Il voto conta, ma non è un atto ragionevole, perché spesso, quando si parla di politica, è la nostra mente a non esserlo, preferendo scelte dettate dall’inconscio. Quali sono, nello specifico, gli argomenti “emotivi” che il fronte del no e quello del sì al referendum costituzionale stanno usando? E, soprattutto, funzionano?

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La verità è che il voto degli altri ci fa schifo. Ed è spesso piacevole e fa molto bene all’ego motivarlo con l’esigua capacità di informarsi, l’età avanzata e una certa stupidità altrui. Eppure il comportamento elettorale di un ignorante o di un anziano vale tanto quanto il nostro. Uguale uguale. Uno è uno, e non 0,5 o 1,5. Anche perché gli elettori in fondo si somigliano tutti. E ”uno” davvero consapevole e razionale non esiste. Praticamente mai.

Per intenderci, il voto conta, ma non è un atto ragionevole, perché, spesso, è la nostra mente che non lo è. Secondo George Lakoff, linguista e docente all’Università di Berkeley, per esempio, è determinante il ruolo dell’inconscio. Il 98% dell’attività mentale, spiega, avviene senza che noi ce ne rendiamo conto, ad un livello profondo del nostro cervello. Non solo.

Ognuno di noi, scrive invece il premio Nobel Daniel Kahneman, psicologo e docente di Princeton, è soggetto a bias cognitivi. Pregiudizi, in sostanza, maturati nell’arco di un’esistenza, dei quali non abbiamo effettiva consapevolezza ma che entrano in gioco quando prendiamo una decisione, esprimiamo una opinione, facciamo una scelta. Perché ci piace un candidato e lo votiamo, oppure perché propendiamo per una specifica posizione durante un referendum, quindi? Perché chi interviene nel dibattito pubblico ha avuto la capacità di suscitare in noi determinate emozioni, senza necessariamente aver presentato gli argomenti più ragionevoli. Parola di Drew Westen, docente della Emory University.

E se tanta letteratura non bastasse a convincere gli elettori della natura emotiva delle proprie scelte, anche qualora esse scaturissero da lunghi e meticolosi approfondimenti, allora è utile citare Jonathan Heidt, psicologo sociale alla Università della Virginia, e autore di The righteous mind - La mente virtuosa. Il professore spiega perché non tutte le brave persone votano lo stesso partito o non si sono tutte dignitosamente opposte alla Brexit, per esempio.

Ci dividiamo, spiega, e ci sentiamo nel giusto all’interno del gruppo cui apparteniamo, solo insieme ai nostri simili - le cui opinioni tendiamo a ritenere altrettanto sensate e condivisibili. Il motivo per cui ci riconosciamo nelle idee di un gruppo, quindi, risiederebbe nella natura umana e non nella qualità del dibattito politico. Gli individui, spiega, prima scelgono in base alle emozioni e solo dopo costruiscono ragionamenti ad hoc per giustificare a livello razionale decisioni già maturate nel profondo. Le persone, in sostanza, non sono solamente esseri appassionati, ma riflettono. Solo dopo però: i loro argomenti sono elaborati ad arte per motivare le proprie emozioni.

Accade sempre. Nell’Inghilterra della Brexit, terra di anziani e bruti - dove, però, i giovani di belle e metropolitane speranze forse non sono andati a votare così in massa - e nell’Italia della Costituzione più bella del mondo. Per difendere la quale in molti, a ottobre, andranno a votare no al referendum indetto dal Governo Renzi. Più per antipatia verso il Presidente del Consiglio, forse, che per reale e razionale convincimento.

