tempesta

I conservatori ritengono che esistano alcuni valori e alcune istituzioni che ogni persona ragionevole e di buona volontà dovrebbe difendere e promuovere, ad esempio il valore dell’inviolabilità e dell’indisponibilità della vita umana sin dal concepimento, la famiglia, le tradizioni e le forme associative locali.

I sovranisti credono che la migliore risposta alle sfide della globalizzazione sia quella di proteggere, con gli strumenti a disposizione dello Stato nazionale, i prodotti, i valori e le tradizioni che caratterizzano una certa nazione. Ad esempio: occorre scoraggiare le importazioni dall’estero tramite dazi per difendere le produzioni nazionali, bisogna impedire che flussi migratori incontrollati riducano in minoranza i sostenitori delle tradizioni e dei valori nazionali, e così via.

Molti intellettuali ed elettori ritengono che oggi il miglior modo di essere conservatori consista nell’essere sovranisti. Essi pensano che i valori e le istituzioni da difendere e promuovere possano essere efficacemente difesi e promossi soltanto dallo Stato nazionale, contro i “pericoli” della globalizzazione e contro l’intervento delle istituzioni sovranazionali. A questa idea – che testimonia tragicamente la crisi culturale del liberalismo di destra – intendo oppormi. A mio avviso, il modo migliore per essere conservatori non passa per il sovranismo. Ben al contrario: il sovranismo nasconde molteplici rischi per il progetto conservatore.

Il punto centrale del mio ragionamento consiste nel porre in questione il ruolo dello Stato nazionale. I conservatori-sovranisti sono, a mio avviso, vittime di un equivoco che risale all’epoca romantica. Essi assumono che una nazione (con la sua identità e le sue tradizioni) si identifichi o debba prima o poi identificarsi con uno Stato nazionale. Senza uno Stato nazionale, non vi è nazione – o almeno vi è soltanto una nazione “monca”. Lo Stato nazionale compie e difende la nazione.

Perché si tratta di un equivoco? Perché l’identità e le tradizioni di una nazione – così come i valori di cui quella nazione si fa portatrice – precedono lo Stato nazionale e possono tranquillamente vivere senza di esso. I conservatori non hanno bisogno dello Stato per ritenere che certi valori e certe tradizioni (quelle nazionali, ma evidentemente non solo) debbano essere difesi e promossi. Né hanno bisogno dello Stato per difenderli e promuoverli in prima persona.

Lo Stato può essere talvolta utile ad impedire che alcuni valori siano violati. Eppure, il più delle volte, l’intervento statale peggiora la situazione, invece di migliorarla. In effetti, quando i conservatori si pongono al riparo degli strumenti coercitivi dello Stato, essi incorrono in due gravi errori.

Il primo errore consiste nell’affidarsi ad una pretesa onniscienza da parte dei governanti. Consideriamo il problema dei dazi: tutti noi vorremmo difendere, in linea di principio, le produzioni italiane. Eppure, quando impongono dei dazi contro l’importazione di prodotti dall’estero, i nostri governanti conoscono e considerano solo parzialmente le conseguenze cui andranno incontro. Gli altri Stati potrebbero rispondere con altri dazi, e questo toglierebbe mercato estero ai prodotti nazionali. I prezzi dei prodotti nazionali potrebbero salire, e questo toglierebbe mercato interno ai suddetti prodotti. Insomma, le buone intenzioni dei governanti potrebbero risolversi in un pessimo servizio per l’italianità. I governanti non sono onniscienti, e ritenere che essi possano e debbano esserlo (come fa implicitamente il sovranista) non può che peggiorare la situazione.

Il secondo errore dei conservatori-sovranisti è ben più grave. Pensando che lo Stato nazionale debba difendere e promuovere con i propri strumenti coercitivi i valori e le istituzioni da conservare, essi rischiano di dare adito a un potenziale ricatto. Lo Stato, con il “miele” della protezione, può divenire sempre più decisivo nello stabilire quali valori e quali istituzioni abbiano titolo di essere conservati e quali non lo abbiano. Viceversa, sarà tolto alle singole persone e ai “corpi intermedi” della società (come le associazioni) l’onere della difesa e della conservazione, il che indebolirà notevolmente il loro ruolo. Lo Stato diverrà progressivamente un despota: benevolo, talora, ma potenzialmente pericoloso per ogni conservatore.

