scuola lavoro mc donalds

«Qual è il nesso tra gli studi scientifici e il McDonald?» Massimo Gramellini sul Corriere della Sera

«Che ***** vai da McDonald? Io voglio vedere mio figlio con dei libri in mano, non con i menu di BigMac» Maurizio Crozza

 

È comprensibile che i non addetti ai lavori guardino ai percorsi di alternanza scuola-lavoro con un mix di scetticismo e perplessità. «Cosa fanno quei ragazzi in azienda? Stanno lavorando, o no? Non sarebbe meglio tenerli in classe a scuola?». Sono domande legittime e molto spesso solo alimentate dal fatto che i giornali stanno facendo una grandissima confusione e parlano, indifferentemente, di alternanza, stage e apprendistato come se si trattasse della stessa cosa. Allora è forse meglio fermarci un attimo, sospendere il giudizio, e cercare di capirci qualcosa di più.

 

Studenti oppure operai?

I percorsi di alternanza scuola lavoro nascono con il Decreto Legislativo 15 aprile 2005 n.77 (10 anni prima della Buona Scuola!) e sono, sin da subito, pensati non solo per gli istituti tecnici e professionali, ma anche per i licei. Lo scopo, tra le altre cose è quello, traduco dal burocratese ministeriale, di far sperimentare sul campo ai ragazzi quello che hanno imparato a scuola (ad es. come lavora un geometra), far vedere agli studenti cosa significa, per davvero, andare a lavorare e permettere loro di acquisire le competenze richieste dalle imprese.

Sin da subito, quindi, l’alternanza scuola-lavoro si configura come una metodologia didattica che serve a insegnare, in un modo che non sia la lezione frontale in classe, certe lezioni di cui gli studenti faranno tesoro quando dovranno entrare sul serio nel mondo del lavoro.

 A questo proposito, la scuola ha un ruolo fondamentale: deve co-progettare i percorsi e assicurarsi che siano coerenti con il suo Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF), cioè il documento con cui la scuola presenta se stessa e dichiara le sue finalità educative.

 Stiano quindi pure tranquilli gli studenti che hanno esibito quello striscione, un po’ classista, durante le manifestazioni dell’altro giorno: sono studenti, non operai.

 

Ma mio figlio dovrebbe studiare il paradigma di ὁράω, non come lavora un cameriere.

Può anche darsi. Però proprio chi segue il percorso liceale e lo proseguirà, poi, all’università rischia di fare l’ingresso nel mondo del lavoro molto tardi e senza aver mai fatto alcuna esperienza lavorativa prima della laurea. Non è un caso se le imprese si lamentano di aver «difficoltà nel reperire personale capace di inserirsi velocemente in un contesto organizzativo e dunque dotato di competenze trasversali o soft skills».

Questa frase, ma è solo un esempio, la trovate scritta nel Piano Strategico della zona omogenea dell’Eporediese (p.31) ed è una delle principali “lamentele” che le imprese canavesane rivolgono alla scuola. Sono sicuro, però, che non si tratti di un caso isolato, vero? È, purtroppo, vero. I nostri studenti, spesso, non sono autonomi, hanno poca fiducia in loro stessi, non sono flessibili, reagiscono male alle difficoltà e allo stress, non sono capaci di pianificare e organizzare il proprio tempo, non sono puntuali nelle consegne, non comprendono e accettano il loro ruolo in un’organizzazione e non lavorano bene in gruppo. 

La scuola italiana (e includo anche l’università) non riesce a far acquisire agli studenti queste competenze, anzi. A volte è addirittura di ostacolo. Questo fa sì che non sia raro trovare uno studente, bravissimo, che arrivato al termine del suo percorso di studi si trovi totalmente spaesato all’interno di un contesto lavorativo.

A scuola i ragazzi apprendono in modo forzato e assistito (il docente dice loro cosa studiare e poi verifica se lo hanno fatto), nel mondo del lavoro la formazione deve essere continua e autonoma, a scuola hai sempre una seconda chance, nel lavoro non è detto, a scuola il mancato rispetto di una scadenza non ha conseguenze, nel lavoro sì, etc.

 

Ecco quindi spiegato lo scopo dei percorsi di alternanza. Non vai da McDonald per imparare a lavare piatti. Ci vai per fare esperienza, in un contesto protetto, di competenze indispensabili nel mondo del lavoro e che difficilmente si apprenderanno a scuola. Ci vai perché sarà anche vero che chi frequenta il Liceo Classico e vuole laurearsi in Lettere non andrà mai a lavorare da McDonald (ma ne siamo sicuri?), però la capacità di lavorare in gruppo, pianificare e organizzare le proprie attività e riuscire a lavorare per ore mantenendo la concentrazione sono tutte competenze che deve avere il lavoratore di McDonald tanto quanto qualsiasi altro lavoratore.

E allora, ragazzi, non fatevi sedurre dai discorsi dei cattivi maestri e fate tesoro di queste esperienze. Oggi vi potrà anche sembrare che non abbiano alcuna utilità, ma in futuro sono sicuro che ne riconoscerete il valore. Dopotutto non è la stessa cosa che vi dice chi vi fa imparare a memoria ὁράω, ὄψομαι, εἴδον, ὄπωπα?