Nella storia dell'ultimo ventennio l'evocazione dell'emergenza democratica ha accompagnato i travolgenti successi del Cav. La tesi era che la democrazia fosse minacciata non già dalla violenza o dalla violazione delle regole formali della competizione politica, ma dal successo di un uomo di quattrini e di spettacolo capace di usare in modo spregiudicato dei propri mezzi pubblici e privati per farsi – diciamo così – gli "affari suoi", con la benedizione, cioè il voto favorevole, della maggioranza degli elettori e la placida obbedienza delle sue truppe parlamentari, disposte a passargli di tutto, pure la millantate parentele presidenziali di Ruby, per stare agganciate al carro del Berlusconi triumphans.

Renzi Berlusconi grande

Malgrado al Cav. venisse contestato una sorta di "abuso di diritto", non fiscale, ma elettorale, l'accusa di fondo era più politicamente sostanziale. L'anomalia democratica era rappresentata dal fatto che le elezioni le vincesse lui, e non un altro. La democrazia era minacciata dalla mera possibilità che Berlusconi arrivasse a Palazzo Chigi (anche se, a dire il vero, nel corso del ventennio, Berlusconi ne è entrato e ne è uscito più volte e non ci si è definitivamente stabilito, come il suo amico Putin al Cremlino). E l'accusa, più che al Cav., era di fatto rivolta agli italiani che gli prestavano fiducia. Il "condizionamento" del quadro democratico era rappresentato dal fatto stesso che uno così, con tutti quegli impicci e scheletri nell'armadio, agli italiani potesse piacere, o dispiacere meno dei suoi competitori.

Poiché Berlusconi era considerato in sé una sindrome patologica della normalità democratica non occorreva fare neppure troppa differenza tra un supposto abuso e un altro. La riforma costituzionale del 2005 e la macchina del fango del 2010 hanno rappresentato, per i suoi pregiudiziali e carissimi nemici, le vacche ugualmente nere della nera notte berlusconiana: non valeva la pena distinguere, andando troppo per il sottile, tra le diverse prove della sua vocazione autoritaria. Per i suoi amici, in modo uguale e contrario, entrambe hanno invece rappresentato mezzi per un unico fine lecito, due modi diversi per difendere la leadership del Cav. dalle pretese degli usurpatori.

L'emergenza democratica anti-Cav. è stato quindi per un ventennio un rumore di fondo della politica italiana, un enorme bla bla bla casuistico e grossolano che alla fine è servito agli antiberlusconiani per non comprendere le ragioni della propria sconfitta e ai berlusconiani per non accettare i limiti della propria vittoria – cioè è servito a tutti per non capire niente di quel che stava politicamente succedendo in Italia.

Che ora il fantasma dell'emergenza democratica torni ad aleggiare sulla vita politica italiana, agitato questa volta perfino dal Cav. contro la "dittatura" di Renzi è insieme ridicolo e coerente. Anche in questo caso, sebbene l'accusa muova da rilievi "giuridici" sulle riforme istituzionali, fatte – si dice – a uso e consumo del PD e della strategia propagandistica renziana, la vera denuncia riguarda il fatto stesso che a comandare, oggi, possa essere uno come Renzi e che la sua leadership risulti incontrastabile nel campo politico, e non contrastata neppure dal fronte antipolitico, diviso tra Grillo e Salvini, cioè tra mondi al momento non alleabili, anche se assai più somiglianti di quanto sembri.

Anche nel caso di Renzi, come avvenne per Berlusconi, questo rumore di fondo impedisce di distinguere i suoni, questo velo ideologico impedisce di cogliere la trama logica del discorso renziano e quindi sia i suoi punti di forza, che quelli di debolezza. Soprattutto però il mantra "emergenziale" fa risparmiare all'Italia una riflessione ben più profonda e dolorosa sulla sua storia recente e forse presente e che non riguarda la "dittatura" dei leader di successo, ma l'impotenza sul piano del governo di leadership apparentemente onnipotenti sul piano del consenso.

Prodi e Berlusconi, il prodismo e il berlusconismo, sono stati due esempi paradigmatici di questo fenomeno, due leadership di forza impressionante (in termini quantitativi, anche superiore anche a quella che oggi Renzi può vantare), ma di ancora più impressionate debolezza, visto che a loro e forse anche alle ragioni del loro contrapposto successo si lega il declino italiano dell'ultimo ventennio e l'inefficienza del nostro mercato politico. Tutte le chiacchiere sulla democrazia violata e usurpata a questo servono: a non capire che alla fine la vera differenza politica tra la Merkel e Berlusconi-Prodi è quella tra la Germania e l'Italia.

@carmelopalma