Draghi

Se analizzassimo la politica monetaria della Banca Centrale Europea con la lente più severa possibile (quella della scuola austriaca di economia, ad esempio), finiremmo per addebitare a Mario Draghi gli stessi errori compiuti per secoli dai manipolatori delle monete nazionali, che spesso provano a supplire all’anemia di economie poco produttive e non sufficientemente innovative inondando il mercato di carta moneta. Quasi sempre l’effetto ricchezza e lo stimolo al credito sono fittizi, di breve periodo e incapaci di risolvere debolezze strutturali.

Tuttavia, la critica va contestualizzata nella realtà e confrontata alle alternative. Anzitutto, i “vizi” della BCE non sono maggiori o più gravi della Federal Reserve americana, della Banca d’Inghilterra o la Banca del Giappone. Poi, l’alternativa alla politica molto generosa e permissiva della BCE (non a caso, avversata internamenti dai “falchi” alla Weidmann) sarebbe oggi il ritorno a un drammatico nazionalismo monetario, forse la forma più violenta e aggressiva di conflitto economico tra Paesi, i cui effetti hanno pesantemente influito nello scoppio dei due conflitti bellici del secolo scorso. Pensando alla Grande Recessione che ha colpito l’Europa nel 2008 e negli anni successivi, cosa sarebbe accaduto se al posto dell’euro avessimo avuto le monete nazionali? Forse la migliore spiegazione l’ha fornita qualche anno fa l’economista spagnolo Jesùs Huerta de Soto, studioso di quella “scuola austriaca” sopra menzionata, nel suo saggio “An Austrian Defense of the Euro” (da leggere e conservare a lungo, amici lettori di Strade).

“L'arrivo della grande recessione del 2008 ha ulteriormente rivelato a tutti la natura disciplinare della moneta unica: per la prima volta, i paesi dell'unione monetaria hanno dovuto affrontare una profonda recessione economica senza autonomia della politica monetaria. Fino all'adozione della moneta unica, quando una crisi colpiva, i governi e le banche centrali agivano sempre allo stesso modo: iniettavano tutta la liquidità necessaria, permettevano alla valuta locale di fluttuare verso il basso e di deprezzarsi, e rinviavano a tempo indeterminato le necessarie e severe riforme strutturali che coinvolgono la liberalizzazione economica, la deregolamentazione, maggiore flessibilità dei prezzi e dei mercati (in particolare il mercato del lavoro), una riduzione della spesa pubblica, e il ritiro e lo smantellamento del potere sindacale e lo stato sociale. Con l'euro, nonostante tutti gli errori, le debolezze, e le concessioni (della BCE, come spiega più avanti), questo tipo di comportamento irresponsabile e le fughe in avanti non sono più state possibili”.

In effetti, semplificando all’essenziale, chi vorrebbe tornare alle monete nazionali banalmente rifiuta l’idea che un’economia possa e debba crescere “strutturalmente” e non attraverso la droga di una moneta da svalutare e inflazionare. Dietro tante chiacchiere sulla sovranità, sui complotti e sulle riunione del Bilderberg, c’è la vecchia solita resistenza al cambiamento, alla responsabilità fiscale e intergenerazionale, all’innovazione economica e sociale.

Se tornassimo alle monete nazionali – sul punto il presidente Draghi batte ripetutamente – non verrebbe meno solo l’unione valutaria, ma l’intera costruzione del mercato comune, perché riappropriatisi della leva monetaria gli Stati nazionali finirebbero per usarla nel modo peggiore, illudendosi di sanare squilibri commerciali, deficit di bilancio, disoccupazione e problemi di domanda stampando moneta e provando a rubarsi l’un l’altro quote di mercato a botte di svalutazione. Quanto saremmo disposti noi italiani, ad esempio se la Spagna tornasse alla peseta, a lasciarci “invadere” dall’olio d’oliva spagnolo se questo all’improvviso costasse la metà?

Dietro l’illusione del sovranismo monetario si cela la più grande bugia ai danni dei cittadini, in quanto lavoratori, risparmiatori e proprietari. Il sovranismo monetario è il tentativo di risolvere i problemi di debito pubblico e di crescita economica attraverso la più grande tassa patrimoniale della storia, capace di abbattere drammaticamente il valore dei patrimoni mobiliari e immobiliari. Chi propone all’Italia di uscire dall’euro, state pur certi, appartiene a una delle due categorie: o ha già i propri soldi all’estero o crede ancora a Babbo Natale.

Al contrario, difendere l'unione monetaria europea - anzi rafforzarla, affiancandole una politica fiscale "federale" e continuando a integrare i mercati e ad abbattere le barriere - è oggi la via maestra di una politica responsabile e rispettosa del lavoro, del risparmio e del futuro dei cittadini, una politica capace di scelte coraggiose e lungimiranti. E poi, uber alles, c'è il tema dei temi, che faremmo bene a non seppellire insieme agli ultimi superstiti della Seconda Guerra Mondiale: non si fa la guerra con chi ha la tua stessa moneta, banalmente non ti conviene.