Dalla crisi della carta igienica al Natale anticipato di due mesi, dal controllo dei prezzi ai saccheggi ai negozi di elettrodomestici, tutti i paradossi di un paese che, inspiegabilmente, continua ad esercitare in molti ambienti intellettuali un fascino irresistibile.

davide de luca

Lo scorso ottobre il presidente del Venezuela, Nicolas Maduro, ha fatto un annuncio insolito. Secondo Maduro, durante i lavori nella metropolitana di Caracas, alcuni operai hanno visto apparire su una parete del tunnel il volto di Hugo Chavez, l’ex presidente del paese morto nel marzo del 2013. “Il comandante Chavez è sempre con noi”, ha detto Maduro. Non si è trattato della prima apparizione dell’ex presidente, ma finora è l’unica ad essere stata fotografata. In precedenza Maduro aveva dichiarato che il volto dell’ex presidente gli appariva nel profilo delle montagne a sud di Caracas oppure reincarnato in un uccello (in quest’ultimo caso ha spiegato che l’episodio era una specie di metafora).

In Venezuela c’è un vero e proprio culto di Chavez: nei negozi è difficile trovare merci di prima necessità, ma si trovano parecchie bambole dell’ex presidente, con indosso i vestiti più diversi. Questo culto ha fatto un salto di qualità quando il governo ha proclamato l’8 dicembre “Giorno della lealtà e dell’amore verso il comandante Hugo Chavez e la patria”. Curiosamente, per lo stesso giorno erano fissate le elezioni amministrative, la prima prova elettorale per il presidente Maduro, eletto lo scorso luglio con uno scarto di appena l’1,5 per cento rispetto al suo avversario Henrique Capriles. Maduro è l’erede politico di Chavez ed è stato a lungo il suo vice-presidente.

Forse proprio grazie alla “lealtà verso il comandante Hugo Chavez”, le elezioni sono andate bene per il partito di Maduro (che è anche quello di Chavez). Il distacco con la coalizione di opposizione si è allargato al 5 per cento. Maduro è riuscito a mantenere il controllo dell’amministrazione locale della capitale Caracas, anche se ha perso quella di Maracaibo, la seconda città più grande del paese. L’ottimo risultato del governo è stato sorprendente per alcuni osservatori perché il Venezuela sta vivendo un gravissimo periodo di crisi economica, la criminalità sembra fuori controllo e in tutto il paese c’è una gravissima penuria di beni di prima necessità.

 

La questione della carta igienica

Quando in Italia si sente parlare di Venezuela è in genere per due motivi. Il primo: in alcuni ambienti della sinistra più critica nei confronti del capitalismo, il Venezuela è indicato come un modello di successo: uno stato socialista (o sulla via per diventarlo) che si è opposto con successo al modello imperante di economia libera di mercato, ha messo al loro posto le élite economiche locali e gli Stati Uniti, garantendo un ampio benessere a tutta la sua popolazione. Il secondo motivo per cui se parla è la storia della carta igienica.

Da circa una anno, infatti, nel paese è diventato molto difficile procurarsi dei rotoli di papel higiénico. Quando i carichi di carta arrivano negli spacci gestiti dal governo (che la vendono a prezzi politici) si formano immediatamente immense code e la gente esce dai negozi con tutti i rotoli che è in grado di trasportare. Nei negozi privati, la carta igienica è praticamente introvabile e, anche quando c’è, oltre a sparire in fretta, raggiunge prezzi elevatissimi. Per risolvere la situazione, lo scorso settembre il governo ha fatto occupare dall’esercito una fabbrica di carta igienica e ha acquistato all’estero enormi quantità di rotoli. Pochi giorni prima del sequestro Karlìn Granadillo, soprintendente del SUNDECOP, uno dei vari organi statali che si occupano di regolare i prezzi, aveva dichiarato: «Stiamo osservando una violazione del diritto all’accesso alla carta igienica». Il giorno successivo al sequestro, su un muro di Caracas è comparsa una scritta “El papel higienico ahora es bolivariano”. “Bolivariano” è un aggettivo che deriva dal leader rivoluzionario ottocentesco Simon Bolivar, l’ispiratore di Chavez (anche il culto di Bolivar è molto forte: qualche anno fa il governo fece riesumare il suo corpo per dimostrare che era stato assassinato dalle forze “controrivoluzionarie”).

Ma in Venezuela non manca soltanto la carta igienica. Moltissimi beni di prima necessità, come zucchero, caffé e olio, sono quasi introvabili sugli scaffali dei negozi. Questa scarsità è accompagnata da una fortissima inflazione, che nel 2013 ha superato il 50 per cento. Si tratta di una situazione paradossale: il Venezuela è il quinto produttore di petrolio dell’OPEC e nel suo sottosuolo ha la più grande riserva di greggio al mondo (che è stimata maggiore persino di quella dell’Arabia Saudita). Con un debito pubblico bassissimo, il Venezuela dovrebbe essere uno dei paesi più ricchi dell’America Latina. Invece i suoi abitanti hanno difficoltà a bersi un caffé alla mattina e a procurarsi la carta igienica.

