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Per una gran parte della stampa cosiddetta moderata di proprietà o emanazione del leader cosiddetto moderato Silvio Berlusconi quella di Barcellona è stata una strage “boldriniana”. Chi difende i rifugiati islamici difende l’Islam, chi difende l’Islam arma la mano agli assassini.

A caldo, su Twitter, il direttore del Giornale Sallusti ha scritto: “Chiunque sia stato è una fottutissima belva. E che la Boldrini e i suoi amici mi denuncino pure per offesa via web”. Un modo per accostare il nome del presunto mandante a quello dei colpevoli, per irridere alla scelta della Presidente della Camera di procedere in sede giudiziaria contro quanti in questi mesi, in una raccapricciante caccia alla donna, le hanno augurato di morire ammazzata o stuprata dai suoi protetti e per significare che in fondo “lei” e “loro” sono la stessa cosa, il politicamente corretto e il terrorismo nichilista due facce della stessa minaccia antropologica contro l’Italia e l’Europa bianca e cristiana.

Le modalità, gli obiettivi, l’approssimazione organizzativa e la chiusura clanico-familiare di questa cellula metastatica catalana di un Califfato ormai senza terra e senza progetto, se non quello di seminare la morte e il panico ovunque e con ogni mezzo, non sono argomenti – come dire? – interessanti per gli agitati piazzisti del pregiudizio. L’alienazione personale e sociale degli auto-reclutati soldati del Califfo (in genere avanzi di galera senza alcuna esperienza, né formazione religiosa) sembrerebbe ampiamente contraddire la tesi della loro “rappresentatività” dei milioni di islamici che vivono in Europa. La divisa del martirio degli jihādisti fai-da-te consente però, andando molto per le spicce, di intestare i morti non solo all’Islam tout court, ma soprattutto a quanti resistono all’idea della criminalizzazione religiosa e della discriminazione civile degli stranieri, islamici e non islamici, come nuovo dovere patriottico dell’identità occidentale. Non che il rapporto con le comunità islamiche non sia un rapporto problematico, ma in tutt’altro senso.

Un’analoga strategia – quella di accusare il potere di Francia dei morti di Francia – è costata alla Le Pen l’Eliseo e un risultato elettorale mediocre oltre ogni aspettativa. Ma se in Francia la maggioranza silenziosa, nel segreto dell’urna, si è scoperta con sollievo macroniana, non per questo si può concludere che questo accadrà in Italia, dove non c’è Macron e neppure la Le Pen e il lepenismo trasversale delle forze politiche fasciste o fascisteggianti ha dimensioni elettoralmente esorbitanti.

In Italia la xenofobia non è un pensiero inconfessato e masticato con rabbia, ma ormai un riflesso esibizionistico di massa, uno status symbol intellettuale. In Italia le forze politiche che oggi rappresentano la maggioranza degli elettori possono sostenere con un grande successo di pubblico e un discreto apprezzamento di critica che l’emergenza migratoria è un complotto ordito dalle ONG umanitarie al soldo del capitale finanziario internazionale. Non è l’Africa che esplode e che fuoriesce dal buco di un Paese polverizzato, la Libia; è Soros che tira fuori il portafoglio e paga il biglietto e il traghetto agli invasori.

Ho vissuto a lungo nel timore che il pericolo orwelliano venisse, per così dire, da sinistra e dalle pretese pedagogiche di un Grande Fratello che dissimulava l’interesse del Male nell’apparenza del Bene e nel suo rivendicato monopolio morale, facendo del dissenso, del pensiero diverso, dell’eresia anticonformistica prima un peccato e poi un reato. Non penso fosse un timore sbagliato, né infondato. Sono nato, non solo alla vita, ma alla politica prima del crollo del Muro, e prima della fine del Fattore K e del progetto di egemonia culturale, che aveva genialmente convertito l’ambizione di dominio in un “gioco democratico”. Mi sentivo insidiato, con Flaiano e Sciascia, più dal fascismo degli antifascisti che da quello postumo, recitativo e impotente di fascisti immaginari o di teppisti politici neri, che la violenza sigillava in un isolamento pneumatico, letteralmente infrequentabile da parte delle persone perbene.

Oggi posso dire – è la prima volta – di avere scoperto un pericolo orwelliano che arriva dal lato opposto del pensiero e della storia, da un Grande Fratello che non pretende di parlare in nome del Bene, ma che rivendica il diritto "liberatorio" di dire e pensare il Male e di farne sentimento popolare e pensiero comune. Un fenomeno forse evanescente o forse epocale, che collega in modo fino a pochi anni fa incredibile il Cremlino e la Casa Bianca, i sovietisti e i suprematisti cristiani, il Ku Klux Klan e l’ex KGB in un incubo distopico di cui non abbiamo visto l’inizio e non riusciamo a vedere la fine.

A forza di pensare che il Grande Fratello avesse le vesti dell’Anticristo e della profezia rivoluzionaria pseudo-messianica, noi liberali di diversa scuola e foggia abbiamo sottovalutato la possibilità che potesse, semplicemente, tornare a vestire da Diavolo reazionario.

@carmelopalma