La republican war on science, i riflessi pavloviani di sinistra: la scienza 'buona' e la scienza 'cattiva' attraverso la lente deformante delle ideologie.

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Se la scienza è stata il motore - magnificamente riassunto nel 'manifesto' di Vannevar Bush 'Science. The endless frontier' del 1945 - prima per la vittoria nel secondo conflitto mondiale e poi per la rinascita e l'egemonia economica e culturale degli Stati Uniti negli anni a venire, oggi è la stessa scienza a trovarsi quasi impotente nei panni del nemico.

Quello in atto è una specie di attacco della politica alla scienza, condotto sia da destra che da sinistra ma che, nonostante l'apparenza, non ha alla base - tranne uno o due casi, seppure importantissimi - le differenti visioni politiche. È un fenomeno generale e, se vogliamo, anche normale.

“La scienza contemporanea - ci ricorda Marco Bresadola, docente di Storia della scienza all'Università di Ferrara, dove dirige anche il Master in Giornalismo e comunicazione della scienza - si caratterizza per una forte impronta tecnologica, tanto da poter essere chiamata più propriamente tecnoscienza. È diventato infatti molto difficile distinguere tra ricerca pura e applicata, anche perché l'intreccio tra scienza, industria e società è diventato sempre più stretto e complesso. Questo sviluppo ha portato grandi benefici in molti campi, ad esempio nella medicina e nelle comunicazioni, ma ha anche reso molto più remota la possibilità di considerare gli scienziati come persone indipendenti dalla sfera politica e sociale. Di conseguenza la valutazione dell'operato della scienza da parte dell'opinione pubblica oggi si basa in gran parte sugli stessi criteri che valgono per le altre attività sociali e che fanno proprie le aspettative, gli interessi e le paure degli individui e della collettività”.

Ed è proprio questo il nocciolo della questione: in molti casi i prodotti della scienza, che siano scoperte, tecnologia o 'semplici' osservazioni, passano in secondo piano, triturati da interessi e aspettative, bias politici e, soprattutto, culturali.

È quel che accade oggi negli USA, dove Donald Trump sembra avere tutta l'intenzione di diventare il paladino della cosiddetta "Republican war on science". Uno dei suoi primi atti è stato quello di firmare a gennaio un ordine esecutivo per far uscire, di fatto, gli Stati Uniti dagli accordi di Parigi 2015 sul clima e ridimensionare i poteri dell'agenzia statale che si occupa di ambiente. Un colpo di spugna pesantissimo alla lotta per la mitigazione del riscaldamento globale, fatto in nome di una espansione economica immediata, libera dai lacci di una regolamentazione orientata a favorire lo sviluppo dell'energia 'pulita' e a bloccare l'uso di fonti altamente inquinanti (su tutte il carbone, sul quale invece Trump sembra puntare tantissimo). Una presa di posizione che ha portato alla reazione degli scienziati con la "March for science" del 22 aprile, nella Giornata della Terra.

L'eccezione repubblicana

Dietro le azioni di Trump c'è un problema tutto repubblicano: è una delle eccezioni di cui parlavamo prima (l'altra riguarda il creazionismo e il rifiuto verso l'evoluzionismo). Un sondaggio effettuato nel 2016 dal Pew Research Center mostra chiaramente come, in tema di climate change, la fiducia degli elettori verso gli scienziati diminuisca man mano che ci si sposta verso destra nello scenario politico. Secondo Stephan Lewandowsky e colleghi, che nel 2013 hanno pubblicato uno studio in cui investigano il collegamento tra ideologia e 'negazione della scienza' (intitolato The Role of Conspiracist Ideation and Worldviews in Predicting Rejection of Science) il motivo della polarizzazione nell'accettare o meno il climate change è dovuto proprio al fatto che ciascuno di noi legge la scienza secondo la propria visione economico-politica del mondo: “Le persone che abbracciano una visione laissez-faire del libero mercato sono meno propense ad accettare che l'emissione antropica di gas serra stia riscaldando il pianeta rispetto a chi ha una visione egalitaria-comunitaria”.

Secondo lo scienziato esperto di ambiente e analisi del rischio Dana Nuccitelli, la posizione repubblicana dipende da vari fattori come “l'accresciuta dipendenza del partito dalla destra religiosa e da interessi industriali, e dalla crescita di camere dell'eco mediatiche che alimentano un pensiero complottista e antiscientifico". Ma attenzione a non generalizzare: Lewandowsky e colleghi scrivono infatti che “nonostante una visione tendente al libero mercato sia un potente predittore del rigetto delle scoperte scientifiche che abbiano implicazioni di tipo normativo, questo effetto è tutt'altro che generale: è molto piccolo in tema di vaccinazioni e del tutto assente per gli OGM”.

