A cosa serve una vecchiaia lunga, se non si sa bene cosa farne? Bisogna combattere il pregiudizio per cui diventare vecchi significa diventare inutili. Servirà ragionare sull’inclusione, su come gli anziani possano continuare a dare il loro contributo alla società, migliorando la percezione che hanno di se stessi e, di conseguenza, anche la loro salute psicologica e fisica.

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L'età migliore per morire? 75 anni. L'ha scritto il dottor Ezekiel Emanuel, biologo del Center for American Progress, sul The Atlantic – che, per la cronaca, di candele ne ha spente finora “solo” 59.

La morte, ha spiegato, è chiaramente una perdita, ma lo è anche una vecchiaia prolungata e faticosa. Non basta, infatti, vivere a lungo, ma bisogna farlo bene. E se persino Google ha lanciato il proprio centro di ricerca per studiare e sperimentare metodologie e prassi per l'allungamento biologico dell'esistenza – la California Life Company, nota come Calico – il Milken Institute Center for the Future of Aging, centro di ricerca sul futuro dell'invecchiamento, lancia un monito: dobbiamo progettare nazioni per tutte le età.

Ma qualcuno lo sta già facendo? In altri termini, c'è uno stato guida da seguire come modello planetario? Secondo il rapporto annuale sullo sviluppo umano pubblicato a dicembre dalle Nazioni Unite, forse sì. È la Norvegia il posto dove si campa più a lungo e meglio, almeno in termini economici, con un reddito procapite di 60.000 euro annui e una aspettativa di vita elevata: 81,6 anni. L'Italia invece è ventisettesima in classifica: qui possiamo immaginare di vivere più a lungo – 83,1 anni – ma con meno soldi in tasca - 30.000 euro procapite, la metà del gruzzolo degli scandinavi.

Il dato, in sostanza, conferma un fatto noto: l'Italia è vecchia, ma non è un paese per vecchi. Se, infatti, secondo l'Istat oltre 13 milioni di compatrioti hanno più di 65 anni, non tutti possono pagarsi adeguate cure mediche e godersi la terza età. Anzi.

Per l'Osservatorio Findomestic 2015 una famiglia su tre si troverebbe oggi a dover fronteggiare le necessità di assistenza di una persona in là con gli anni, spendendo mensilmente una media di 689 euro al mese – ben il 38% del budget familiare. E se, nel caso contrario, molti anziani svolgono in prima persona un ruolo attivo di welfare familiare, aiutando per esempio le coppie con figli piccoli o contribuendo alle spese di casa, è evidente come non sempre sia facile far fronte ai costi per una vecchiaia felice. Perché non servono solo terapie e medicinali, ma anche cinema, concerti, libri. In una parola: divertimento.

Numerosi, infatti, sono gli studi che confermano l'ipotesi del dottor Emanuel: felicità è una vita non solo lunga, ma soprattutto significativa. E le strategie per una vecchiaia felice riguardano soprattutto il modo di percepire se stessi e il proprio ruolo nel mondo. “Abbiamo creato una nuova fase della vita – ha scritto Linda P. Fried della Columbia University's Mailman School of Public Health - ma non abbiamo ancora immaginato il suo scopo”. Così lo spazio emotivo degli over 65, svuotato di significato sociale, si riempie di paura e gli anziani finiscono per sentirsi esseri umani depotenziati. Persone viste solo tramite la lente di ingrandimento della vecchiaia, senza più l'attribuzione delle competenze, delle passioni, delle esperienze acquisiste nel corso della propria esistenza.

L'invecchiamento però non è una sfida solo individuale – emotiva e fisica – ma anche sociale. E non si tratta esclusivamente di pensioni ed economia. I policy maker, scrivono gli ideatori dell'Experience Corps – progetto nato negli Stati Uniti per permettere ai senior di svolgere un ruolo nelle scuole del paese, aiutando i giovani nell'apprendimento della grammatica – devono pensare anche a rendere le comunità elderly friendly, cioè amichevoli con i più anziani.

