Il gioco politico non è uno sport individuale, che premia il giocatore più abile e capace. Nella rappresentazione delle vicende politiche naturalmente emergono i personaggi che le interpretano, assai più dei processi che ne determinano gli esiti. Ma anche il teatrino della politica, al di là delle apparenze, è una storia di fatti, non di "gesta".

Il successo di Renzi nell'elezione del nuovo Capo dello Stato è stato rappresentato come un trionfo del migliore (il più sveglio, il più abile, il più coraggioso...) sui peggiori e come una manifestazione definitiva della superiorità del premier sulla mediocrità dei suoi avversari interni e esterni, costretti a piegarsi o a soccombere. Come a dire: il fuoriclasse batte i brocchi, punto e basta. Così doveva essere e così è stato.

Renzi Mattarella grande

In Italia cambia tutto, a quanto pare, ma non l'abitudine a personalizzare la rappresentazione dei fenomeni politici, a metà tra la commedia di carattere e l'opera dei pupi. In realtà tutto, anche gli aspetti più soggettivi delle leadership vincenti – accadde con Berlusconi, accade oggi con Renzi – conservano una relazione profonda e vitale con la forza delle ragioni storiche, culturali e sociali – cioè oggettive – del loro successo. E questa forza impersonale si sprigiona anche in quei passaggi cruciali in cui la capacità di azzardare e di resistere, di vedere o di passare, sembra solo legata al temperamento o alla psicologia dei giocatori e alla loro inclinazione al rischio.

La scelta di Mattarella e la sua intronazione al Colle da parte di Renzi è stato uno di questi passaggi e tra tutti quello forse più esemplare, dacché l'ex sindaco di Firenze ha scalato il PD e si è installato a Palazzo Chigi. Renzi non ha una coalizione o una maggioranza di riferimento – quella di governo, quella per le riforme, quella presidenziale... – semplicemente perché non ne ha bisogno. L'unica maggioranza autenticamente renziana che il leader del Pd ha in testa è quella "monopartitica" prefigurata dall'Italicum. Tutte quelle a cui di volta in volta si appoggia per arrivare a un obiettivo vanno bene o male a seconda delle circostanze, ma sono puramente strumentali rispetto alla sostanza del suo disegno.

All'interno di questo disegno, nel voto sul Presidente della Repubblica l'obiettivo di Renzi era di consolare con la carota di un candidato unitario quella parte del Pd bastonata dall'Italicum e dal Jobs Act. E quell'obiettivo ha raggiunto.

Il Presidente del Consiglio ha un progetto e il consenso necessario per realizzarlo mentre gli orfani del Nazareno – Berlusconi e Alfano – non hanno un progetto autonomo, né un consenso sufficiente per coltivarlo e affrancarsi dal parassitismo politico-istituzionale del consenso renziano. Anche se dal punto di vista puramente aritmetico è Renzi ad avere bisogno di loro – per le riforme costituzionali e per il governo, cui la maggioranza "presidenziale" di sinistra è in parte rilevante indisponibile – da punto di vista politico sono loro ad avere bisogno di lui.

Questo spiega qualcosa che a prima vista sembrerebbe del tutto incomprensibile, cioè che Renzi ricatti con la minaccia del voto anticipato Berlusconi e Alfano, malgrado, in linea teorica, dal voto anticipato con il Consultellum, senza premio di maggioranza, la ricostituita coppia del centro-destra "moderato" uscirebbe determinante per qualunque maggioranza di governo, mentre Renzi, anche se prendesse il 35-40% dei voti, sarebbe costretto a chiedere il loro permesso per tornare a Palazzo Chigi (escludendo impossibili alleanze del PD con la Lega e il M5S).

Perché il ritorno alle urne fa più paura a chi, guardando i sondaggi, più avrebbe da guadagnarne per valorizzare il proprio residuale 12-15%? Perché né Berlusconi, né Alfano hanno dalla propria parte un vero partito – con un progetto, una consistenza non occasionale, un'idea di sé e del proprio futuro – ma solo una anonima massa di manovra parlamentare, che la prospettiva del voto anticipato farebbe in buona parte scappare sbandata e in ordine sparso in braccio a Renzi, come i profughi del M5S. E a questo si aggiunge che lo stesso Berlusconi è evidentemente condizionato più da interessi extrapolitici, che da ambizioni politiche.

E non cambierà nulla, finché la situazione sarà questa, cioè finché l'antipolitica grillina e quella leghista si divideranno il consenso antipolitico, elidendosi reciprocamente e quel che resta del centro-destra berlusconiano vivrà in una condizione politicamente gregaria, a rimorchio locomotiva renziana. E in questo campo nulla cambierà, finchè Berlusconi non si farà definitivamente da parte e non nascerà qualcosa di nuovo e non ipotecato dalle solidarietà, dalle inimicizie e dai risentimenti di questo ventennio.

@carmelopalma