Pannella Bonino

Dare uno sguardo retrospettivo e formulare conseguentemente delle osservazioni su una vicenda complessa e ricca di sfumature come quella radicale e pannelliana è compito da affidare a chi studia la storia e/o a chi ne è stato protagonista e testimone. Non rientrando in alcuna delle due categorie posso accostarmi a quella vicenda soltanto a partire dall'oggi e più in particolare dalla domanda - che interroga più drammaticamente i radicali ma che non può essere considerata estranea a chiunque faccia politica - se quel che accade ed il modo nel quale si sviluppa la dialettica interna a quella che è/era la galassia radicale siano la conseguenza della scomparsa di Marco Pannella oppure della persistente e tenace presenza della sua leadership e del mondo nel quale il leader radicale l’ha esercitata, sarebbe più giusto dire difesa, specialmente nell’ultimo decennio.

La fine/fallimento di una serie di prospettive politiche - quali quella per la costruzione di un fronte per la rivoluzione liberale, quella per l’apertura di una nuova stagione di conquiste nel campo delle libertà civili con il referendum sulla legge 40 e la presentazione delle liste della Rosa nel Pugno ed anche quella ricordata recentemente da Roberto Saviano della candidatura alla segreteria del PD nel 2007 – non ha trovato, come sbocco, l’individuazione di un nuovo percorso politico da intraprendere e di nuovi “compagni di strada” con i quali interloquire, Non era, e non si è rivelata tale la scelta di entrare in Parlamento accettando la candidatura di alcuni esponenti radicali nelle liste del Partito Democratico nel 2008. E non è stato tale neanche l’opportunità – profilatasi estemporaneamente in seguito all’esplosione dell’affaire Marrazzo – rappresentata dalla candidatura di Emma Bonino alla Presidenza della Regione Lazio.

Attraverso quei passaggi politico-elettorali non si sono formate e temprate delle prospettive politiche. Quelle “scelte” sono state vissute dalla dirigenza radicale come un modo “inevitabile” di coniugare un’alterità rispetto al quadro politico – rivendicata in toni sempre più identitari scomodando anche l’antropologia – con l’esigenza di tenere in piedi una struttura organizzativa e di sostenerne i costi non (più) copribili con il solo autofinanziamento attraverso iscrizioni e contributi.

La mancanza di un riconoscibile e comprensibile sbocco politico – un orizzonte di senso che non fosse l’affermazione identitaria – ha fatto sì che il racconto radicale si piegasse alle esigenze identitarie piegando contestualmente la lettura del passato e del presente del nostro paese. Ne discende, per esempio, l’elaborazione di ambiziose operazioni “storiografiche”, come il cosiddetto “Libro Giallo” della Peste italiana, nelle quali la storia del paese viene proposta come lo svilupparsi, sistematico e senza contraddizioni, di un disegno - quello di violare e tradire la Costituzione – ordito da un soggetto identificato con la cosiddetta partitocrazia. Allo stesso tempo la realtà (il presente) è letta attraverso un utilizzo sempre meno sorvegliato di iperboli – la Shoà all’interno delle carceri italiane - che rendono di fatto impossibile il riconoscimento di passi, anche millimetrici, nella giusta direzione. Ed anche il racconto delle scelte di interlocuzione e di collocazione all’interno del sistema della rappresentanza politica è stato fatto più con l’intento di auto-difendere un’identità e dunque presentando le suddette scelte come qualcosa di imposto dalle condizioni esterne e non come un modo di alimentare la sfida radicale fondata sulla convinzione/tensione a “vincere con” piuttosto che a battere l’avversario, e di affermare e rivendicare una visione laica, non ideologica dell’organizzazione politica.

Quello radicale diventa un soggetto che vive, e si racconta, sempre più come un’organizzazione costretta ad essere minoranza - nonostante la popolarità e la generale condivisione delle sue posizioni/proposte politiche - ad accettare delle soluzioni di compromesso per continuare a vivere e conservare la sua alterità e riconoscibilità. Un’organizzazione con queste caratteristiche come reagisce alla scomparsa del leader che di quel racconto/discorso fondativo è soggetto ed oggetto nello stesso tempo? Può scegliere di riprodurre lo schema con le inevitabili approssimazioni – per essere/giocare il ruolo di Marco Pannella non basta essere il presidente della Lista omonima – oppure tentare di fare altro, di rileggere e riproporre con l’indispensabile aiuto del metodo dell’analisi storico-critica il percorso del movimento politico radicale rilanciandone la natura non ideologica e rendendo riconoscibile il suo essere “strumento di servizio” non solo per i radicali, e dunque antidoto rispetto alle pulsioni sostanzialiste ed illiberali che connotano il panorama politico italiano ed europeo.

