cattedrale palermo

Forse tutta l'Italia va diventando Sicilia...Gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso nord, di cinquecento metri, mi pare, ogni anno. La linea della palma… Io invece dico: la linea del caffè ristretto, del caffè concentrato… E sale come l'ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l'Italia, ed è già oltre Roma".

È passato più di mezzo secolo da quanto Leonardo Sciascia, ne 'Il giorno della civetta', descriveva lo scandalo della corruzione come una sorta di ribaltamento della questione meridionale: da progetto di emancipazione civile e economica del sud a processo di meridionalizzazione politica del Paese.

Nella metafora di Sciascia c'era già molto, se non tutto, delle sorti della democrazia italiana dopo il miracolo del boom: la deriva parassitaria e particolaristica della partitocrazia, il deterioramento morale e funzionale delle istituzioni, il sacco di risorse pubbliche per manutenere un sistema di consenso fondato sulla scambio diretto e sostanzialmente personale di utilità tra elettori ed eletti. Il sud e massimamente la Sicilia, cui il titolo di Regione speciale e una consistenza demografica decisiva per gli equilibri nazionali conferiva una sorta di immunità e di diritto all'eccezione, da problema diventavano modello come per effetto di un irresistibile contagio.

Negli anni successivi - quelli in cui la mafia prima inesistente venne infine riconosciuta esistere - molti denunciarono nel rapporto mafia-politica, cioè nella contiguità criminale tra capi-partito e capi-banda, la chiave di volta dell'edificio democratico meridionale e nazionale, mentre Sciascia nella linea della palma che saliva verso nord ravvisava un fenomeno ancora più radicale e non necessariamente illegale, quella della democrazia ridotta a comparaggio, tanto criminale, quanto democratico, tanto asservito al potere intimidatorio delle lupare, quanto liberamente negoziato dal popolo e dai suoi rappresentanti.

Questa Sicilia politica è stata da allora mafiosa e antimafiosa, cianciminiana e orlandiana, compromessa da amicizie pericolose neppure troppo dissimulate e affidata ai vessilliferi e ai nomi nobili della resistenza alle cosche, ma non si è affatto emendata dal proprio peccato originale, né affrancata dalla logica e dalla pratica della "democrazia di scambio". E l'Italia politica è divenuta sempre più somigliante all'immagine della Sicilia.

Mezzo secolo fa Sciascia aveva profeticamente previsto pure la conversione abusivistica del M5S e il chiagne e fotte programmatico di Luigi Di Maio, che con un occhio versa lacrime dolorose sullo scandalo dell'illegalità e sullo sfregio del territorio, mentre strizza l'altro alle legioni di elettori che delle case illegali hanno fatto dimora e mercato e che rivendicano l'esenzione dagli oneri legge e dalla stessa normalità - che vuole che una casa da demolire vada demolita - in nome di un diritto storicamente acquisito e consustanziato al funzionamento della "loro" democrazia.

È tutto purtroppo sinistramente coerente anche la coincidenza di questo anticipo giocato in Sicilia e alla siciliana con l'avvio delle grandi manovre per la partita decisiva, quella delle elezioni politiche. La Sicilia ritornerà a farsi laboratorio di tutto: delle coalizioni, delle retoriche e dei sentimenti popolari, e della determinazione dei partiti a vincere, senza filosofare troppo sugli effetti collaterali di questo modo disastroso di vincere in un Paese perduto. "Bisogna andare in Sicilia", scriveva Sciascia nel suo romanzo più famoso, "per constatare quanto è incredibile l'Italia".

@carmelopalma