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La recente vicenda sollevata dalle dichiarazioni “anti-italiane” del ministro degli esteri austriaco Sebastian Kurz, non a caso smentite da quelle del premier (e concorrente) Christian Kern, è sicuramente da interpretare tenendo conto della campagna elettorale in corso in quel Paese. Prefigura però uno scenario che potrebbe anche essere – e forse già è – molto “italiano”. Con la differenza che l’Italia, a differenza dell’Austria, non ha a sud un pezzo di Europa su cui scaricare il costo politico della gestione dell’emergenza migranti.

È stato più volte ribadito il concetto che il nostro Paese, non fosse altro che per un calcolo utilitaristico, avrebbe tutto da perdere nell’uscita dall’Unione europea. Il rischio di diventare una grande CIE a cielo aperto è del tutto concreto.

La conformazione del nostro territorio è tale per cui siamo esposti a “un’invasione” dal lato mediterraneo mentre a nord abbiamo un muro naturale facilmente controllabile dai nostri vicini. È sin troppo facile prevedere che, in caso di “Italexit”, Francia e Austria chiuderebbero i propri confini e rifiuterebbero pregiudizialmente ogni appello alla solidarietà: a quel punto dovremmo gestire davvero da soli un fenomeno di dimensioni epocali.

Il Governo italiano sta tentando di barcamenarsi in una situazione difficilissima: da una parte tenta di raggiungere accordi con la Libia ben sapendo che si tratta di uno Stato dove attualmente non esiste una leadership forte, uno Stato suddiviso in tribù con un Governo riconosciuto internazionalmente, ma osteggiato dal generale Haftar (sostenuto dall’Egitto) e dalla Russia. La Russia, dal canto suo, ha tutto l’interesse che il flusso di migranti continui verso l’Europa, per destabilizzarla politicamente e per alimentare la propaganda di quei partiti populisti con cui il Cremlino ha stretto accordi formali. In questa delicata fase si inserisce anche la Francia di Macron che non ha mai nascosto i suoi interessi in Libia, contrastanti con quelli italiani.

Il quadro internazionale è quindi molto complicato ed esigerebbe, almeno su questi temi, una coesione nazionale che vada al di là degli interessi elettorali a breve termine. Purtroppo l’Italia vive uno dei periodi storici più miseri da questo punto di vista, uno scenario da “tutti contro tutti” in cui la disinformazione regna sovrana e lo stesso interesse nazionale non è calcolato razionalmente, ma “valutato” in base a una realtà manipolata e percepita.

Una classe politica che sposa il populismo nella speranza di arrivare o rimanere al potere addossa “all’Europa” la responsabilità di tutti i problemi, senza considerare né ammettere che europeo è il necessario concorso alle loro soluzioni. Il caso dell’immigrazione – in cui il problema “europeo” è rappresentato appunto dall’assenza di una vera dimensione europea nella gestione operativa, politica e istituzionale di questa ormai cronica emergenza – è quello paradigmatico. È l’Europa senza Ue a uscire paralizzata e sconfitta da questa sfida. È l’Europa senza Ue quella che rende l’esplosione del Nord Africa e del Medioriente un problema esclusivamente greco e italiano.

Peraltro, questa difficoltà alimenta un vittimismo altrettanto irrazionale. Quasi mai il nostro sistema informativo riesce a far notare agli italiani come la Germania della Merkel abbia già concesso asilo a più di settecentomila profughi o come la Polonia abbia aperto le sue porte a centinaia di migliaia di profughi ucraini che fuggono dalla guerra in Donbas. Tutto ciò aprirebbe però un’altra discussione, mentre noi vogliamo concentrarci sulle contraddizioni della risposta populista di molti partiti italiani all’emergenza migranti, a partire da quella della Lega (e del centro-destra in generale) e dei Cinque Stelle. Questa risposta è il più delle volte monca e solo in parte ricalca l’autarchia fascista. L’Italia non è certo nuova a spinte populiste e a ricette autarchiche, tutti sappiamo quale fu la linea adottata da Mussolini durante la crisi del ’29.

Oggi i vari Di Maio o Salvini si fermano però alla critica senza mai proporre veramente una soluzione, e - contraddizione delle contraddizioni – anch’essi evocano proprio l’Europa, proprio mentre le addossano la responsabilità delle cause, come un unico possibile attore di una seppur complicata soluzione. Tale evocazione è presente quotidianamente nelle dichiarazioni dei Cinque Stelle e della Lega: c’è una critica all’Europa, c’è la proposta di una necessaria “chiusura” o “uscita”, ma non c’è la soluzione autarchica, anzi per la soluzione la palla viene rimandata nel cortile di Bruxelles. È necessario far notare a Di Maio o Salvini che un’Italia fuori dall’Europa non potrebbe chiedere né pretendere aiuto dalla Germania o dalla Polonia, proprio il contrario di quanto i deputati pentastellati e leghisti continuano a fare chiedendo scandalizzati: “L’Europa dov’è?”

Che credibilità possono avere partiti che chiedono di uscire dall’Ue ma ne riconoscono intrinsecamente l’importanza e la necessità? Se fossero partiti seri, direbbero agli italiani quale sarebbe la soluzione “fatta in casa”: affonderebbero i barconi, occuperebbero le coste libiche per impedirne la partenza, sbarcherebbero manu militari i profughi a Malta o in Tunisia, o semplicemente lascerebbero migliaia di persone alla deriva in mezzo al mare – violando convenzioni e obblighi di diritto che pure l’Italia ha sottoscritto – aspettando che sia qualcun altro a occuparsene? Tutto dovrebbero dire o fare, fuorché evocare l’Europa.

A quel punto, se Di Maio o Salvini vincessero e l’Italia riaffermasse la propria autonoma e assoluta sovranità, non diventeremmo una grande Austria o Ungheria, ma una immensa Tunisia, sprofondando davvero, insieme ai profughi, nel Mediterraneo.

Vi consiglio di fare una semplice domanda al bar o in ufficio al vostro amico grillino o leghista. Domandategli “Domani siete al Governo, portate l’Italia fuori dall’Europa e gli sbarchi continuano, la Francia e l’Austria hanno chiuso i confini, voi cosa fate?”. Ascoltate le risposte, sarà meglio di una puntata di Zelig.

@maurovoerzio