Quel che è accaduto nell’ultimo anno – prima e dopo lo svolgimento del Congresso di Rebibbia – fa ritenere che abbia prevalso l’impulso a reiterare e riproporre, accentuandone il carattere settario, una visione ideologica dell’organizzazione politica che risulta inservibile, se non per chi intenda intestarsi l’eredità politica (e non solo) di Marco Pannella. Il partito dell’unione laica delle forze, della doppia tessera e della transpartiticità - spacciata come una sorta di obbligo a non presentarsi alle elezioni con un simbolo nel quale è stata scritta la parola radicali – sembra vivere e costruire la propria identità cercando ossessivamente di dimostrare il presunto tradimento da parte di una porzione della classe dirigente colpevole di essere eterodiretta da George Soros e non più ispirata da Marco Pannella. Un’organizzazione politica che nel corso dei decenni ha cercato di proporre sé stessa come strumento federale e federatore continua il suo percorso di ripiegamento raccontando che gli avversari – da “battere” e non più da “convincere” nel senso di vincere con come ripeteva Marco Pannella – ci sono, sono sempre più forti e non si trovano più soltanto all’esterno ma vivono da “parassiti” dentro la sede di Torre Argentina e dentro Radio Radicale. In quale altro modo è possibile descrivere e sintetizzare quel che è successo durante il Congresso di Rebibbia e nei mesi successivi?

In occasione del Congresso Straordinario del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito, infatti, si è sancita una spaccatura, all’interno dell’area radicale, tra il gruppo dei dirigenti raccolto e guidato da Maurizio Turco, Rita Bernardini e Sergio D’Elia ed i responsabili dei soggetti radicali, quali Radicali Italiani, Associazione Luca Coscioni, Non c’è pace senza giustizia. Questa divisione, delineatasi all’indomani della scomparsa di Marco Pannella, ha segnato le fasi che hanno portato alla convocazione del Congresso ed è divenuta plasticamente e drammaticamente evidente al momento dell’insediamento della Presidenza del Congresso della quale non hanno fatto parte i dirigenti di quelle associazioni alle quali, su impulso ed indicazione di Marco Pannella, era stato riconosciuto il rango di soggetti costituenti.

Al termine dei lavori del Congresso si sono confrontate due mozioni. Una, presentata e sostenuta da Marco Cappato, Riccardo Magi, Gianfranco Spadaccia e Roberto Cicciomessere, che chiedeva la convocazione di una seconda sessione del Congresso per poter verificare e decidere se, a quali condizioni e con quali eventuali aggiustamenti organizzativi e statutari, il Partito avrebbe potuto continuare ad esistere e lavorare. L’altra - votata dalla maggioranza dei congressisti - che ha imposto la sospensione di molti articoli dello Statuto sancendo la fine di un modello federale ossia l’espulsione dalla struttura organizzativa del Partito di Radicali Italiani, Associazione Luca Coscioni, Non c’è pace senza giustizia e Certi Diritti. Con quella stessa mozione è stato anche stabilito di subordinare l’esistenza giuridica-formale del Partito al raggiungimento, per due anni consecutivi (2017 e 2018), della soglia minima di tremila iscritti precisando che in caso di mancato raggiungimento dell’obiettivo sopraindicato il rappresentante legale - designato a scrutinio palese dal momento che il suo nome era indicato nel testo della mozione – ha, in ogni caso, il mandato per avviare le procedure ordinarie per la chiusura del Partito senza alcun ulteriore obbligo di quanti si sono/saranno iscritti.

Alla conclusione lacerante del congresso del Partito sono seguiti mesi scanditi da corrispondenze relative alla gestione ed all’utilizzo della sede storica di Via di Torre Argentina 76, e da accuse della Presidenza eletta dal Congresso di Rebibbia ed in particolare del suo coordinatore Maurizio Turco - rivolte in modo particolare ai dirigenti di Radicali Italiani e dell’Associazione Luca Coscioni - di aver tradito, e di continuare a tradire, la tradizione politica radicale ed il carattere transpartitico del Partito Radicale, di aver “sfruttato” la storia e l’identità radicali per metterle, poi, a servizio esclusivo di progetti politici personalistici e non condivisi, e di aver addirittura utilizzato “abusivamente” la sede ed i servizi offerti. All’indirizzario degli iscritti e simpatizzanti radicali sono, dunque, arrivate lettere con ricostruzioni della vicenda radicale ossessivamente volte a tracciare un solco tra chi sta continuando a combattere le lotte di Marco Pannella e chi lo avrebbe lasciato solo, già negli ultimi anni, per poter meglio dialogare con il “regime”. In queste ricostruzioni Emma Bonino è stata dipinta come una sorta di agente di George Soros accusandola di seguire l’agenda del finanziere americano e non quella di Marco Pannella, con buona pace non solo e non tanto della storia (del presente) radicale di Emma Bonino - peraltro iscrittasi al Partito anche per il 2017 - ma anche delle numerose convergenze e delle iscrizioni al Partito dello stesso George Soros.

