I premi e il welfare aziendale, nonché la partecipazione attiva dei lavoratori all’organizzazione delle imprese, possono aiutare a creare ambienti di lavoro migliori, con conseguenze positive sulla produttività, sul rendimento e sull’assenteismo. Alcune parti della legge di stabilità 2016 sembrano andare in questa direzione, la norma apre delle prospettive che vanno però attentamente monitorate.

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Con la legge di stabilità 2016 il governo introduce alcune importanti novità in tema di welfare aziendale, produttività e partecipazione dei lavoratori all’organizzazione d’impresa: infatti, l’articolo 12 del testo presentato dall’esecutivo (articolo 1, commi da 87 a 95 nel testo approvato in prima lettura dal Senato) interviene in maniera molto articolata sul regime fiscale dei premi di produttività.

Queste novità meritano una certa attenzione perché, al contrario che in passato, potrebbero contribuire a incidere sulla produttività e sulla contrattazione di secondo livello, aziendale e territoriale. La norma di per sé non avrebbe un potere taumaturgico, perché non sono solo le regole a determinare cambiamenti, ma di certo le modifiche introdotte semplificherebbero la vita alle aziende, soprattutto piccole e medie, che vogliono avviare piani di welfare e utilizzare lo strumento del voucher, e aprirebbero alla contrattazione di alcuni servizi finora esclusi.

Si supererebbe così la contraddizione che caratterizza l’attuale sistema, per cui se alcuni benefit sono frutto di elargizione volontaria da parte dell’impresa sono soggetti a regimi fiscali favorevoli, mentre se sono oggetto di accordi sindacali non sono agevolati.

La proposta del governo si occupa infatti, tra l’altro, di partecipazione dei lavoratori all’organizzazione aziendale, e anche questa è una novità. Partecipazione da intendere, dal mio punto di vista, come partecipazione diretta declinabile in tutte quelle forme di innovazione nei sistemi organizzativi e gestionali delle imprese: il lavoro in squadra; la formazione per la polifunzionalità; la flessibilità degli orari, con spazi di autonomia nella scelta per il lavoratore; la riduzione dei costi operativi; la condivisione della conoscenza dei processi produttivi; il concorso strutturato e premiante dei lavoratori al miglioramento continuo; le innovazioni per migliorare gli ambienti di lavoro a partire dall’ergonomia; i piani personalizzati per l’uso del lavoro agile (smart working).

Tutte modalità che possono agevolare lo sviluppo di una flessibilità ricca e non legata alla flessibilità esterna (contratti flessibili), alla saturazione dei tempi (tagli alle pause, aumento dei ritmi e dei carichi) e delle ore lavorate (straordinari). Per aumentare la redditività attraverso la riduzione dell’assenteismo, un migliore utilizzo delle tecnologie e una maggiore qualità della produzione e dei servizi. Anche per rispondere ad esigenze di flessibilità che derivano dalla volatilità dei mercati e dai processi di internazionalizzazione.

Le risorse che le aziende recuperano da aumenti di produttività o anche sotto forma di partecipazione agli utili o da forme di partecipazione all’organizzazione dell’impresa sono defiscalizzate e possono essere erogate ai dipendenti in denaro o in welfare. Ora, se partiamo dalla semplice previsione contabile, forse il vantaggio non è poi tanto elevato.

Se, viceversa, le imprese faranno valutazioni di tipo più strategico sui vantaggi del welfare aziendale, non solo per i dipendenti e per l’azienda, ma anche per la ricaduta che questi servizi possono avere sul territorio, ad esempio sul miglioramento del welfare territoriale e sulla creazione di posti di lavoro, soprattutto per le donne, allora il discorso potrebbe essere diverso, anche in termini di convenienza economica. Che il benessere aziendale favorisca la produttività è una idea ormai consolidata: va però applicata, e non è così automatico come sembra.

La soluzione proposta dal governo contiene infatti una parte che è collegata al salario di produttività e agli utili d’impresa, e una che prevede delle modalità partecipative da cui potrebbero dipendere importanti incrementi di produttività e quindi di risorse disponibili per il welfare aziendale, utilizzando le leve fiscali previste dalla legislazione in vigore, con le semplificazioni introdotte dalla legge di stabilità in merito alle modifiche di alcune parti dell’articolo 51 del TUIR.

