Benotti bandiere

Seppure i cittadini siano tornati a riporre fiducia nel progetto Europeo, ciò non pare sufficiente a placare il loro scetticismo nei confronti di una Unione Europea percepita come lontana e dunque mai all’ascolto. Nonostante i numerosi appelli affinché l’UE riformi radicalmente il modo in cui i cittadini possano partecipare alla vita delle sue istituzioni, non sono attesi grandi cambiamenti da qui alle prossime elezioni del parlamento europeo nel 2019.

Il Libro Bianco che ha rilanciato il dibattito sul futuro dell’Europa è platealmente silente sulla questione della partecipazione civile, e non basteranno i tantissimi incontri con i cittadini che la Commissione europea sta organizzando per il continente per rinsaldare i rapporti fra le istituzioni europee e i suoi popoli.

In considerazione dell’ormai consolidata ripresa economica e ritrovata popolarità del progetto europeo, la tentazione dei leaders europei di negligere le aspettative di partecipazione dei propri cittadini appare forte. Eppure si tratterebbe di un errore imperdonabile. Infatti, circa il 53% dei cittadini europei, escludendo il Regno Unito, è a favore di un referendum nazionale sulla permanenza del loro paese nell’Unione. Nel frattempo, due eventi apparentemente disgiunti tra loro, come la Brexit e la leadership di Emmanuel Macron, stanno favorendo la nascita di un rinnovato, seppur timido, sentimento pro-europeo, il quale potrebbe trasformarsi, in occasione delle ormai imminenti elezioni politiche italiane e quelle successive per il rinnovo del Parlamento europeo, in una competizione politica fra i partiti tradizionali da un lato e i movimenti emergenti dall’altro. Si pensi al movimento transnazionale DIEM, guidato da Yanis Varoufakis, o – in Italia – a Forza Europa di Benedetto Della Vedova e il dinamico Movimenta sostenuto da Emma Bonino.

 

Cittadini elettori europei

È in tale contesto che si iscrive la proposta recentemente rilanciata dal presidente francese Macron di rivedere la legge elettorale europea, al fine di creare un collegio pan-europeo per l’elezione di un certo numero di deputati europei da elenchi transnazionali. Queste liste, di recente sostenute anche dal Presidente Juncker – nonostante il parere contrario del suo partito (il Partito Popolare Europeo) –, sarebbero espressione di partiti politici per la prima volta genuinamente europei ed avrebbero dunque un ruolo fondamentale nella progressiva europeizzazione della campagna elettorale europea. Questa riforma potrebbe rappresentare un primo passo verso una vera integrazione politica nell’Unione.

Tuttavia, prima di riporre tutte le nostre speranze in tali iniziative, occorre intraprendere una profonda riconsiderazione del contesto nel quale i cittadini vivono e percepiscono l’Unione europea. Infatti, non è il cosiddetto “deficit democratico” ad essere oggi il più grande problema dell’Europa, ma una sorta di “deficit di comprensibilità”. Mentre ci perdiamo in infinite discussioni sul bisogno di più o meno Europa, di un’Europa più austera o più solidale, non abbiamo l’umiltà di riconoscere quanto il suo ruolo e la sua logica risultino incomprensibili ai più. In tali circostanze, non sorprende affatto che il livello di alfabetizzazione circa l’Unione sia così modesto, con soltanto il 42% dei cittadini che affermano di essere informati riguardo ai loro diritti derivanti dalla cittadinanza europea. Ne consegue che la partecipazione alla vita democratica resti limitata, come dimostrato dal modesto afflusso al voto alle elezioni europee.

In assenza di una sfera pubblica europea, i cittadini sono esclusivamente esposti a rassegne nazionali degli sviluppi europei. Non deve stupire che il risultato sia un’informazione parziale, lacunosa e spesso fuorviata da politici nazionali alla ricerca di un ritorno elettorale che scaricano la colpa all’Unione europea di qualunque faccenda preoccupi il loro elettorato. Del resto, perché i politici nazionali dovrebbero ammettere che le decisioni fondamentali che riguardano la vita di ciascuno di noi sono adottate a Bruxelles e non nei rispettivi parlamenti nazionali?

Al contempo, il processo decisionale europeo è caratterizzato dalla sistematica sottorappresentazione delle istanze dei cittadini. Il potere politico è sempre più concentrato nei corridoi di Bruxelles, popolati da circa 30,000 lobbisti, che quotidianamente dominano l’agenda europea. Se è vero che le ONG si sono gradualmente inserite nel processo decisionale europeo, la loro azione non è sempre in grado di controbilanciare gli altri interessi tipicamente ben rappresentati ai tavoli istituzionali. Insomma, spesso chi potrebbe far valere davvero gli interessi di 500 milioni di cittadini europei, su questioni come i diritti dei consumatori, il cambiamento climatico, la protezione della privacy e la parità di genere, non sempre ha gli strumenti per farlo.