La rappresentazione - che Maurizio Turco e la Presidenza del Partito cercano di riproporre specialmente a beneficio (danno) degli ascoltatori di Radio Radicale - di un solco incolmabile tra i radicali che continuerebbero a combattere le battaglie di Marco Pannella e gli altri impegnati a dialogare/interloquire mollemente con il “regime” non sembra trovare, però, alcun concreto riscontro nella realtà. Ma quel che è peggio è che l’affermazione di un’impostazione di questo tipo - a prescindere dal raggiungimento o meno dell’obiettivo dei tremila iscritti e dunque dalla chiusura formale ovvero della sopravvivenza giuridica del Partito - renderebbe definitivamente irriconoscibile, e dunque inutile, una presenza politica organizzata dei radicali di Marco Pannella all’interno del quadro politico italiano ed europeo. E’ all’interno di questa cornice problematica che può essere letta l’iniziativa politica intrapresa dallo storico dirigente radicale Gianfranco Spadaccia.

Nel clima sopradescritto, e nonostante l’inasprirsi della polemica di Maurizio Turco - che nella veste di Presidente della Lista Pannella, e dunque di editore di Radio Radicale, ha anche chiesto che la storica emittente divenga la voce di quei radicali che si riconoscono nella mozione approvata a Rebibbia e non degli altri soggetti radicali che hanno (avrebbero) obiettivi diversi - a metà agosto Gianfranco Spadaccia ha annunciato alla Presidenza del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito di essersi iscritto e di voler contribuire alla campagna per il raggiungimento dell’obiettivo - di tremila iscritti - stabilito nel Congresso tenutosi a Rebibbia a settembre dell’anno scorso anche attraverso la conduzione degli spazi di filo diretto con gli ascoltatori di Radio Radicale. Tutto ciò, nonostante abbia confermato le proprie riserve in merito alle scelte fatte in quel Congresso.

Attraverso la richiesta di poter partecipare direttamente, anche con il tradizionale strumento del filo diretto, Spadaccia pone una questione che ha a che fare con la riconoscibilità di un metodo e di una prassi politica radicale e pannelliana, e dunque una questione che trascende e prescinde dalla riconoscibilità delle battaglie e delle vittorie radicali che sono state e possono continuare ad essere le più diverse. In questa ottica il punto di vista sostenuto da Gianfranco Spadaccia offre la possibilità di riaffermare e riscattare il metodo la prassi e la teoria dell’organizzazione politica radicali da un presente e da un recente passato che ne hanno fatto smarrire la complessità il senso e la preziosa originalità.

Ciò non deve portare a sottovalutare il contenuto il merito e la “radicalità” delle battaglie che i radicali hanno continuato e continuano a portare avanti anche quando - come nel caso di Radicali Italiani, di Emma Bonino e dell’Associazione Luca Coscioni – il rappresentante legale del Partito Maurizio Turco li consideri arbitrariamente “fuori squadra”. Senza nulla togliere alla necessità che i radicali diversamente organizzati continuino a fare iniziativa politica confrontandosi con le questioni più diverse, va riconosciuto, infatti, all’iniziativa di Gianfranco Spadaccia il merito di ricordare ai radicali la necessità di essere (dover essere) un’alternativa - anche sul piano dell’organizzazione e della riorganizzazione politica - che sia in grado di misurarsi con la sfida rappresentata dalla necessità di una riforma a tutto tondo dell’organizzazione politica e dei rapporti tra il cittadino e le istituzioni (che decidono). Per questo l'iscrizione ed il contestuale appello ad iscriversi di Gianfranco Spadaccia sono un invito - rivolto in prima battuta ai radicali, a chi lo è ed a chi lo è stato - a non dare per scontata l’archiviazione, prima ideale e sostanziale e poi formale, del Partito Radicale.

