Non si ricostruisce la competitività nazionale, incrinata dalla Grande Recessione, incentivando competenze del passato e investimenti su modelli industriali obsoleti. Sia per le piccole sia per le grandi imprese, il Piano Calenda sull’Industria 4.0 è un’occasione per favorire l’integrazione digitale dei processi produttivi e l’adozione diffusa di macchinari e sistemi 'intelligenti'. Facciamo quattro passi verso la quarta rivoluzione industriale.

Maffe Cuoco bulloni

Ricomincio da quattro, direbbe oggi Massimo Troisi. Per ricostruire il 25% di capacità produttiva italiana distrutto dalla Grande Recessione, bisogna prima contare fino a tre, poi fare un passo in avanti. È infatti impensabile ricostruire le basi della competitività nazionale semplicemente ripristinando il tipo di investimenti, di competenze e di lavori del passato, ormai in gran parte resi obsoleti dall’evoluzione tecnologica e dal nuovo contesto di mercato. Serve prendere atto che ormai viviamo e lavoriamo nell’era della quarta rivoluzione industriale e che essa rappresenta un’occasione da non perdere per lo sviluppo del Paese. Viene chiamata “Industria 4.0” per ragioni storiche. Con l’introduzione delle macchine azionate da energia meccanica, alla fine del 18° secolo, partiva la prima rivoluzione industriale: fu un passaggio epocale per il lavoro, il nostro stile di vita e l’organizzazione delle risorse umane.

L’introduzione della potenza del vapore per assicurare ed ottimizzare il funzionamento degli stabilimenti produttivi segnò l’avvio di una avventura straordinaria, che agli inizi del ventesimo secolo continuò con l’introduzione dell’elettricità e del petrolio, rinnovando le fabbriche con le catene di montaggio e sviluppando la produzione di massa: era l’avvento della seconda rivoluzione industriale.

Negli anni ’70 dello scorso secolo, poi, l’utilizzo di robot e computer ha segnato una nuova era - la terza rivoluzione industriale - che ha permesso l’introduzione dell’elettronica e dell’information technology, automatizzando la produzione industriale che oggi – con la quarta rivoluzione industriale – arriva ad un nuovo stadio, quello dell’impiego di macchine intelligenti, interconnesse e collegate in rete, con tecnologie produttive ibride e sistemi cyber-fisici che prevedono la coesistenza di uomini e macchine sempre più “intelligenti”.

Di questa rivoluzione e del conseguente miglioramento della produttività dei fattori l’Europa e l’Italia in particolare hanno disperatamente bisogno. I numeri di questi ultimi anni sono preoccupanti. Secondo un recente studio proposto da Ambrosetti, il contributo del settore manifatturiero al valore aggiunto totale europeo è in significativo calo, passando dal 18,8% nel 2000 al 15,5% nel 2014. A livello globale, la quota di export manifatturiero europeo è scesa dal 31% nel 1995 al 27% nel 2013. Anche il peso del valore aggiunto della manifattura europea sul totale mondiale è in calo dal 23% nel 1995 al 17% nel 2013. Impietoso è il confronto non tanto con il fenomeno cinese, che si basa su condizioni non omogenee, ma con i cugini USA: tra il 2000 e il 2014, il valore aggiunto della manifattura USA è cresciuto del 34%, mentre quello dell’industria europea solo del 20,6%.

Si è già detto della débâcle storica dell’industria italiana. La produttività del lavoro della manifattura USA è cresciuta mediamente del 3,2% all’anno tra il 2000 e il 2014, mentre quella UE è cresciuta solo del 2,1%. Quella italiana è addirittura scesa in molti comparti. La produzione industriale UE fatica tuttora a riprendersi dalla crisi, mentre negli Stati Uniti ha superato i valori pre-2008. Il gap non si recupera riproponendo vecchi paradigmi industriali, basati su tecnologie obsolete per settori tradizionali, o peggio su tentazioni protezionistiche e svalutazioni competitive.

Oggi lo scenario tecnologico si propone ricco di nuove opportunità da cogliere e competenze da acquisire: robot rapidamente programmabili, interconnessi e collaborativi, realtà aumentata a supporto dei processi produttivi; un mondo dove è a portata di click simulare - con macchine sempre interconnesse - processi e automatismi, integrando informazioni lungo tutta la catena del valore dal fornitore al consumatore finale, avendo a disposizione un’ampia base di dati e metadati su cui fare analisi elaborate, finalizzate ad ottimizzare prodotti e servizi offerti sui mercati.