Nel nuovo sistema i premi di risultato legati ad aumenti di “produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione”, nonché “le somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa” potrebbero, a richiesta del lavoratore, essere fruiti in sostituzione, in tutto o in parte, attraverso servizi di welfare.

Ciò significa che il premio di produttività e la partecipazione agli utili mantengono una imposta sostitutiva del 10%, mentre se erogati in welfare godono delle agevolazioni fiscali già previste dall’articolo 51 del Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR). Ma qui sta la novità forse più importante per far decollare il welfare aziendale soprattutto nelle piccole e medie imprese. Infatti, lo stesso articolo 12 prevede la riforma dell’art. 51 per la parte relativa a opere e servizi di utilità sociale con tre finalità principali: superare il limite della volontarietà e quindi dare impulso alla contrattazione; aggiornare e ampliare le tipologie di servizi; favorire la diffusione di strumenti che ne facilitino la fruizione, come i voucher.

La modifica della lettera f, da una prima interpretazione, consente in pratica ad aziende e sindacati di fare riferimento alle finalità dell’art. 100 del TUIR, che riguarda spese per opere e servizi di utilità sociale, senza “portarsi dietro” anche il vincolo della volontarietà. Superando quella contraddizione, più volte evidenziata, per cui queste spese dovevano essere sostenute volontariamente dal datore di lavoro, mentre il vantaggio fiscale veniva meno se il beneficio era contemplato da un accordo collettivo.

La modifica della lettera f-bis aggiorna e amplia il novero dei servizi soggetti ad agevolazioni fiscali e contributive in base all’art. 51, includendo tutti i servizi per l’infanzia, senza alcun “buco” di copertura, e persino quelli integrativi e di mensa collegati alla frequenza scolastica dei figli, finora esclusi. Sono inoltre introdotti (lettera f-ter articoli 51) i servizi di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti.

La proposta del governo prevede poi che vi sia un premio, valutato nell’aumento di 500 euro del tetto soggetto a vantaggio fiscale, per le aziende che coinvolgono i lavoratori nell’organizzazione del lavoro. I limiti previsti sono di 2.000 euro, elevati a 2.500 nel caso della partecipazione dei lavoratori con un reddito non superiore a 50.000 euro. Con una previsione di spesa intorno ai 500 milioni di euro per gli anni 2016 e 2017.

Non sappiamo se l’articolo 12 della legge di stabilità subirà dei cambiamenti nel suo iter parlamentare e speriamo che, se anche ciò dovesse accadere, non si perda la sua finalità. Così come è formulato credo possa agevolare un meccanismo virtuoso tra recupero di efficienza e produttività, welfare aziendale e qualità del lavoro, oltre ad aiutare lavoratrici e lavoratori a sostenere soprattutto i costi dei servizi di utilità sociale come l’educazione e il sostegno alla non autosufficienza, che sono uno dei motivi per cui le donne abbandonano il lavoro.

E qui il ruolo del sindacato è fondamentale almeno per due motivi: il supporto che può offrire nella partecipazione diretta e nella comunicazione e soprattutto il ruolo che può svolgere nella distribuzione delle risorse tra capitale e lavoro, anche attraverso il welfare.

I detrattori del welfare aziendale lo giudicano negativamente perché tende a sminuire il welfare pubblico e a salvaguardare oggi soprattutto i dipendenti delle grandi aziende; ma sarebbe opportuno riflettere sul fatto che con queste modifiche ad essere aiutate sarebbero le piccole e medie imprese, specie se utilizzeranno i voucher. Dove le imprese avviano piani di welfare aziendale si creano le condizioni per una integrazione dei tre pilastri del welfare (pubblico, privato e familiare), con il risultato di offrire servizi migliori a tutta la collettività e non solo ai dipendenti. Ma questo non è automatico: richiede impegno, collaborazione e capacità progettuali che non avvengono “per legge”.

Inoltre, il sindacato dovrebbe cogliere questa opportunità per richiedere che il monitoraggio sul nuovo sistema sia questa volta effettuato realmente e da soggetti terzi, per consentire a imprese, governo e parti sociali di valutare in maniera pacata e senza pregiudizi i risultati.