Il primo passo è, però, complicato e non riguarda la medicina, ma il linguaggio. Secondo il Journal of Gerontology, infatti, gli stereotipi negativi relativi all'invecchiamento sono più consolidati di quelli sul genere, l'etnia e l'orientamento sessuale – anche se, si potrebbe aggiungere, fanno meno notizia. Non solo. Becca Levy, ricercatrice di Yale, dopo aver condotto uno studio pluriennale su centinaia di individui “maturi”, ha scoperto che chi non è costretto ad affrontare stereotipi negativi sulla vecchiaia ha la possibilità di vivere in media 7,5 anni in più degli altri. Per intenderci: il nonno con una percezione positiva della propria vecchiaia non solo è più felice, ma anche più longevo. E persino più abile.

Lo dimostrano le indagini di Michelle Carlson della Bloomberg School of Public Helath della Johns Hopkins University. La docente ha analizzato tramite neuroimmagini il cervello di alcuni partecipanti all'Experience Corps e ha visto come, dopo solo sei mesi di volontariato, negli individui studiati si riattivano le aree coinvolte nella risoluzione dei problemi complessi. La neuroscienza, insomma, suggerisce che da vecchi non valiamo meno, ma possiamo persino continuare ad apprendere.

Insomma, se l'invecchiamento della popolazione è un problema, resta comunque un bel problema – copyright: World Economic Forum. Soprattutto se sappiamo come affrontarlo. E mentre il Milken Insistute suggerisce di seguire l'esempio delle politiche adottate nei confronti dei più maturi a Singapore – dove il governo ha varato un piano di 60 iniziative per l'invecchiamento sereno – alcune compagnie ad alto contenuto tecnologico si sono dimostrate particolarmente lungimiranti e hanno immaginato servizi specifici per gli utenti meno giovani. Come a dire: la tecnologia fa bene soprattutto ai novantenni.

È il caso di Amazon, per esempio, che tramite il servizio AmazonFresh, disponibile in USA, Canada e dallo scorso ottobre Gran Bretagna, permette l'acquisto online e la consegna a domicilio della spesa. Non una grande novità, in termini di commissione offerta, ma particolarmente utile e capillare. Anche Airbnb, però, è secondo il Washington Post una piattaforma particolarmente adatta agli anziani. Offrendo la possibilità di affittare per brevi periodi una camera, infatti – magari quella lasciata libera dai figli ormai adulti - permetterebbe a chi è in pensione di arrotondare le proprie entrate e di sentirsi ancora parte attiva di una società vitale, che cambia, si trasforma, è in movimento.

Sembrerebbe TaskRabbit, però, la compagnia davvero più adatta alle esigenze dei senior. Sulla piattaforma, infatti, gli utenti - per lo più studenti, casalinghe e disoccupati - mettono a disposizione le proprie competenze e si propongono per svolgere le più disparate commissioni. Portano il cane al parco, aggiustano rubinetti e water, puliscono appartamenti e vanno a pagare le bollette. E se TaskRabbit trattiene il 20% del valore di ogni servizio offerto, si occupa anche di garantire la qualità e l'affidabilità delle persone iscritte, fornendo così agli anziani la possibilità di usufruire in tutta tranquillità dell'aiuto a buon mercato di tante persone e non solo dei propri amici o famigliari. Una sorta di sharing welfare, insomma, in grado di contribuire a quello più classico legato alle catene relazionali corte. Ma gli esempi non finiscono qui. Uber, per dire, potrebbe essere usato negli spostamenti in città, risparmiando sui costi, mentre Washio, piattaforma per servizi di lavanderia, potrebbe essere utile per ritirare la biancheria sporca e riconsegnarla a casa pulita e stirata.

Insomma, le compagnie più note della sharing economy possono sicuramente fornire un supporto nell'economia domestica degli over 65, ma potrebbero persino aiutare a ri-connetterli alle proprie comunità. Non solo utenti, quindi, ma anche fornitori di servizi e esperienze, di posti letto nel caso di Airbnb ma anche di competenze specifiche in quello di TaskRabbit – dove per esempio il nonno potrebbe rendersi disponibile a fare ripetizioni.

Ripensare la vecchiaia significa in fondo anche questo: non immaginarla come una fase di solo abbandono e paura, ma come opportunità per rimettersi in gioco. E se proprio la politica non ci riesce sarà l'innovazione a farlo, offrendo agli anziani la possibilità di tornare ad essere protagonisti della società contemporanea.