In questi nuovi scenari e mercati, l’integrazione intelligente offre anche maggiore sicurezza durante le operazioni in rete, con nuove possibilità - mai provate finora - di gestire elevate quantità di dati su sistemi aperti, senza scordare il tema enorme delle nuove possibilità di comunicare e fare marketing innovativo, perché ormai il dialogo tra processi produttivi, prodotti ed utenti è completo e integrato. Quelli che una volta si definivano “consumatori” sono diventati prima “consumattori” (attori protagonisti del mercato) per poi diventare oggi, con le nuove tecnologie e innovazioni, “consumautori” (autori protagonisti della comunicazione integrata e sempre connessa e del passaparola di mercato). Il tradizionale modello della “supply chain”, focalizzato sui processi dell’offerta, si incrocia oggi con quella che viene descritta come la “demand chain”, ovvero l’insieme di funzioni economiche svolte da una domanda sempre più consapevole e partecipe ai processi di formazione del valore economico.

Ogni rivoluzione industriale ha portato benefici e sfide da gestire; questa dell’Industria 4.0, volendo schematizzare, offre quattro macro-aree di benefici di cui godere e punti di forza su cui fare leva imprenditoriale, sfruttando le nuove leve di competitività e puntando su tecnologia e innovazione in un quadro che potrà aiutare le piccole imprese a crescere, le medie a diventare grandi, le grandi a diventare multinazionali.

In primis, con la quarta rivoluzione industriale si potrà fare leva su una maggiore flessibilità e velocità dei processi, con la possibilità di passare agevolmente, e più rapidamente che mai, dal prototipo alla produzione in serie attraverso tecnologie innovative, che offrono anche la possibilità di produrre in piccoli lotti ai costi della grande scala. Dovremo quindi imparare a costruire un modello di nuova produzione industriale il cui tasso di produttività cresca attraverso minori tempi di partenza e avviamento, con la fondamentale riduzione degli errori e fermi macchina in un quadro di processo più snello e ottimizzato e testato in tempo reale. Si accompagna a ciò anche l’aspetto qualitativo: nell’Industria 4.0 il livello di qualità di prodotto e processi si innalza ancora di più, rispetto al passato, grazie anche a minori scarti assicurati da innovativi sensori interconnessi in grado di monitorare la produzione in tempo reale, assicurando un controllo in remoto ad operatori in ogni dove ed ogni momento.

In definitiva, maggiore è e sarà la competitività del prodotto offerto sul mercato grazie alle maggiori funzionalità derivanti dal pieno utilizzo dell’internet delle cose (“IoT”, Internet of Things): gli oggetti interagiscono con il mondo circostante, in quanto dotati di “intelligenza”, ovvero capaci di reperire e trasferire informazioni tra rete internet e mondo reale.

Ma quanti saranno gli oggetti connessi? Molte delle stime proposte dagli analisti di mercato, come Accenture, sostengono che si arriverà a oltre 25 miliardi di apparati IoT entro il 2020. Autori quali Adrian McEwen (con il libro “Designing the Internet of Things”) parlano di creatività e IoT, e di come le prossime idee e prodotti vincenti avranno bisogno di collegare oggetti della vita di ogni giorno con internet e con la tecnologia. Crescendo quindi la diffusione di apparati e sensori, ancora di più crescerà la mole di dati che dovranno essere gestiti e crescerà il numero di applicazioni che dovranno essere sviluppate. Uno dei maggiori ambiti di crescita è infatti rappresentato dai system integrator e dalle società di consulenza.

Applicazioni dell’internet delle cose possono essere individuate in svariati campi: domotica (la tecnologia applicata alle case, per gestire ad esempio frigoriferi, lavatrici, il telefono...); robotica (ingegneria e tecnologia che permettono di far fare ai robot compiti oggi svolti dagli esseri umani); avionica (la tecnologia applicata agli aeromobili ed al pilotaggio, come ad esempio sistemi di comunicazione sugli aerei, autopilota, etc.). Ma anche nell’industria automobilistica ci sono interessanti esempi ormai avviati (con nuove applicazioni per le auto, come ad esempio tergicristalli intelligenti che si attivano da soli quando inizia a piovere, fino ad arrivare ad automobili “intelligenti”, le smart car, capaci di guidare da sole ed assistere il guidatore) e nell’industria biomedicale (come la gestione remota dei pazienti, fino ad arrivare ad interventi chirurgici fatti a distanza).

