UK EU

Come racconteranno un giorno gli storici la sentenza della Corte Suprema britannica sulla Brexit? Come il canto del cigno della democrazia rappresentativa occidentale, prima del suo definitivo abbattimento in nome del 'popolo', o come l’evento che segnò il suo rilancio? Forse non accadrà nessuna delle due cose, perché la realtà sa essere meno netta e più ambigua, ma questa decisione rappresenta senza dubbio il discrimine tra una visione e un’altra.

C’è un passaggio quasi “emozionante” nella sentenza, se è lecito usare un tale aggettivo per una decisione giudiziaria: il voto del Parlamento britannico sulla Brexit è obbligatorio perché direttamente o indirettamente la normativa europea determina diritti per i singoli individui, e tali diritti non possono modificati o revocati se non per mano del Parlamento. Non c’è re, e dunque governo, né divinità o popolo che tenga: è il Parlamento il luogo in cui si determinano, si espandono o financo si riducono gli spazi di autonomia e autoderminazione degli individui in una comunità democratica. Altre formule – monocratiche, tecnocratiche, partitocratiche o plebiscitarie – sono e restano soggette a un maggior rischio di abuso, eccesso, violenza o prevaricazione del potere politico.

Vada come vada, Brexit o non Brexit, ieri la Corte Suprema britannica ha offerto una profonda dimostrazione di democrazia liberale non solo al Regno Unito, ma all’intero Occidente. Nell’Europa continentale, nelle capitali nazionali e a Bruxelles, c’è un deficit di consapevolezza. Per decenni, i conservatori britannici lamentavano che gli equilibri istituzionali comunitari fossero poco rispettosi dei luoghi di piena e autentica legittimità democratica, i parlamenti. I liberali contestavano che tale debolezza riguardasse non tanto le assemblee nazionali, quanto il Parlamento europeo.

In troppi si erano innamorati dell’idea che le grandi scelte economiche e regolatorie potessero prescindere dalla politica, che fossero ormai decisioni eminentemente tecniche, da lasciare a chi ne sapeva. Altri si illudevano di superare le ferraglie macchinose delle procedure comunitarie con riunioni non stop di due giorni e due notti dei capi di Stato e di governo, il famigerato Consiglio Europeo.

In verità, l’eccessiva fiducia nella burocrazia e nella “gamba” intergovernativa dell’Unione hanno alimentato il senso di lontananza e il racconto dei pugni sbattuti sul tavolo, consegnando a ogni singolo governo la tentazione (e anche la necessità) di “portare a casa” qualcosa: “L’Europa deve darci”, “L’Europa accetterà”, “La Merkel dovrà ascoltarci”.

C’è una lezione che la sentenza della Corte britannica potrebbe lasciarci: la democrazia rappresentativa è la migliore espressione di libertà che la civiltà umana abbia finora espresso. Ricordiamocene per il futuro della politica italiana e di quella europea, qualunque esso sia.