Con i debiti pubblici alle stelle, l'economia che stagna e la disoccupazione a livelli record, molti governi europei hanno accolto l'annuncio del Quantitative Easing (QE) della BCE come naufraghi che si aggrappano alla prima cosa che galleggia. È una nuova opportunità, forse l'ultima, per illudere gli elettori che la ripresa stia per comparire all'orizzonte, come i soccorsi in mare aperto. Sperano che la situazione dell'economia si normalizzi. Di uscire finalmente dalla finanza pubblica di emergenza e dalla gestione sempre più difficile e logorante dei rapporti con i cittadini e del consenso elettorale.

draghi

Vorrebbero tanto essere aggrappati a una scialuppa, i governanti. Magari proprio una scialuppa con il motore. Invece si tratta solo di una ciambella salvagente. Non ti fa affondare ma ti lascia la dove sei, in balìa delle onde. Il QE di Draghi, in fondo, è questo, una ciambella salvagente. Una ciambella grossa, è vero. Vale 60 miliardi di euro al mese di acquisti di titoli, per almeno un anno e mezzo. Ma è cosi grande solo perché è il naufrago da tenere a galla a essere grosso, appesantito da una zavorra di debiti e bolle finanziarie senza precedenti. Per il resto non cambia, resta pur sempre una ciambella, che ti tiene a galla senza portarti da nessuna parte.

Dal QE, così come dal calo del petrolio, forse è meglio non aspettarsi granché. Lo stesso Draghi ha più volte spronato i governi a procedere spediti sulla strada delle riforme strutturali e a non illudere cittadini, famiglie e imprese su presunte proprietà salvifiche degli interventi monetari non convenzionali. Interventi che, in questa fase storica, di fatto, servono più per tenere a galla i mercati finanziari che per stimolare la crescita o mantenere l'inflazione in territorio positivo. Le parole di Draghi sono chiare in tal senso. Il QE non cambia nulla rispetto a prima. Gli stati devono cavarsela da soli, con le riforme vere, se vogliono che l'economia riparta. In un certo senso, sono parole che suonano anche come un richiamo all'uso più responsabile della comunicazione politica da parte dei governi su questi temi. E qua, chi ha orecchie per intendere, intenda.

Parlano chiaro anche i risultati di un sondaggio che il Financial Times ha realizzato su un panel internazionale di esperti e operatori finanziari. Tre quarti degli intervistati non crede che il QE sarà efficace pel riavviare la crescita economica (un quarto di essi ritiene che il QE non avrà nessun tipo di impatto, la metà pensa che l'impatto sarà comunque circoscritto ai mercati finanziari e non investirà in alcun modo l'economia reale). Poco più del 20 per cento degli intervistati pensa che ci sarà un impatto sull'inflazione. E meno del 5 per cento crede in un impatto positivo del QE sulla crescita economica!

I motivi di tanto scetticismo sono più che comprensibili. Un economista da baraccone, nello stesso modo stilizzato e pedagogico dei manuali di macroeconomia, vi racconterebbe che la BCE comprerà i titoli pubblici detenuti dalle banche, e la liquidità ceduta in cambio dei titoli faciliterà, via minor costo del denaro, l'erogazione di prestiti a favore di imprese e famiglie stimolando investimenti e consumi. È un ragionamento che funziona bene sulla carta, ma non altrettanto nella realtà dei fatti. Perché l'intoppo non è "a monte", cioè nella creazione di liquidità. L'intoppo sta più a valle, nelle scelte del sistema bancario.

Chi assicura che le banche utilizzeranno la liquidità per finanziare l'economia reale? Potrebbero scegliere di tenersela "in cassa", per scopo precauzionale. Oppure investirla in altri prodotti finanziari sicuri, alleggerire la propria posizione di rischio, migliorare i margini e proteggere così le proprie quotazioni. D'altronde è proprio questo che hanno fatto in passato con le precedenti iniezioni di liquidità, i famosi long term refinancing operation (Ltro). Lo hanno fatto persino con i successivi interventi che la BCE aveva finalizzato proprio all'erogazione di credito alle imprese, i targeted long term refinancing operation (Tltro).

In occasione delle precedenti iniezioni di liquidità, le banche hanno acquistato soprattutto titoli pubblici. E la parte che avanzava l'hanno tenuta depositata presso la BCE. Il rendimento di questi depositi ora è negativo ma le banche continueranno a preferirli perché tutto sommato in questo modo mantengono al sicuro i soldi invece di rischiarli negli investimenti di una economia reale stagnante e senza prospettive. Nessuno può assicurare che la liquidità generata dagli acquisti di titoli programmati con il QE non prenda la stessa strada. Con ogni probabilità, la liquidità resterà confinata nell'ambito dei mercati finanziari senza nemmeno sfiorare l'economia reale, la crescita e l'occupazione. Qualcuno potrebbe obiettare che il QE sarà efficace perché la svalutazione dell'euro renderà più competitivi i prodotti italiani sul mercato internazionale. Io non credo nemmeno a questa possibilità. Ma me ne occuperò in modo più dettagliato nel prossimo articolo.

Anche alla luce delle esperienze internazionali, l'efficacia del QE come strumento per uscire dalla stagnazione e tornare a crescere appare quanto meno dubbia. Troppo spesso se ne parla in termini lusinghieri sulla scorta dell'esperienza americana, e si dimentica invece il Giappone con la sua fallimentare Abenomics. Si dimentica, inoltre, che negli Stati Uniti l'andamento favorevole del PIL non è tanto il risultato della politica monetaria ultra espansiva della FED, quanto il (sotto)prodotto dei programmi espansionistici della spesa pubblica varati dall'amministrazione Obama nel 2009. Stiamo parlando di quasi 800 miliardi di dollari.

È bene chiarire subito che questo tipo di programmi di espansione della spesa pubblica, da noi, in Europa e soprattutto in Italia, non avrebbero la stessa efficacia. Non è il caso di tornare ancora una volta sulla distanza abissale che ci separa dagli Stati Uniti sotto il profilo dell'assetto strutturale del mercato del lavoro, dell'efficienza degli apparati pubblici, del peso della burocrazia. Distanza che rende il nostro potenziale di crescita, e anche di reazione dell'economia agli stimoli della politica fiscale, praticamente irrilevanti rispetto agli USA. E poi questo tipo di programmi noi non ce li possiamo permettere. È il livello dei nostri debiti pubblici a dirlo. Ed è inutile appellarsi alla possibilità di emettere euro-bond. È ormai assodato che non c'è nessuna disponibilità da parte dei paesi virtuosi a condividere il rischio con i PIIGS. È proprio questa mancanza di disponibilità il motivo per cui la Germania, come condizione per accettare il QE, ha chiesto e ottenuto che l'80% degli acquisti di titoli venga fatto con rischio a carico delle banche centrali nazionali e non della BCE.

Non dobbiamo farci troppe illusioni sul QE. D'altro canto, evitare la deflazione, far ripartire il credito, la domanda e l'economia sono solo la motivazione ufficiale degli interventi non convenzionali di politica monetaria. In realtà sono i mercati finanziari a richiedere continue iniezioni di liquidità, per non andare incontro a una nuova crisi e al probabile collasso.

Ci ritroviamo naufraghi in mare aperto perché fino a oggi non abbiamo saputo e voluto riformare l'economia, la società e le istituzioni. Il salvagente di Draghi ci aiuterà a tenerci ancora a galla ma non ci porterà da nessuna parte. Tra un po' i governi dovranno prenderne atto. Io me li vedo già. Costretti a evitare la deriva delle onde a colpi di bracciate e intenti a spargere un improbabile ottimismo.