 

La crisi economica del Venezuela

Secondo diversi analisti i problemi del Venezuela sono cominciati alle fine degli anni ‘90, durante i primi anni della presidenza di Chavez, quando il governo ha imposto una serie di controlli e regolamentazioni sull’economia del paese. Il primo, ed uno dei più importanti, è stato il controllo sui cambi. Il prezzo del bolivar, la moneta nazionale, viene fissato dal governo ed attualmente è di 6 bolivar per un dollaro. Ma procurarsi dollari a questo prezzo è praticamente impossibile e i venezuelani che hanno bisogno di acquistare beni all’estero sono costretti a comprare i dollari sul mercato nero, dove il cambio è di 60 bolivar per un dollaro (ci torneremo tra poco).

Chavez ha anche imposto una politica di controllo dei prezzi che il governo Maduro ha reso ancora più stringente. Contemporaneamente il bilancio pubblico si è ampliato, passando in tre anni dal 30 al 40 per cento del PIL. A pesare sul bilancio ci sono soprattutto i sussidi sull’acquisto di carburante. In Venezuela la benzina costa 5 centesimi di dollaro al gallone: il prezzo più basso del mondo. In altre parole costa meno dell’acqua e meno dell’aria (farsi gonfiare una gomma è molto più costoso che mettere un paio di litri di benzina nel serbatoio). I sussidi all’acquisto di carburante costano al paese circa 12 miliardi di dollari l’anno. Nel 1989, quando per la prima volta si parlò di abbassarli ci furono rivolte di piazza. In più di 10 anni di governo nemmeno Chavez tentò di rimetterci le mani. Sotto il governo Maduro, con una situazione economica incredibilmente peggiorata, si è tornato a parlare di ridurre i sussidi, anche se in maniera abbastanza trascurabile: si parla di portare il prezzo dell benzina a 17 centesimi di dollaro per gallone.

Il governo venezuelano sembra avere un rapporto piuttosto “politico” con la risorsa che garantisce al paese il 50 per cento del PIL. Il petrolio non viene utilizzato soltanto sotto forma di sussidi per comprare consenso interno, ma anche come arma di politica estera. Per quasi dieci anni, ad esempio, il governo Venezuelano ha regalato mezzo miliardo di dollari in petrolio a un’associazione di beneficenza americana che lo utilizzava per sussidiare il riscaldamento delle famiglie più povere degli Stati Uniti. La decisione di concedere questa beneficenza venne presa da Chavez e per diversi anni è stata una specie di schiaffo morale al paese più ricco del mondo (sembra però che quest’anno Maduro abbia deciso di interrompere il sussidio).

 

Una serie di politiche originali

Sussidi fuori controllo, scarsità di tutto e crisi economica hanno rischiato di far perdere molti consensi al governo. Maduro non è rimasto con le mani in mano e negli ultimi mesi prima delle elezioni è stato particolarmente attivo. Uno degli atti più importanti è stato assicurarsi i “poteri straordinari” che il parlamento gli ha conferito lo scorso novembre. Con questi poteri Maduro può governare tramite decreti legge per un intero anno, senza bisogno di consultarsi con il parlamento.

Questi poteri straordinari, secondo Maduro, si sono resi necessari per poter combattere quella che ha soprannominato “la guerra economica contro il Venezuela”, uno scontro che le élite economiche del paese - alleate con gli Stati Uniti - avrebbero intrapreso per distruggere l’economia venezuelana, rovesciare il governo e fermare la rivoluzione chavista. Per combattere questa guerra, Maduro si è dotato di diversi strumenti, in particolare una serie di nuovi ministeri ed altri enti dai nomi esotici e vagamente orwelliani.

C’è ad esempio la “Soprintendenza per il giusto prezzo”, con cui il governo ha messo in atto i nuovi stringenti controlli sui prezzi. Oppure il “Vice-ministero per la suprema felicità sociale”, a cui si affianca “l’Organo per la difesa popolare dell’economia”. Oltre a denunciare la “violazione del diritto di accesso alla carta igienica”, questi enti hanno messo in atto centinaia di controlli in negozi e grandi magazzini. In quasi tutti i casi, ha spiegato Maduro in un discorso lo scorso novembre, i controllori hanno scoperto prezzi gonfiati in maniera illegale. Un centinaio di “parassiti borghesi”, come li ha definiti Maduro, sono stati arrestati dopo questi controlli.