In effetti, in uno Stato democratico, è del tutto accidentale che lo Stato scelga di difendere e conservare determinati valori e determinate istituzioni: potrà scegliere di farlo, ma non è obbligato. Se vincerà le elezioni una maggioranza progressista, in uno Stato ipertrofico che si è assunto il compito di “conservare” quei valori e quelle istituzioni, il progetto conservatore rischierà di fallire clamorosamente. Lo Stato ipertrofico governato dai progressisti avrà ora tutti gli strumenti per mettere a repentaglio il progetto conservatore.

In altri termini: è del tutto accidentale che i sovranisti che oggi si candidano a governare lo Stato siano anche conservatori. Quando l’espansione dello Stato nazionale auspicata dai sovranisti sarà compiuta, lo Stato potrà essere governato da una maggioranza insensibile o addirittura ostile al progetto conservatore. In tal caso, lo Stato potrà compiere danni ancora più grandi.

Per questi motivi, ritengo che il sovranismo sia un pericolo per i conservatori. Viceversa, il conservatorismo può costituire l’architrave di un mondo non-sovranista, cioè di un mondo globalizzato. I conservatori, si può argomentare, sostengono tre fattori decisivi per approcciare la globalizzazione in maniera proficua. In primo luogo, essi pensano che la libertà di ciascuna persona debba essere “educata” e promossa attraverso istituzioni ben precise, ad esempio la famiglia, la scuola, le forme associative locali. Senza tali istituzioni, il libero agire individuale nel mercato globale potrebbe avere come esito un esasperante smarrimento.

In secondo luogo, i conservatori promuovono lo sviluppo della diversità a livello individuale. Non è affatto detto che tutte le persone debbano rispondere ad un unico canone culturale e comportamentale – magari imposto dallo Stato. La diversità a livello individuale è una risorsa nel mercato globale, perché consente di avere competenze e profili complementari e di rispondere in maniera più elastica alle crisi, come già intuì von Hayek.

In terzo luogo, i conservatori promuovono anche lo sviluppo delle diversità locali. E anche questa è chiaramente una risorsa nel mercato globale.

Anticipo due obiezioni. La prima è che le istituzioni sovranazionali, soprattutto negli ultimi decenni, paiono aver più danneggiato che protetto – con le loro decisioni – i valori e le istituzioni da conservare. A tale obiezione rispondo, in primo luogo, che ciò è accaduto perché quelle istituzioni sono state investite di poteri “ipertrofici” che ora i sovranisti vorrebbero ricondurre allo Stato nazionale. Ma non è detto che questa mossa di “ri-nazionalizzazione” sia fruttuosa per il progetto conservatore. In secondo luogo, noto che, come è accidentale che lo Stato nazionale dei sovranisti abbia un’impronta conservatrice, così è accidentale che le istituzioni sovranazionali abbiano un’impronta non-conservatrice.

La seconda obiezione è che il mercato globale e l’ “ideologia globalista” paiono intrinsecamente votati a distruggere la varietà, cioè a far fallire il progetto conservatore. Il mercato globale – si asserisce da più parti – vuole consumatori e produttori appiattiti su standard unici e semplificati. La mia impressione è che questo sia sostanzialmente falso. Al contrario, la diversità è un valore nel mercato globale e il mercato globale, rendendo l’offerta molto più varia e mettendo in contatto profili diversi di produttori e consumatori, sembra promuovere – più che indebolire – la varietà.

In definitiva, i conservatori non dovrebbero essere sovranisti, ma rinnegare il sovranismo come un grave pericolo. Un maggior peso dello Stato implica una restrizione delle libertà. Persino della libertà di difendere ciò che si ritiene più prezioso.