Il concetto di “Smart” assume il carattere di etichetta simbolo della nuova rivoluzione 4.0: con le Smart City si sviluppano le tecnologie da adottare per realizzare città intelligenti, consentendo di mettere in relazione infrastrutture (oggetti) con gli abitanti della città; Smart diventano anche Building e Home, con gestione intelligente dell’energia, ma Smart è anche l’agricoltura, con lo sviluppo di applicazioni per il meteo (ovviamente) ma anche di automazione di apparati per la gestione sempre più precisa di acqua, fertilizzanti, concimi con soluzioni digitali, ed infine Smart è l’industria, quella 4.0.

Nel mondo, su questa quarta rivoluzione industriale si sta già investendo molto. Negli Stati Uniti d’America c’è il piano “Manufacturing USA” che ha dato vita a un network di istituti e laboratori di eccellenza per la diffusione tecnologica e delle competenze 4.0, con gruppi privati del settore ICT e università, con modelli di partnership pubblico-privato. In Francia c’è il progetto “Industrie du futur”, ovvero il piano di reindustrializzazione e di investimento in tecnologie 4.0, in questo caso guidato dal governo, con incentivi fiscali per investimenti privati e prestiti agevolati. In Germania esiste da anni il piano “Industrie 4.0”, sponsorizzato a livello federale con il coinvolgimento di grandi player industriali e tecnologici.

L’Italia finalmente sta cominciando a muoversi, con alcune peculiarità del suo settore industriale: una delle caratteristiche del “modello italiano” oggi è il ridotto numero di grandi player privati industriali e ICT capaci a pieno di guidare la trasformazione della nostra manifattura, il limitato numero di capi filiera in grado di coordinare il processo evolutivo delle catene del valore ed un sistema fortemente basato sulle PMI.

Il piano proposto dal ministro Carlo Calenda è un primo, positivo segnale nella giusta direzione: prevede 9 tecnologie abilitanti verso le quali indirizzare due linee di intervento. La prima intende favorire, tramite formule fiscali di iperammortamento, gli investimenti privati (senza intervento dirigistico centralizzato da parte del Governo) su tecnologie e beni coerenti con l’Industria 4.0, incrementando la spesa privata in ricerca e sviluppo, e rafforzando la finanza a supporto, sia per imprese esistenti sia per start-up. La seconda linea di intervento è altrettanto importante: riguarda la diffusione della cultura di Industria 4.0 attraverso la Scuola Digitale e l’alternanza scuola-lavoro, e punta allo sviluppo di nuove competenze attraverso percorsi dedicati, sia universitari sia presso istituti tecnici superiori, potenziando la ricerca presso cluster e nuovi centri di competenze nazionali, articolati in “digital innovation hub”.

L’Italia, va ribadito, non parte da zero. Secondo l’osservatorio del Politecnico di Milano, il mercato dello Smart Manufacturing nel 2015 in Italia valeva già 1,2 miliardi di euro, e quindi costituisce già poco meno del 10% del totale degli investimenti industriali complessivi. È un mercato guidato dalle grandi aziende di macchinari e dell'automotive, ed è costituito in maggioranza da applicazioni tecnologiche di Internet of Things per l'industria (circa due terzi del valore), in cui i progetti sono però tuttora spesso in fase pilota.

Per il 2016 si prevede un tasso di crescita del 20%, discreto ma purtroppo non sufficiente a recuperare anni di ritardo rispetto alle più mature esperienze internazionali, dove i piani di azione di sviluppo nazionale sono avviati da tempo. Il problema ha come sempre radici che partono dalla scarsa cultura dell’innovazione. Oltre un terzo (38%) delle imprese industriali censite dal Politecnico di Milano dichiara tuttora di non conoscere il tema Industria 4.0. Sono forti le differenze tra settore e settore: nell'industria automotive, nell'alimentare e nei macchinari chi non ne è informato è meno del 30%, ma in altri settori supera anche il 50%.

Per chi ha cominciato a investire, le prime applicazioni a prendere piede sono quelle di Industrial Analytics a supporto di produzione e logistica (20% del campione), e per la gestione della Supply Chain (15%); una buona base hanno già ottenuto anche le soluzioni Cloud (20%) e Industrial IoT in fabbrica (16%); L’Advanced HMI (Human-Machine Interface), che prevede l’interazione con sistemi robotici avanzati e/o cooperativi, risulta presente nelle attività operative del 15% del campione.

L’Industria 4.0 è quindi un’occasione da non perdere per il rilancio del Paese, se non vogliamo accontentarci di pochi decimali di crescita per tanti anni ancora.

@carloalberto
@antonluca_cuoco