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Quando Marine le Pen, nel lanciare la propria candidatura all'Eliseo, ripropone il conflitto tra "mondialisti" e "patrioti", chiarisce quanto sia oggi arcaica la forma della rivolta, apparentemente post-moderna, all'ordine politico globale.

È un linguaggio da anni '30, quando i fascismi e i nazionalsocialismi, dopo la Grande Crisi, si accreditavano come un'alternativa non solo nazionale, ma anche sociale al modello del New Deal liberale e della democrazia capitalistica. L'Unione Europea, nella costruzione di una sovranità condivisa e negoziata in base ad accordi e a regole comuni, non derogabili unilateralmente, è la manifestazione più recente e più radicale - perché storicamente più evoluta - del default dello stato nazionale come agente esclusivo o anche solo determinante di crescita e sicurezza.

Le nazioni tornano di moda mentre la sovranazionalità dei processi demografici, delle catene del valore e delle minacce politiche rende le democrazie del vecchio continente sempre più dipendenti da un sistema di relazioni multilaterali (economico-commerciali, ma anche strategiche e militari) che gli stati membri dell'Ue, compresi i più grandi e i più ricchi, non sono in grado di governare "sovranamente" da posizioni di forza. Il nazionalismo che spopola in Europa è il sintomo di una sindrome agorafobica, più che un rimedio a una condizione di debolezza.

L'esercizio della sovranità non può più essere nazionale, perchè hanno cessato di esserne nazionali le leve fondamentali, per una ragione di insufficienza "interna", non per un'usurpazione "esterna", per una oggettiva inadeguatezza, non per una lesione di diritto. La sovranità monetaria, la più invocata dalle forze che vogliono "uscire dall'euro", è il più eloquente simulacro di questa rimozione.

Per i sovranisti europei, l'esempio di Trump e la sponda di Putin sono tanto incoraggianti quanto illusori. Gli Usa sono un Paese abbastanza grande e forte per permettersi questo azzardo, e per rimediarvi prima di capitolare. La Russia non è mai davvero stata, neppure dopo il 1992, una democrazia, né un'economia di mercato. Il suo espansionismo ideologico e una minacciosa politica di potenza rivolta verso occidente ne fanno una forza "neo-sovietica" disposta a foraggiare i partiti fratelli impegnati a smontare l'Unione e ad ancorare il nazionalismo europeo all'orbita moscovita. Ma la "russificazione" degli stati europei ed il contagio di un ordine politico alternativo a quello dello stato di diritto, della democrazia e del libero mercato riporterebbero il continente non alle divisioni della Guerra Fredda, ma alle ostilità precedenti il secondo conflitto mondiale, aggravate dalla frustrazione di una sovranità puramente fittizia.

Sul piano dell'analisi, ci sono pochi dubbi che il nazionalismo aggressivo sia in Europa una reazione risentita e luttuosa alla fine della sovranità nazionale. Sul piano del "gioco politico" questa illusione costituisce la vera e propria sfida esistenziale per la democrazia europea e per i destini dell'ordine politico occidentale.

@carmelopalma