"Fottetevene del lavoro, la cosa importante è il reddito". Si parla di reddito di cittadinanza. Ne parla Grillo. E ne parla proprio così, da piazza San Giovanni alla chiusura di campagna elettorale. Il reddito di cittadinanza è uno strumento fondamentale in un mercato del lavoro libero ed efficiente. È tuttavia, appunto, solo uno strumento, ed è uno strumento che serve al lavoro, non ne è un'alternativa.

Ovviamente Grillo lo sa, e infatti nelle interviste rilasciate nel backstage dello stesso palco dal quale lancia l'invettiva anti-capitalista contro il lavoro "che non è tutto nella vita", ricondurrà il discorso alla dimensione reale – e cioè al reddito minimo che non è garantito, ma opzionato all'impegno effettivo del disoccupato a rendersi occupabile – quindi non a fare il mantenuto dello Stato a vita come invece il fuori-classe della paraculaggine lascia intendere quando lascia i giornalisti per passare alla piazza.

In questa corruttiva soavità grillina sta in realtà l'essenza di questa campagna elettorale italiana: la politica che si ripropone come il padrone che dispensa denaro, neanche più posti di lavoro, politiche di sviluppo, lusinghe di generale prosperità. È la scarpa destra di Achille Lauro, nulla di più. La politica che si fa Stato nel senso di dispensatore di una ricchezza pubblica che si rivendica come prevalente, se non ancora del tutto unica, per il paese.

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La centralità della politica nel discorso pubblico italiano non ha eguali negli altri paesi europei. Guardate i giornali e le tv inglesi, francesi, tedesche: le elezioni sono state trattate come un tema importante, ma non totalizzante. Per la campagna elettorale italiana invece sono stati stravolti i palinsesti tv, occupate le piazze in una persino ridicola competizione a chi le occupava di più - come se le adunate politiche fossero in qualche modo segno di partecipazione e consenso. Le adunate invece le fanno i regimi – ha osservato Claudio Velardi .

In democrazia si va in piazza per protestare. Ci si va quando "la libertà è davvero a rischio. Quando sono in ballo principi fondanti di una comunità. In quei momenti, in caso di effettive emergenze, le persone normali sentono il bisogno di partecipare più intensamente alla vita pubblica, e sono capaci di mobilitazioni partecipate, significative, drammatiche. Insomma vere." Come se, oltretutto, la piazza potesse avvicinare la politica alle persone e non piuttosto amplificarne la distanza siderale: quelli lassù dal palco a raccontare storie, quelli giù come dei deficienti, passivi, ad ascoltare.

Siamo abituati a colloquiare su Twitter, a interagire a tu per tu con il Presidente del Consiglio: la piazza è una regressione ad un tempo antico in cui la politica era effettivamente tutto perché lo Stato era tutto. Ma lo Stato non è più tutto per il fatto stesso che non siamo più cittadini solo di quello Stato: lo siamo di una dimensione più grande che è quella europea, e lo siamo – in maniera nemmeno solo potenziale – del mondo intero. Possiamo votare con i piedi, semplicemente trasferendoci altrove; possiamo partecipare alla politica, semplicemente collegandoci al web.

Il nuovo che avanza invece ci ha ri-precipitato in un paradossale piccolo mondo antico in cui, come ai tempi di Don Camillo e Peppone, contano le bandiere del Partito, le icone tramortite del passato. Quel passato che non si elabora, si mitizza come fosse un cult movie in bianco e nero che ci ricorda la gioventù. È il Ber-lin-guer conteso dalla chiesa piddina e dalla setta grillina che sembra dire semplicemente una cosa: conta il Partito, non tu individuo libero. Conta quello che il Partito ti può dare – in termini neanche troppo velatamente materiali. Conta l'appartenenza al Partito-Stato che si ripropone dispensatore di manna. Conta che se stai con noi, noi ti consideriamo dei nostri e avrai i tuoi vantaggi.

È stata una regressione culturale, civile, questa campagna elettorale. Una regressione democratica che ci ha reso tutti obbligatoriamente complici della pretesa partitocratica – cioè di questo o quel partito - ad occupare il nostro spazio civile, invece di liberarlo e restituirlo alla nostra autonomia di singoli. Il compito della politica è aumentare gli spazi di libertà dei cittadini, non soggiogarne le possibilità opzionandole alla iscrizione alla chiesa più forte.

In questa soffocante campagna elettorale abbiamo invece avuto la manifestazione di quale arroganza sia invece capace la politica che, sfruttando la desolazione materiale dei più, torna ad essere partitocratica - anche quando si presenta nella sua più spregiudicata variante movimentista.

@kuliscioff