Carlo Calenda

In un'interessante conversazione con il Foglio, il Ministro Calenda ricapitola i dubbi e le idee che gli hanno guadagnato la patente di sospettato speciale da parte del PD e del suo (ri)leader in pectore Matteo Renzi. L'agenda di riforme che Calenda propone al PD, auspicando la 'convergenza delle forze responsabili' e rivendicandone la continuità con l'originale riformismo dell'esecutivo renziano, in realtà, oggi sembra molto lontana dalla piattaforma che i candidati alla segreteria del PD sono disposti a sottoscrivere e totalmente priva, in questo Parlamento, di 'forze responsabili' in grado di promuoverla e sostenerla.

L'agenda Calenda - offertismo, rigorismo, concorrenza, realismo mercatista - non è l'agenda di nessun partito e di nessun leader politico potenziale o reale, visto che anche il titolare del Mise continua a smentire - e dunque occorre credergli - di voler coltivare un futuro politico. Peraltro, solo in un Paese che continua a leggere la geografia politica con le mappe della politica novecentesca quello di Calenda può apparire un "discorso di destra" o un modo di civettare con l'elettorato berlusconiano, che come dimostrano anche le inchieste demoscopiche è sempre più alieno da suggestioni "liberiste" e sostanzialmente sovrapponibile, nelle convinzioni di fondo, a quello della destra leghista (nazionalismo, identitarismo, ripudio della globalizzazione e del libero mercato).

Il discorso di Calenda è interessante in termini di merito. Non c'è niente di nuovo, sul piano delle proposte, ma quasi tutto ancora di inedito, sul piano delle realizzazioni. Un lungo elenco di cose sagge di cui si parla da decenni, per concludere che sono democraticamente incompatibili o impraticabili o troppo arrischiate per qualunque forza politica voglia "vincere" e ormai anche per quelle che aspirino semplicemente a "esserci" e per questo ritengono di doversi rassegnare all'idea che agli italiani bisogna continuare a dire quel che vogliono sentirsi dire, per ricavare al margine di quel consenso uno spazio (dissimulato, inconfessato e "tecnico") di realismo governista.

Le parole più interessanti di Calenda, quindi, sono proprio quelle sul circolo vizioso del mercato politico e sul sovraffollamento di forze diversamente populiste e tutte inclini al facilismo, al miracolismo e alla rimozione psico-ideologica della realtà di un mondo (diciamo approssimativamente: il nostro) che economia, tecnologia e demografia hanno scalzato dal piedistallo in cui si pensava imbullonato, ma che continua a rivendicare - come tutti i nobili decaduti - le prerogative del rango, più che del merito.

Manca, sembra dire Calenda, il partito che sia in grado di accettare la sfida della complessità e di fare di un'agenda autenticamente riformista qualcosa di diverso da una cassetta di emergenza da nascondere nei doppifondi della retorica populista. Ma manca - ci permettiamo di aggiungere - anche chi sia disponibile a giocare la scommessa di questo partito impossibile. E questo rende il senso dell'anomalia italiana. La risacca della globalizzazione ha terremotato la politica dell'intero Occidente, ma in Italia - caso unico tra i grandi Paesi europei - ha fatto danni più profondi e, a quanto pare, più "definitivi". O no?

@carmelopalma