Olof Palme, il mitico leader socialdemocratico svedese, concludeva le campagne elettorali in una grande assemblea dei lavoratori dello stabilimento della Volvo, ospite dei sindacati.

susanna camusso

In tutto il mondo o, almeno in gran parte di esso, tra cui sicuramente i Paesi europei, quello tra partiti e sindacati è un rapporto genetico, che ha subito mutazioni, processi di subordinazione o di autonomia, cambiamenti di verso nel movimento delle cinghie di trasmissione, ma che non è mai venuto meno.

Questo stato di cose ha spiegazioni storiche differenti, ma tratti comuni ormai consolidati nel tempo. In generale, quando il sistema politico è bipolare il sindacato tende ad essere alleato dei partiti o del partito della sinistra; laddove esiste un quadro politico pluralista è normale che anche i sindacati si specchino nelle diverse ideologie ed istanze che lo compongono. In tali casi, può persino capitare – come è avvenuto in Italia - che il sistema politico si attesti su di un modello bipolare, con le caratteristiche del cartello elettorale piuttosto che della forza politica vera e propria; ma che l'ordinamento sindacale rimanga, in qualche modo, fedele all'antico pluralismo, come un'Atlantide rimasta a galla sull'acqua mentre – diversamente dalla leggenda – tutto il resto del mondo si inabissava.

Da noi è stato così: mentre la Cgil, per la sua potenza di fuoco organizzativa, diventava l'azionista di riferimento (in sostanza la ''padrona'') della sequela Pds-Ds-Pd e delle variopinte ed affollate coalizioni della gauche, Cisl e Uil (ma come loro le organizzazioni del movimento cooperativo e del mondo economico costituite ad immagine e somiglianza dei partiti della Prima Repubblica, poi scomparsi nel nulla) rimanevano in una ''terra di nessuno'', costrette, per sopravvivere, ad appoggiarsi, come in un Limbo, ora ai governi considerati "nemici" dalla Cgil, ora ritornando a Canossa nell'alveo di una stentata unità d'azione.

In fondo, anche la Cisl e la Uil avevano dei riferimenti tra i soci fondatori del Pd, ma non potevano contare su di una sostanziale eguaglianza con quanti, nei sindacati e nel partito, vantavano un comune alto lignaggio di ex Pci. Chi era stato comunista era ''più uguale'' degli altri. La sapeva più lunga.

Poi, all'improvviso, all'interno del Pd ha avuto inizio la fase del ridimensionamento se non addirittura dell'estromissione degli ex comunisti, sia attraverso un inteso ricambio generazionale (per essere stati iscritti e dirigenti del Pci occorre avere almeno tra i 40 e i 50 anni), sia attraverso una concentrazione del potere interno in mani di ex dc o di democrat privi di un passato. Poi, alla stregua del virus Ebola, è scoppiata, improvvisa ma non inattesa, la ''guerra a sinistra''. Le questioni del Jobs act Poletti 2.0 e del disegno di legge di stabilità sono soltanto dei casus belli, quasi dei pretesti, di una sfida a sinistra che, da latente, è divenuta aperta.

A dividere il popolo che si riconosce nella Cgil e quello che si è ritrovato alla Leopolda ci sono ormai un differente sistema di valori e una diversa visione del presente e del futuro. A separare i ''due mondi'' della gauche non vi sono soltanto le polemiche che i leader si scambiano quotidianamente: Susanna Camusso che snocciola tutto l'armamentario di una tradizione ammuffita, fino alla proclanazione salvifica (quasi un atto di fede) dello sciopero generale; Matteo Renzi che colpisce al cuore il ''credo'' degli avversari affermando che l'istanza del posto di lavoro fisso appartiene al passato.

Come finirà lo scontro tra le due sinistre ? In questa vicenda si nota, prima di qualsiasi altro aspetto, che non tornano i numeri. Il Pd di Renzi può vantare – e non esita a farlo - un risultato di quasi il 41 per cento alle elezioni europee. Dal canto suo, la Cgil, con alcuni milioni di iscritti, è in grado di mobilitare ancora centinaia di migliaia di lavoratori e pensionati. Eppure il sindacato di Susanna Camusso può contare, nei fatti, su di una minoranza – confusa ed impotente - che è intorno, complessivamente, a meno di un terzo del partito.

Matteo Renzi raccoglie – è noto - milioni di voti in aree elettorali diverse dalla Cgil. Ma dove finiscono (o finiranno), allora, i suffragi ''orientati'' dalla confederazione rossa? Una parte nel Sel, d'accordo. Ma è una forza politica troppo piccola. Forse Beppe Grillo dovrebbe cominciare a porsi il problema. Se ne fosse capace, naturalmente. La Cgil, però, può fare tutti gli scioperi generali che vuole, può qualificarsi sempre più come un sindacato autonomo, ma non è in grado di grado di cambiare il proprio DNA: nata da una costola della politica deve trovare dei riferimenti di natura politica.

Certo, si possono fare dei giri di valzer con la Lega in occasione del referendum abrogativo della legge Fornero sulle pensioni, almeno fino a quando la Consulta – ce lo auguriamo – non dichiarerà inammissibile il quesito ai sensi dell'articolo 75 della Costituzione. Sia Grillo che Salvini possono rubacchiare dei suffragi, anche tanti, ma non sono in grado di diventare dei punti di riferimento per dei militanti abituati a compiere una scelta univoca in politica e nell'adesione ad un sindacato.

Camusso sa che la prima fase della sfida a sinistra sarà vinta da Matteo Renzi, che il suo sciopero generale e quelli di Landini non serviranno a nulla, anzi rafforzeranno il premier-ragazzino. Renzi può essere sconfitto (o ridimensionato) soltanto sul piano politico, se si darà vita ad una consistente forza elettorale alla sua sinistra, in grado non tanto di essere un'alternativa (da sinistra in Europa non si governa) ma un interlocutore competitivo e condizionante.

La Cgil è disposta a fare sua questa partita ? E con quali altre forze? Sergio Cofferati ci provò nel 2001, ma non ebbe il coraggio di misurarsi in prima persona e mandò avanti un re travicello come Giovanni Berlinguer. Susanna Camusso non avrebbe il carisma necessario. Il solo uomo che potrebbe essere prestato alla causa si chiama Maurizio Landini. Tra i corvi anche un colombaccio può essere scambiato per un'aquila.

Intanto, se i loro gruppi dirigenti fossero intelligenti, Cisl e Uil si accrediterebbero presso il Pd di Matteo Renzi, magari avviando un processo di unificazione tra le loro sigle. Ma la Cisl ha allontanato Giorgio Santini, un dirigente capace di una visione, affidandosi all'usato sicuro di Annamaria Furlan. La Uil, eleggendo al posto di Luigi Angeletti il 67enne Carmelo Barbagallo ha trasformato la segreteria generale in una residenza per anziani.