Nulla di male, intendiamoci, ma diversi sono i tic narrativi del comitato del no. Tutti sono riassunti nello slogan dei volantini, in download sul sito dell’iniziativa - www.iovotono.it: respingere l’aggressione alla Costituzione nata dalla Resistenza. Il lessico, è evidente, è tutto difensivo: respingere, resistere, contrastare un’aggressione. Non solo. Il campo è diviso: da una parte i buoni, i puri, il popolo. Aggredito, preda, vittima, portatore di una virtù legata indissolubilmente agli avi. Dall’altra i cattivi: Renzi, Boschi e - attenzione - tutti coloro che li sostengono. E che, così facendo e votando sì allo scempio proposto, si macchiano di un peccato mortale. Non solo scelgono diversamente dai buoni, ma permettono e favoriscono l’aggressione.

Altra frase e ulteriore motivazione per sostenere il no: “Questa è una riforma che non riduce i costi, non migliora la qualità dell’iter legislativo, ma scippa la sovranità dalle mani del popolo”. Intanto, la struttura. Prima le motivazioni razionali: la riforma non servirebbe a nulla, non sul piano economico, né su quello dei processi e della semplificazione - tema, invece, tanto caro all’avversario. Poi il tema emotivo, di cuore, il tono appassionato. Il progetto è addirittura un reato, un furto ai danni del popolo. Il Governo è il ladro - tema classico - e la politica è cattiva e agisce in antitesi con il popolo - ma insomma, ‘sti politici chi li elegge, di solito?

Last but not least, il tic narrativo più in uso: la difesa di quella immutabile meraviglia della Costituzione - attenzione! Affinchè i pochi lettori non se la prendano: l’espressione tic narrativo non vuole essere offensiva, ma ironica, e mira a sottolineare la tendenza a ripetere e riproporre argomenti che, passano gli anni, cambiano i governi, ma stanno sempre là, pietre miliari del dibattito nostrano. Scorciatoie cognitive.

Scrivono infatti i promotori del no: “La Costituzione Repubblicana, frutto della lotta di Liberazione contro il nazifascismo, è il punto culminante della storia del nostro Paese, patto di civile convivenza fra uomini liberi, nata dall’incontro delle tante culture che alimentarono la Resistenza, intesa ad impedire e prevenire qualsiasi tentazione e pratica autoritaria”. Tutto - storicamente e idealmente - vero. Tutto giusto, condivisibile, emotivamente e razionalmente di impatto. Ma la riflessione introduce un tema: se cambiano le forme con cui il male politico - il nazifascismo un tempo - si presenta al mondo, perché gli strumenti di tutela non dovrebbero mutare altrettanto? Se l’immobilismo è uno dei mali contemporanei, si potrebbe - dovrebbe? - persino mutare la Costituzione per rimuoverlo. O, a priori, non si può? E la scelta a priori non è solo emotiva, retorica, passionale?

Poiché però la visione di chi scrive emerge dalle parole usate, è cosa buona e giusta verificare la debolezza e i tic narrativi anche di chi sostiene il sì. Contro i maledetti gufi, direbbe qualcuno, bisogna pur fare qualcosa, e i promotori della riforma sul sito www.bastaunsi.it lo spiegano così: “Basta un sì per cancellare poltrone e stipendi”. Di nuovo. La politica è raccontata come un poltronificio, un nemico, in fondo sempre cattiva. Ma è la politica che parla di se stessa - Renzi, dagli scranni più alti del Governo, usa gli stessi argomenti - proprio mentre compie un atto di natura squisitamente politica - promuovere una riforma costituzionale e un referendum. Il rischio? Un boomerang cognitivo. E un effetto finzione insieme a un sentimento di sottile vergogna per chi si è e per cosa si fa.

Oppure: “La riforma non è perfetta ma applica molti miglioramenti”. Non pensare all’elefante, scriveva Lakoff. In altri termini: non usare i temi e gli argomenti degli altri. Se la riforma è contestabile, perché non dovrebbero aver ragione i contestatori?

Insomma, le squadre sono in campo. Ognuna si racconta come comanda il cuore. Se riusciranno a parlare anche a quello degli elettori è ancora tutto da vedere.