Pochi giorni fa, in un tweet, Matteo Renzi annunciava che, "alla faccia dei gufi", il documento di economia e finanza (DEF) 2014 “mantiene tutti gli impegni” assunti dal governo. Ritrovare nero su bianco nel documento i punti della road map, per lui, sarà stato un sollievo. Però, forse, sarebbe stato più prudente scrivere che il DEF conferma tutti gli impegni, non che mantiene tutti gli impegni. E sarebbe stato meglio aspettare prima di rinfacciare tutto questo ai gufi.

renzi padoan

E' prematuro parlare di impegni mantenuti, prima di tutto, per la natura stessa del documento di economia e finanza. Il DEF, discendente dei vecchi documenti di programmazione economica e finanziaria (DPEF), si limita a tracciare linee guida e a illustrare obiettivi di politica economica. Scrivere proposte di intervento nel DEF è una cosa. Altra cosa è realizzare gli interventi. Tra l'altro, a parere di chi scrive, il vecchio DPEF, per lo meno nel suo disegno originario, presentava una struttura più concisa, illustrava rapidamente, in modo chiaro e dettagliato gli andamenti tendenziali, gli obiettivi di finanza pubblica e la politica di bilancio. Tutti elementi che poi venivano recepiti nelle leggi finanziarie. Il DEF appare più articolato ma anche molto più prolisso e generico. Cosa che lo rende da un lato più adatto al marketing politico, ma dall'altro lato sicuramente meno solido e credibile sugli obiettivi di politica economica e sul mantenimento degli impegni politici.

Oltre all'impostazione di fondo, ci sono alcuni punti del documento sui quali vale la pena riflettere. Parliamo innanzitutto dell'impegno al quale il Presidente del consiglio tiene di più, lo sgravio fiscale di 80 euro al mese per i lavoratori dipendenti che guadagnano meno di 25 mila euro lordi annui. Renzi ha promesso di concederlo perentoriamente a partire dal prossimo mese di maggio, e il perché non è certo un mistero. Ma al di la delle ragioni elettorali, questo intervento solleva perplessità sia nel merito, perché avrà un impatto debole sull'economia e perché è iniquo nei confronti dei lavoratori autonomi esclusi dal bonus, sia soprattutto per le coperture finanziarie, che al momento sono in gran parte una-tantum e non utili per un provvedimento che il governo vorrebbe far passare come strutturale e permanente. È molto probabile che, se vorrà veramente mantenere la promessa, già dal 2015 Renzi dovrà chiedere al ministero dell'economia di rimettere mano alle coperture con tutte le difficoltà e i grattacapi che questo comporta.

Un altro punto importante riguarda l'impatto che gli interventi proposti nel Programma Nazionale di Riforma (PNR) dovrebbero avere nel loro insieme sulla crescita e l'occupazione. Voglio includere nel ragionamento non soltanto le proposte di Renzi, ma anche i provvedimenti assunti dai governi precedenti a partire dal 2012. L'attuazione di tutti questi interventi, previsti dal nuovo PNR e dai precedenti, secondo le simulazioni dei tecnici del ministero produrrebbe un impatto non trascurabile sulla crescita del PIL. Dopo qualche semplice elaborazione sui numeri del DEF, si ottiene come risultato un punto in più di crescita nel 2014, 0,8 punti nel 2015, 0,6 punti nel 2016 e mezzo punto in più nel 2017. Se i provvedimenti venissero attuati subito e funzionassero veramente al meglio, dunque, nel prossimo quadriennio l'economia italiana dovrebbe crescere a un tasso molto vicino al 2 per cento, superandolo addirittura a fine periodo (figure 1 e 2, in calce all'articolo).

Ma paradossalmente proprio il DEF, riconoscendo le obiettive difficoltà di attuazione delle riforme, nel quadro macroeconomico opta realisticamente per previsioni di crescita molto più modeste: crescita effettiva nettamente sotto il 2 per cento e crescita potenziale addirittura schiacciata sotto il mezzo punto percentuale: nel PIL previsto dal DEF, perciò, non c'è traccia delle riforme. Chiaramente, messo da parte l'ottimismo del marketing politico, il documento vuole farci intendere che l'economia non riparte con le promesse del PNR, o che, per lo meno, non possiamo contare solo su quelle. Sicuramente non nel breve periodo. Nella migliore delle ipotesi esse produrranno effetti apprezzabili in un arco di tempo più lungo.

Alla fine, interventi veramente incisivi e in grado di far ripartire l'economia, nel DEF, non ci sono. D'altro canto, ed è questo il terzo punto, in un paese dove il bilancio pubblico intermedia oltre metà del PIL, non si può pensare di incidere sull'economia senza incidere anche sulla struttura e sulla dimensione complessiva delle entrate e della spesa pubblica. Tutto ciò nel DEF manca. Mancano interventi in grado di riformare radicalmente il bilancio pubblico, di ridurre strutturalmente la spesa pubblica corrente primaria e ricavarne risorse per abbattere in modo strutturale e consistente la pressione fiscale. In poche parole, nel DEF è completamente assente la politica di bilancio.

Le previsioni tendenziali riportate nel documento del governo indicano una spesa corrente primaria ancora superiore al 40 per cento alla fine del prossimo quadriennio, e una pressione fiscale ancora sopra il 43 per cento! Nemmeno i tagli di spesa individuati dalla spending review di Cottarelli, pur valutati in quasi 34 miliardi di euro a regime, potranno venire incontro a questa esigenza. Prima di tutto perché si tratta ancora di tagli potenziali di spesa, e nei loro confronti lo stesso Renzi in più occasioni non ha nascosto una certa contrarietà. In secondo luogo, per centrare e mantenere l'obiettivo del pareggio di bilancio serve una correzione che a regime vale proprio 34 miliardi di euro (figura 3). I risparmi della spending review in ogni caso sarebbero già tutti ipotecati dagli obiettivi di deficit pubblico per i prossimi anni. E nulla resta per abbattere la pressione fiscale.

Invocare la cosiddetta "clausola delle riforme strutturali" in cambio di una maggiore flessibilità dei vincoli di bilancio europei per stimolare un po' la domanda interna serve a poco. Prima di tutto perché gli effetti delle riforme, come si è visto, risultano quanto meno incerti e la Commissione europea se ne accerterà prima di concedere il nulla osta. E poi perché quei margini di flessibilità sarebbero comunque temporanei. Dopo di che ci ritroveremmo al punto di partenza. Trasferire gli impegni politici dalle slides della conferenza stampa a un vero documento di governo rappresenta un primo passo avanti. Significa averli messi nell’agenda di politica economica. Ma il più resta ancora da fare, e non sarà affatto facile farlo. Fossi stato nei panni del Presidente del consiglio avrei aspettato a proclamare vittoria sui gufi. Perché devono ancora cominciare a cantare.

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