Ma c’è anche un dato positivo da riportare. Nonostante l’attività istituzionale dell’UE sia percepita come opaca e incomprensibile, le istituzioni europee sono mediamente più accessibili, inclusive e trasparenti delle amministrazioni pubbliche nazionali. L’Unione europea offre ai propri cittadini ed operatori economici numerose opportunità di partecipazione, e dunque di influenzare i propri processi decisionali. Queste vanno dall’iniziativa dei cittadini europei che permette di aggiungere proposte all’agenda politica della Commissione europea tramite la raccolta di un milione di firme, alle consultazioni pubbliche, dal FOIA (per domandare accesso a documenti pubblici non ancora resi pubblici), a denunce amministrative presso il Mediatore europeo, a ricorsi dinanzi ai tribunali nazionali ed a quello europeo. Purtroppo, questi strumenti di partecipazione sono scarsamente conosciuti dai cittadini e quindi poco usati. Paradossalmente, i maggiori beneficiari dei medesimi non sono i cittadini, bensì gli “euro-specialisti”, ovvero i professionisti del mondo dell’impresa (responsabili del 75% degli incontri di lobbying che si tengono in un anno) e alcune grandi organizzazioni della società civile, quali i sindacati.

Anche se questi ostacoli alla partecipazione civile non sono un’esclusiva delle istituzioni europee, questi risultano maggiormente difficili da rimuovere o mitigare in un contesto costituzionale e socio-politico multilivello quale l’Unione. A questo punto, la domanda essenziale diventa: quale ruolo, realisticamente, possono giocare i cittadini europei in questa indecifrabile Unione?

 

Cittadini lobbisti

Come ho avuto modo di argomentare nel mio nuovo libro, Lobbying for Change: Find Your Voice to Create a Better Society, per vincere la sfida democratica in Europa (e altrove), l’obiettivo deve essere quello di promuovere una rinnovata cultura della partecipazione, connettendo i cittadini desiderosi di fare la differenza, con le numerose opportunità di attivazione che già esistono. Questo è quello che provocatoriamente definisco lobbying cittadino. Un cittadino lobbista è qualcuno che – senza essere remunerato – individua una problematica sociale alla quale è particolarmente sensibile ed inizia ad interessarsene attivamente. Il cittadino lobbista attinge dalle proprie competenze professionali, ad esempio: un avvocato redigerà una proposta legislativa, un commercialista revisionerà alcuni bilanci sospetti, un fotografo offrirà degli scatti per una nuova campagna, ecc., così che le proprie competenze professionali, combinate con le sempre nuove tecniche di lobbying, vengano messe al servizio di una causa di interesse generale alla quale il cittadino lobbista ha deciso di dedicare parte del suo tempo, utilizzando le proprie competenze.

Significativo il caso di Max Schrems, lo studente austriaco che ha sfidato (e vinto) Facebook per l’uso illegale dei nostri dati personali, nonché quello di Antoine Deltour, l’impiegato francese di PwC, che dopo un momento di esitazione, dovuto alle possibili conseguenze personali che ne sarebbero derivate, rivelò pubblicamente uno schema fiscale, organizzato con la complicità dello stato del Lussemburgo, per consentire l’evasione su larga scala delle imposte sull’impresa. O ancora quello di Marco Cappato che impiega la disobbedienza civile per promuovere il riconoscimento di nuovi diritti civili quali l’eutanasia, legalizzazione delle droghe leggere, diritti dei gay e dei carcerati.

Inoltre, per avere un’idea di quale forza disponga oggi il lobbying cittadino si può considerare la recente nascita delle campagne online che travalicano i confini nazionali e – come ben rappresentato dalle piattaforma transnazionali Change, Avaaz e WeMove – capaci di mobilitare velocemente milioni di cittadini, mettendo così sotto pressione le istituzioni europee su diverse questioni, come quelle della ratifica del trattato CETA o l’autorizzazione del glifosato. Questi sono solo alcuni chiari esempi di lobbying cittadino capaci di ridisegnare la relazione tra cittadini europei, i loro rappresentanti e le istituzioni europee.

Tramite la sua azione, il lobbying cittadino è capace di controbilanciare gli interessi particolari dei pochi che, tramite servizi di consulenza professionale molto specializzati, sono in grado di inclinare i tavoli istituzionali a loro favore. Tuttavia, anche se il lobbying cittadino si diffondesse in tutta Europa, sarebbe ben difficile dare a tutti i cittadini la medesima voce, ma consentirebbe comunque di migliorare il rapporto fra eletto ed elettore. Inoltre, impratichendosi al processo politico, i cittadini diventerebbero maggiormente consapevoli della complessità intrinseca del sistema decisionale e dei bilanciamenti che a tutti i livelli i decisori politici compiono quotidianamente.

Il valore aggiunto del lobbying cittadino sta nel fatto che questa attività è complementare, non antagonista, alla democrazia rappresentativa. In un momento storico di crescente disincanto verso il processo democratico europeo, il lobbying cittadino ha il vantaggio di poter trasformare l’indignazione in impegno politico attivo. E lo fa mettendo a disposizione le capacità professionali e l’immaginazione dei cittadini al servizio della società. In tal modo, il lobbying cittadino rende protagonista chi si mette in gioco, provocando così un senso positivo di sfida, di pienezza e felicità volto a contribuire alla realizzazione del tipo di società che vogliamo per noi stessi.

È alla luce di ciò che il successo dei nascenti forze politiche transnazionali dipenderà non soltanto dalla loro capacità coltivare tali forme di cittadinanza attiva, ma anche di rimanere al loro ascolto.