La sinistra antirenziana in attesa di un messia, di un Iglesias o di uno Tsipras domestico capace di emanciparla da una condizione di evidente minorità politica, si è innamorata da tempo dell'idea che a rappresentarla possa essere Maurizio Landini. Il segretario della Fiom ha la faccia e la storia giusta, soprattutto nelle sconfitte, a partire da quella storica ed eroica con la Fiat di Marchionne. È pulito, popolare, provinciale e abbastanza furbo per conservare l'allure metalmeccanica anche dopo l'ingresso nelle istituzioni.

SalviniLandini

Dopo l'annuncio, invero enigmatico, di una possibile discesa in politica, subito ridimensionato dall'interessato, la discussione ora sembra vertere su quali siano le vere intenzioni di Landini, nella duplice sfida che lo contrappone tanto al segretario della CGIL Camusso, quanto al segretario del PD Renzi.

Probabilmente ha ragione chi pensa che Landini abbia nel mirino la guida del maggiore sindacato italiano, piuttosto che quella del non-partito della sinistra di opposizione, estesa di fatto ben dentro i confini del PD. Il suo "fare politica" passa oggi dall'idea di liberare la CGIL dalla galera ideologica dell'unità sindacale e da quella vocazione, per così dire, istituzionale, che ai tempi della concertazione le guadagnava un sostanziale potere di veto sui tavoli economici di Palazzo Chigi, ma oggi la rende poco credibile e servibile come attore e soggetto di mobilitazione sociale.

Per fare politica Landini pensa dunque di spostare la CGIL all'opposizione non di questo governo o di questo PD (l'ha già fatto la Camusso), ma di qualunque governo che, per dirla marxianamente, si adatti allo "stato di cose presenti", e non voglia abolirlo, ma governarlo, accettandone compatibilità e condizionalità imposte, sia di ordine locale, che globale.

Il problema, per Landini e per la sinistra politica e sociale che si raccoglie attorno a questo progetto, è che in Italia, come in Francia, e a differenza che in Grecia o in Spagna, la retorica resistenziale contro il mercato e l'ordine economico globale porta oggi irresistibilmente a destra, non a sinistra, e trova un'interpretazione più efficiente nella vulgata fascio-qualunquista di Grillo e Salvini, che nell'intransigenza antagonista del gauchismo post-berlingueriano.

É accaduta la stessa cosa anche con l'indignazione anti-politica, coltivata nel campo della diversità comunista, e finita elettoralmente nel paniere del M5S, dopo avere ingrassato per un decennio i consensi del "compagno" Di Pietro.

A favorire la destra è anche l'assenza di vincoli solidaristici verso gli "ultimi" (a partire dagli stranieri), che le consente di scatenare più liberamente e scorrettamente la frustrazione e la paura dei "penultimi" e di offrire così una concretezza visibile al nemico invisibile che preme alle porte.

Contro il presunto "pensiero unico", a livello di massa, in Italia non funziona la retorica partigiana del sindacalista con la felpa della FIOM, ma quella nazionalista del giovane putiniano con la felpa della Lombardia, o il "vaffanculo al mondo!" di Beppe Grillo. Come direbbe Renzi: compagni, fatevene una ragione.