Questo perché quell'organizzazione politica ha proposto - e propone - un modello grazie al quale misurarsi con le questioni della riforma della politica nel suo complesso e dei meccanismi di partecipazione alla vita pubblica ed ai processi di formazione delle decisioni da parte dei cittadini singoli e/o associati e delle organizzazioni, e con la sfida rappresentata dalla quanto mai necessaria ricostruzione di una corretta interlocuzione tra rappresentanti e rappresentati, anche e soprattutto alla luce di una progressiva transnazionalizzazione dei processi politici che rischia di indebolire il controllo democratico.

Consentire a chiunque di sostenere e divenire protagonista a pieno titolo della campagna iscrizioni significa - come evidenziato da Riccardo Magi - tenere in vita una concezione dell'organizzazione politica quale strumento (partito di servizio, “autobus” etc.etc.) nella piena ed indiscussa disponibilità di chi vi aderisce direttamente attraverso l'iscrizione, e di chi altrettanto direttamente concorre a sceglierne e metterne in discussione obiettivi e mezzi. Significa, in altri termini, affermare e mettere alla prova un dispositivo (istituzionale) in grado di offrire a chiunque - a prescindere dal suo punto di partenza - la possibilità di tradurre in istanza/domanda politica un'esigenza un bisogno e/o un'aspirazione ideale. Un dispositivo che, al pari di quanto dovrebbero fare le istituzioni, non pone ostacoli all'accesso ed alla piena partecipazione degli individui, e che porta le persone ad associarsi ed unirsi in base ai problemi che ritengono debbano essere affrontati, ed al tipo di risposta che ritengono debbano essere date. Un modello nel quale il principio dell'uno vale uno non viene urlato per delegittimare i principi della democrazia rappresentativa - e sostituirli con le regole di un sito internet - ma vive e trova applicazione laddove si riconosce a ciascuno il diritto di esprimersi e di sottoporre al giudizio dell'altro la propria idea.

Restando all’interno del campo radicale ritengo che vada considerato, in conclusione, un aspetto che ha a che fare con la necessità di non perdere di vista la natura di “strumento” - anche e soprattutto dell’azione radicale - del Partito. Proprio per la natura strumentale del Partito, portare avanti un’iniziativa come quella di Gianfranco Spadaccia comporta non solo e non tanto la necessità di porre sistematicamente, ed in tutte le sedi opportune, la sacrosanta questione di metodo evocata in precedenza, ma presuppone anche l’esplicitazione delle esigenze e degli obiettivi per i quali è funzionale - o meglio è indispensabile - tornare (cominciare) ad utilizzare lo strumento Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito. Ed un confronto su questo terreno non può che portare, allo stesso tempo, a chiarire e rendere note le ragioni per le quali, al contrario, gli altri strumenti esistenti ed in regolare esercizio (come Radicali Italiani o l’Associazione Luca Coscioni per esempio) così come funzionano e/o eventualmente riformati, o altri ancora da mettere in piedi ex novo non lo sarebbero per niente, o lo sarebbero in misura inadeguata.

Fare un lavoro di questo tipo finalizzato ad enunciare alcune delle campagne e degli obiettivi per i quali servirebbe il Partito Radicale offrirebbe anche l’opportunità di rendere esplicite e comprensibile le ragioni per le quali quelle stesse campagne e quelli stessi obiettivi - e le azioni e le interlocuzioni da intraprendere conseguentemente - e non quelli individuati dalla mozione di Rebibbia e dai documenti/deliberati della Presidenza del Partito siano appropriati ed all'altezza non solo della storia radicale, ma anche e soprattutto delle sfide politiche rispetto alle quali i radicali possono/devono continuare ad essere riconoscibili anche e soprattutto perché capaci di leggerle, di offrire a tutti l’opportunità di confrontarsi con esse e di individuare e proporre laicamente il modo per affrontarle.

Per questo il tema che l’iscrizione di Gianfranco Spadaccia e la sua interlocuzione con la Presidenza del Partito radicale pongono indirettamente non ha che fare solo con i radicali o peggio con le loro lacerazioni interne. Se infatti la questione venisse ignorata o archiviata - come sembra voler fare la Presidenza del Partito stando alla lettera di risposta del 23 agosto scorso - chiunque ritenga che la partecipazione politica sia una risorsa indispensabile e preziosa per il corretto funzionamento delle istituzioni perderebbe la possibilità di trovare nella presenza politica organizzata dei radicali e nel Partito Radicale, una sorta di incubatore di metodologie, principi e regole messi e/o da mettere utilmente alla prova.