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L’Italia è prima tra i paesi europei nella classifica della corruzione percepita. È seconda invece nella top 28 del debito pubblico (130 e passa per cento) - dopo la Grecia (170 e passa per cento). Tra gli asset della competitività nazionale, l’Italia annovera ingegneri ottimamente formati e low cost - come l’India o l’Albania. I disoccupati italiani sono una constituency inferiore di numero, in Europa, solo ai senza lavoro di Spagna e Grecia. Certo, si può sempre lavorare in nero.

Il Pil italiano cresceva dell’1,7% nel 2010; nel 2015 dello 0.8%. Nello stesso periodo il Prodotto Interno dell’Irlanda passava dal +2 al +26,3%.
Eppure l’Irlanda non è la Germania, ha anche lei l’Euro e gli stessi vincoli euro-cratici che abbiamo noi; ed ha pure subìto un commissariamento vero, cinico e baro, dagli euroglobalisti della troika e dell’Fmi.

Nei mille scintillanti giorni del governo Renzi, la battaglia portata dall’Italia a Bruxelles è stata la flessibilità - cioè il riconoscimento del diritto politico nazionale di fare debito per finanziare sviluppo. Renzi ha incassato l’opportunità di fare politica economica coerente con un indirizzo politico, il suo; e farla con parecchia più agibilità di quella imposta dal Patto di Stabilità. Da parte sua, non gli rimaneva che portare a casa risultati - occupazione, Pil, trasparenza (vera), sburocratizzazione (vera), de-corporativizzazione (mai partita).

È così che una valanga di soldi pubblici è stata spesa in bonus, immaginati come chissà quale potente moltiplicatore di opportunità - aumento dei consumi, aumento della produzione, aumento del lavoro - in un’Italia invece troppo scoraggiata per volersi dedicare allo shopping; un’Italia disoccupata (o mal occupata e praticamente povera), e così vergognosamente ingiusta.

La curiosità spinge a chiedersi con quale criterio sia stata operata questa scelta dal Ministro dell’Economia di Renzi, mentre ci si accingeva a cogliere l’opportunità di una vita: beneficiare della congiuntura politico-finanziaria europea, investire con intelligenza e responsabilità e generare così l’ottimismo e la fiducia necessari per lo sviluppo civile e sociale, dunque economico, del nostro paese. Si è invece preferito televendere pentole.

I risultati garantiti da Renzi infatti non sono arrivati. Sono arrivate però le emergenze non-previste - la tragedia terremoto, la tragedia MPS - e con loro la sparizione dei margini di manovra per gli investimenti produttivi che avrebbero dovuto invece tirarci su. Eppure ora l’Italia trova da protestare con la Commissione Ue che si permette di far notare l’evidenza - cioè che i conti non tornano, che questo squilibrio è sciagurato e non perché violi le regolette europee, ma perché è l’ennesimo inasprimento della pena per gli innocenti segregati nel limbo della non-crescita, della non-mobilità, della non più-speranza.

Ma non è a questi che pensano i Renzi e i Salvini, i Brunetta e i Grillo, i Padoan e i Gentiloni quando alle obiezioni sui nostri conti replicano che la Germania viola le regole pure lei. E agli inviti ad aggiustarli, obiettano che una manovra ora non si può fare perché a breve si ri-vota. Agli sfigati di cui sopra si chiede di votare, ergo si decide di non-dire, per poi - dopo e di nascosto - fare. Le elezioni come liturgia di inazione e rimozione collettiva. Le elezioni come imperativo politico ad annullare qualunque forma di responsabilità. Le elezioni come presa per il culo, compiaciuta e condivisa. Si può ancora chiamare democrazia, questa?

È improbabile che la Commissione Ue ci commissari davvero. In fondo l’Europa ormai rischia di moltiplicarsi in tante Europe omogenee alle sue diverse nazionalistiche velocità, cioè si attrezza a non esserci più. Un sistema politico che rinuncia alla realtà perché gli elettori non capirebbero è un sistema politico malato. O, se preferite, criminale. O, se volete, democraticida. E lo sarebbe anche se fosse il sistema politico di un paese indipendente, sovrano, autarchico e, appunto, fuori dall’Europa.

@kuliscioff