuto studi retrospettivi per analizzare la reale situazione prima dello scoppio della ‘bomba Zika’ e di aver continuato a seguire l’evoluzione dell’epidemia in corso. Nel mentre, per precauzione, è bene tenere alta l’attenzione.