L'economia cinese potrebbe rallentare nel 2014 o addirittura inaugurare un periodo di crisi? E' una tesi che a molti appare provocatoria e balzana. Ma è la domanda che si pone James Gruber nel suo documentatissimo blog Asia Confidential. Certo, lo stesso Gruber sottolinea come più di un indicatore suggerirebbe ottimismo per il prossimo futuro della Cina: in primis l'andamento del Pil (tornato nel terzo trimestre del 2013 a +7,8%, dal 7,5 del periodo precedente, grazie anche ad alcune misure governative di stimolo), poi l'export ancora molto solido e il tasso dei prestiti cosiddetti non-performanti relativamente basso. In aggiunta, la solidità della leadership di Xi Jinping e lo stock abnorme di riserve di valuta estera - circa 3,7 migliaia di miliardi di dollari - sembrano spazzare via le possibili nubi all'orizzonte.

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Ma secondo Asia Confidential alcuni scricchiolii iniziano ad essere visibili ad occhio nudo: l'insostenibilità di un modello economico caratterizzato da alti livelli di investimenti finanziati a debito; il deterioramento dei rendimenti degli investimenti rende faticoso sostenere la crescita del credito; i recenti picchi dei tassi interbancari e le numerose imprese andate in default e in bancarotta (China Everbright Bank, Liansheng Resources Group e alcuni gruppi minerari) hanno creato più di una tensione nel sistema finanziario; i possibili effetti recessivi di breve periodo di riforme strutturali ideate per il lungo periodo rappresentano un'incognita politica e sociale non banale.

Nella tesi di Gruber, il fulcro è l'insostenibilità di medio-lungo periodo di un modello economico totalmente fondato sulle esportazioni (export-led), su cui la Cina ha basato le sue fortune negli ultimi 30 anni. In un lasso di tempo relativamente ridotto, il paese ha soddisfatto una domanda internazionale crescente – forsennatamente crescente – stimolata dal basso costo dei beni cinesi. Per continuare a godere il più a lungo possibile del suo vantaggio comparato, una mano d'opera molto conveniente, lo Stato cinese ha tenuto ben sotto controllo la crescita della domanda interna, "sopprimendone" la naturali spinte alla crescita. Ma con il mondo ormai incapace di assorbire l'enorme capacità produttiva cinese, l'impero celeste rischia seriamente di ritrovarsi ad essere un gigante dai piedi d'argilla. Come hanno dimostrato i precedenti di Giappone e Corea del Sud, le transizioni da un modello export-led rischiano fortemente di provocare un brusco rallentamento della crescita. "Anche la fede nella capacità del governo di progettare una transizione economica ordinata – scrive l'analista – è contraria all'esperienza storica".

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Se si accetta la tesi della insostenibilità dell'attuale modello cinese e delle difficoltà connesse ad ogni transizione, la domanda diventa allora quando arriverà la caduta, non più se arriverà. Forse le argomentazioni di Gruber paiono accelerare troppo i tempi, ma sono uno stimolo importante a guardare il futuro con occhi diversi.

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