“Sono particolarmente soddisfatto per la forte presenza femminile, segno di un protagonismo che chiedeva da troppo tempo un pieno riconoscimento”, ha commentato ieri Renzi a margine della presentazione delle liste di nomi per i vertici di alcune società quotate partecipate dallo Stato. Il Premier è ricorso al termine "protagonismo" per riferirsi a un arricchente potenziale che sollecita di essere espresso: un sostantivo diverso sarebbe probabilmente risultato più adeguato.

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Infatti, quello adoperato ha di norma una valenza negativa, indicando chi smania una ribalta, un palcoscenico indispensabile solo per mettersi in mostra. Legittimo è il dubbio se con quella parola -"protagonismo" - Renzi intendesse indicare un'istanza di giusto riconoscimento di merito e competenza manifestata in maniera sempre più decisa dalle donne del Paese; o piuttosto se, inconsapevolmente di certo, si riferisse proprio alla smania suddetta, che alcune evidenziano in maniera marcata ogni qual volta debba essere assegnato un posto al sole, in forza di un vittimismo da discriminazione che non mancano mai di sbandierare.

Quanto al primo versante del dubbio avanzato, si ha motivo di ritenere che il Premier conosca gli studi (qui richiamati) che rilevano i “benefici effetti di una maggiore presenza femminile ai vertici aziendali”. Tuttavia, qualora egli avesse realmente voluto conferire un concreto risalto all'apporto che le donne possono dare alla gestione operativa delle società cui le nomine sono riferite, avrebbe attribuito loro incarichi più rilevanti in termini decisionali, anziché concedere alle prescelte un compito che poco o niente esprime, di solito, in tal senso. Ne consegue che, forse, il secondo versante del dubbio è quello più fondato, sì che alle donne è stata graziosamente riconosciuta una visibilità di facciata, considerato che “a nessuna è stato affidato il timone aziendale”, come da più parti rilevato. Ma la loro presenza ai piani alti sarà di fatto aumentata, le richieste di “protagonismo” verranno così soddisfatte e i posti di comando rimarranno declinati al maschile, come sempre: tutti accontentati, dunque.

C'è chi rileva che le donne siano state - almeno e finalmente – valorizzate dal nuovo Presidente del Consiglio e, quindi, che ogni polemica risulti strumentale a fini diversi: del resto, "gufi" e "rosiconi" pullulano ovunque e chissà se a tali categorie verranno ascritti coloro i quali osino formulare osservazioni critiche circa i ruoli previsti per le candidature indicate. Secondo l’impostazione appena richiamata, delle nomine al femminile operate mediante le liste predisposte ci si dovrebbe accontentare, apprezzando le scelte “rivoluzionarie”, se non altro in quanto senza precedenti: convincendosi, in buona sostanza, che vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare.

Qualcuno, invece, animato da un’istanza di trasparenza e dalla necessità di ottenere motivazioni fondatamente idonee a conferire accountability al Potere, ancora domanda: se colui il quale sin dall'inizio del suo mandato ha dichiarato di reputare il valore aggiunto delle donne come elemento fondamentale in politica, diritto, economia, e chi più ne ha più ne metta, avesse voluto promuovere la parità di genere, non avrebbe forse dovuto optare per soluzioni diverse, attribuendo alle nominate poteri adeguati a un'incidenza sostanziale nelle dinamiche societarie? Conseguentemente, un’altra domanda sorge spontanea, come si usava dire un tempo quando non tutto era dato per scontato: non vi erano donne preparate, cioè capaci di ricoprire ruoli esecutivi, sì che il Presidente del Consiglio ha evitato di affidare al c.d. genere sottorappresentato responsabilità troppo delicate, o la gender parity per il Presidente stesso è solo uno slogan da sfoggiare per attrarre consensi al femminile? Qualunque sia la risposta, essa è sconfortante, comunque.