L’atto più simbolico della guerra economica è probabilmente avvenuto ad ottobre, quando Maduro ha inviato l’esercito ad occupare i negozi “Daka”, una catena di elettronica di consumo. Come in molti altri casi simili, i manager della società sono stati accusati di aver alzato ingiustamente i prezzi. Con l’esercito che occupava i negozi, per un paio di giornate i venezuelani hanno potuto comprare televisioni al plasma e impianti audio dolby a prezzi politici imposti dal governo. Subito dopo l’annuncio di Maduro, enormi folle si sono radunate davanti ai negozi occupati e i militari hanno dovuto sistemare transenne e veicoli militari per mantenere ordinata la folla. In almeno un caso gli acquirenti hanno rotto i cordoni dell’esercito e hanno saccheggiato il negozio. Si è trattato di uno dei circa trenta casi di saccheggio avvenuti in Venezuela negli ultimi mesi. I saccheggi spesso prendono di mira negozi che vendono beni di prima necessità, ma non solo. Durante i saccheggi ai negozi “Daka” i fotografi hanno ripreso donne, uomini, giovani e anziani allontanarsi di corsa con televisori al plasma e lettori DVD. Maduro ha criticato i saccheggi, ma ha anche aggiunto, riferendosi ai dirigenti di “Daka”: “I veri ladri siete voi!”.

Le iniziative originali intraprese dal governo per cercare di vincere la “guerra economica” non si contano. La più particolare forse è stata la proclamazione in anticipo del Natale. Il primo novembre Maduro ha partecipato a una festa natalizia nel centro di Caracas. Durante un discorso tenuto accanto a tre attori travestiti da re magi, Maduro ha annunciato che “per il bene della felicità del popolo venezuelano” il Natale sarebbe cominciato a partire dal primo novembre. Non è chiaro quali fossero le conseguenze pratiche dell’annuncio, ma alcuni giornali vicini all’opposizione hanno ipotizzato che la mossa potesse servire ad anticipare i bonus natalizi per i dipendenti pubblici ai primi di dicembre, cioè proprio qualche giorno prima delle elezioni amministrative.

 

La maledizione delle materie prime

Secondo quasi tutti gli osservatori, le politiche di Maduro riusciranno soltanto a peggiorare la situazione. Il governo accusa un complotto internazionale per la situazione economica del paese, ma secondo molti ci sarebbero cause molto più semplici per spiegare l’iperinflazione del paese e la scarsità di quasi tutti i beni di prima necessità.

Come altri paesi ricchi di risorse naturali, il Venezuela sembra afflitto dalla cosiddetta “maledizione delle materie prime”, a volta chiamata anche “paradosso dell’abbondanza”. Spesso, un paese pieno di petrolio, diamanti o altre risorse naturali, sperimenta una crescita economica inferiore a quella dei suoi vicini, ha istituzioni più inefficienti e corrotte e un livello di benessere minore. Le spiegazioni per questo fenomeno sono diverse. Ad esempio un paese che basa la sua economia sull’esportazione di un’unica materia prima è molto esposto alle fluttuazioni del prezzo di quella materia prima. Inoltre rischia di avere meno incentivi a sviluppare un’economia efficiente e diversificata. L’accesso alla materia prima, infine, rende molto appetibile cercare di vincere le elezioni con ogni mezzo oppure conquistare il potere in altro modo, così da poter arrivare ai “rubinetti” della risorsa e distribuire i proventi delle esportazioni ai propri alleati.

Il Venezuela sembra rispondere bene a queste definizione: metà del suo reddito nazionale è costituita dalle esportazioni di petrolio. Per il resto la sua economia è anemica ed il paese è costretto ad importare di tutto (dallo zucchero alla carta igienica, appunto). Questo significa che i prodotti che si trovano sugli scaffali dei supermercati devono essere acquistati all’estero e quindi in dollari. I margini di guadagno concessi dai vari regolatori dei prezzi sono calcolati come se gli importatori avessero acquistato i beni con il cambio ufficiale di sei bolivar per un dollaro. Ma per la maggior parte dei commercianti e degli imprenditori venezuelani è praticamente impossibile ottenere dollari al cambio ufficiale. L’unico modo legale per farlo è partecipare alle “aste segrete” con il quale il governo vende i dollari della sua riserva. Partecipare a queste aste è molto difficile e in genere il denaro venduto è molto poco. Questo significa che gli importatori devono acquistare dollari al tasso di cambio del mercato nero (che come abbiamo visto è 10 volte quello ufficiale) e quindi aggiustare i prezzi al dettaglio di conseguenza, uscendo così dalle strettissime maglie dei prezzi imposti dal governo.

Probabilmente non esiste un’uscita indolore da questa situazione. Lasciare nuovamente libero il cambio tra dollaro e bolivar farà aumentare ancora di più l’inflazione, mentre ridurre il sussidio all’acquisto di carburante porterà quasi certamente a qualche tipo di disordine pubblico. Maduro per il momento, però, non sembra particolarmente preoccupato per questi scenari. Il popolo, dice, è dalla sua parte.  Per dimostrarlo, quando a luglio ha sposato la sua compagna, ha chiesto di non rivolgersi a sua moglie con il titolo di first lady. Per la moglie del successore di Hugo Chavez, ha spiegato, è molto più adatto un titolo più bolivariano: “prima combattente”. Della sua guerra economica, viene da pensare.