Questo significa che, se in tema di climate change le cose sembrano essere abbastanza nette - ed esiste un'effettiva e specifica corrispondenza anti-scienza a destra tra rappresentati e rappresentanti - in un'ottica generale non è così e tutto si complica enormemente.

Assenza di differenze e sinistra sovraesposta

La conferma viene guardando dall'altra parte dello spettro politico: nonostante l'esposizione mediatica e le iniziative normative ci suggeriscano il contrario, non è vero che a sinistra ci sia una esclusiva predilezione anti-scienza per quanto riguarda altri temi, ad esempio la sicurezza degli OGM o quella dei vaccini. Se è vero che vediamo molto più spesso i politici democratici, liberal o, più in generale, di sinistra come campioni delle battaglie anti-OGM, a favore della c.d. “medicina alternativa” o contro le imposizioni vaccinali (e la sicurezza dei vaccini), questo non sembra trovare corrispondenza nelle opinioni dell'elettorato.

Molti degli studi effettuati sulla materia, compreso quello guidato dal Lewandowsky, non hanno fornito dati che permettano di attribuire ai liberal alcuna esclusiva in tema di scetticismo antiscientifico (che comunque, si badi bene, c'è ed è spesso elevato). Quest’ultimo, piuttosto, si espande in maniera trasversale in tutto lo spettro politico: Repubblicani e Democratici, destra e sinistra, non si differenziano granché. La vociante “Liberal war on science” sembra dunque essere più una questione personale dettata dalla sensibilità dei politici, la cui speciale sovraesposizione rispetto alla controparte non è rappresentativa di una reale specificità nella base elettorale.

Il pensiero politico non è un buon criterio predittivo dello scetticismo scientifico

Sembra evidente che - al di là dell'importante eccezione rappresentata dal global warming (e dal creazionismo) - ridurre le posizioni anti-scientifiche all'appartenenza politica non sia sufficiente per spiegarle. Ci sono allora altri driver da tenere in considerazione. Ad esempio la “system justification”, ovvero, spiegano Lewandowsky e colleghi, la “necessità delle persone di percepire il corrente sistema politico ed economico come giusto, legittimo e stabile”: più la scienza porta a risultati distruttivi per lo status quo, più viene rigettata da chi quello status quo vuole garantire e mantenere (ed è quello che capita tra i conservatori nel caso del global warming, mentre non incide in tema di OGM). Ma è un tratto personale così come sembra esserlo un altro fattore: la tendenza - che riguarda ciascuno di noi, anche se a gradazioni differenti - ad aderire a una qualche teoria del complotto. Su questa base gli studiosi sono stati in grado di predire con molta più facilità le posizioni anti-scientifiche delle singole persone.

Il complottismo è di sinistra?

La domanda che sorge spontanea a questo punto è: c'è un collegamento tra il “ragionamento complottista” e le diverse ideologie politiche? Secondo lo studio, i dati “mostrano un'associazione negativa tra il complottismo e il conservatorismo (così come con il free-market), suggerendo che il pensiero complottista sia più diffuso a sinistra che a destra”. Questo potrebbe spiegare perché le istanze anti-scientifiche che provengono “da sinistra” – le più evidenti: OGM, vaccini e medicina in generale - siano spesso accompagnate da visioni che indicano le multinazionali (Monsanto, Big Pharma) come i potenti di turno che vogliono controllare il mondo - avvelenandolo in termini ambientali, economici e sociali, "nascondendo qualcosa di terribile" - con i loro prodotti.

Ma, ancora una volta, generalizzare è un cattivo affare se si vuole capire. La correlazione inversa (complottismo-destra) non è un'eccezione (basti pensare, in tema di vaccini, al fatto che l'attuale presidente repubblicano sia notoriamente antivaccinista): “A seconda del bilanciamento degli argomenti - ammonisce lo studio - diverse ricerche potrebbero indicare associazioni con orientamenti politici di polarità differenti. Sarebbe prematuro legare l'ideazione complottista con una parte politica o con l'altra, è un problema che attende il giudizio di una futura ricerca sistematica”.

Trasferire questa analisi nel contesto politico italiano, molto più parcellizzato e confuso di quello americano, è impossibile, anche per l'assenza di approfondimenti specifici. Tranne qualche analisi sugli elettori - come quella di Observa del 2003 sulla ricerca in materia di OGM, in cui le posizioni favorevoli risultavano sostanzialmente sovrapponibili: il 64,8% a destra contro il 58% di chi si poneva a sinistra (posizioni peraltro disattese con la decisione degli eletti di limitare la ricerca) - abbiamo praticamente solo il riflesso delle posizioni pubbliche dei vari schieramenti. Ma anche qui, tranne alcuni casi, le differenze spesso risultano sfumate e non è affatto detto che le singole iniziative delle parti politiche siano rappresentative di istanze specifiche provenienti dalla maggioranza dei loro elettori.