La giustizia italiana funzionava male anche prima che Berlusconi se ne accorgesse. E nonostante i proclami garantisti, il Cavaliere ha reagito all'anomalia in modo sostanzialmente illiberale, preferendo il sabotaggio alla difesa.

Tortora precede Berlusconi. La custodia cautelare, l'abuso discrezionale e conformista che se ne è fatto, la sublimazione di una pratica eccezionale a consuetudine, a reiterazione di uno stato perpetuo di eccezionalità precedono anch'essi Berlusconi e, in parte, lo determinano. Tangentopoli: Berlusconi viene da lì. Dal voyeurismo sanguinario delle sue Tv in collegamento dal marciapiede del Palazzo di Giustizia milanese; dall'esaltazione del giustiziere politico n. 1 – Antonio Di Pietro. Business is business, e nel business "giusto" è quello che piace al cliente. La gogna ai potenti, la lapidazione a reti unificate era opera del Tribunale del Popolo mediatico a cui proprio Berlusconi aveva dato non una voce, ma un valore.

La giustizia italiana funzionava male anche prima che il Berlusconi imprenditore e tycoon diventasse il Berlusconi politico-imprenditore-tycoon. Gli stessi problemi sistemici, gli stessi vizi culturali. Il corporativismo intimidatorio della magistratura che ha regalato una carriera tutta in ascesa per il giudice che condannò Enzo Tortora avendo in mano niente, e reso onnipotente l'egocentrismo di quelli che hanno fatto Tangentopoli. Gente portata nell'empireo dei Giusti per aver messo i potenti in galera, condannandoli all'umiliazione, alla negazione dei diritti umani e delle garanzie delle regole civili. Quelli di Tangentopoli, abbiamo scoperto dopo, hanno messo in galera gente prelevandola selettivamente all'interno della categoria "potente"; oltre la metà di quelle persone erano innocenti. Era giustizia politica, giustizia mediaticamente popolare. Berlusconi, con le sue Tv, ne ha fatto una politica giusta.

Garantismo è cultura del Diritto, delle "garanzie giuridiche e politiche volte a riconoscere e tutelare i diritti e le libertà fondamentali degli individui da qualsiasi abuso o arbitrio da parte di chi esercita il potere" – spiega la Treccani. Il garantista si preoccupa che i principi siano assunti nelle regole e che le regole siano universalmente rispettate. È un legalitario, il garantista. Un universalista del Diritto. È uno che meglio un colpevole fuori che un innocente dentro – perché il Diritto è innanzitutto un canone di libertà non di repressione. Garantista è Enzo Tortora che rinuncia all'immunità da neo-eletto europarlamentare radicale per farsi processare. Era innocente. Era vittima di un errore commesso con accanimento persecutorio. Doveva provarlo nel processo. Doveva provarlo con il Diritto. Un garantista, le sue battaglie, le vince così.

Quella vicenda, la vicenda Tortora, pesa più del Debito pubblico sulla sostenibilità della nostra democrazia. Ne è forse persino concausa. Fare una giustizia giusta significa fare un paese libero. Era quella l'idea, originariamente, dalle parti di Berlusconi, no?

Berlusconi politico ha rappresentato la questione giudiziaria in due format - chiari, riconoscibili ed entrambi irriducibili ai principi liberali: il format chiamato sicurezza, e il format chiamato impunità.

L'origine del pacchetto securitario è complessa, articolata. La Lega contro i negher, An contro i tossici. I due alleati, ma anche competitors nell'ingraziarsi la disponibilità di Berlusconi a concedere scambi legislativi, hanno un notevole carico di responsabilità nella criminalizzazione di status e comportamenti nei confronti dei quali la pena detentiva non rappresenta in alcun modo una deterrenza. Le leggi securitarie – volute da Bossi, Fini, il proibizionista talebano Giovanardi - hanno avuto sul sistema giustizia un impatto sicuramente più devastante persino delle leggi ad personam fatte da Berlusconi per salvare sé stesso. E forse a Berlusconi non sarebbe fregato nulla di mettere in galera tossici e gente senza passaporto, se non avesse avuto il problema di poterci finire lui, in galera. Quindi più sicurezza per tutti: le costituency rancorose degli alleati nordista e destrorso, e più sicurezza per sé.

È ai governi Berlusconi, quindi, che si devono le galere come allevamenti intensivi di polli in cui la gente si suicida – e non facciamo gli ipocriti, lo capiamo il perché. Oltretutto noi - i contribuenti, la società - che beneficio ricaviamo da quel mortificante martirio di poveracci? Non ne guadagniamo in sicurezza percepita, non in sicurezza effettiva – i reati che determinano allarme sociale crescono, non diminuiscono. Poi, certo, all'ultimo minuto corre ai tavoli referendari di Marco Pannella e Rita Bernardini. Ma è troppo tardi, è già dopo la condanna in terzo grado. L'urgenza di sanare l'illegalità delle patrie galere, l'ex Presidente del Consiglio avrebbe dovuto avvertirla nel corso dei suo mandati, l'ultimo dei quali pressoché totalmente dediti alla sua impunità.

L'impunità, appunto: il secondo format del tema giustizia. Berlusconi sinceramente pensa di meritarla, non la immunità legata alla funzione, ma la impunità legata allo status, il suo. Pensa per questo che il Presidente della Repubblica non possa non concedergli la grazia, o meglio non possa non correre ad offrirgliela sua sponte. Il problema non è il caso specifico, la specifica condanna: è la non riduzione di Berlusconi a uomo qualunque, a uomo addirittura giudicabile da gente che non ne riconosce la superiorità. Berlusconi non rifiuta il giudizio in sé, ma l'atto stesso di doverlo subire. C'è qui discrezionalità, eccezionalismo. C'è tutto quello contro cui il garantismo si batte.

Berlusconi ha subìto processi spesso veramente persecutori, ed ha subìto condanne talvolta oggettivamente aleatorie. Ma lui non si è difeso, ha sabotato. Una e più volte con le sue più che famigerate, idiote, leggi ad personam. E ora la prescrizione breve – in tempo per impedire lo svolgimento del procedimento x. E un minuto dopo, all'approssimarsi del pericolo procedimento y, nuova corsa parlamentare per far prevalere il principio opposto a quello dell'iniziativa legislativa precedente, cioè il processo lungo. E via così.

Siamo lontani, molto, da Tortora. Siamo oltretutto in una rete ormai inestricabile di abusi. L'abuso dei persecutori politici in toga, persecutori deliberati, con un'errata concezione del potere che il concorso pubblico ha conferito loro. E l'abuso – speculare – di Berlusconi, con una veramente errata concezione del potere conferitogli dal popolo, dei limiti di questo potere.

Si ricavano almeno un paio di lezioni dalla storia giudiziaria del ventennio.

La prima. Un avvocato-deputato che si fa leggi apposta per vincere le cause patrocinate, e che ciononostante perde, è un pessimo avvocato. Pessimo.

La seconda. Districare la matassa, ritrovare il filo: lo si deve fare, lo si deve fare davvero. Non lo si potrà fare, tuttavia, finché Berlusconi sarà il nodo che tiene avvinghiati tutti gli altri. Lo stesso che tiene avvinghiato l'intero sistema giustizia, da vent'anni. La cosa da tenere a mente, quando ci si ridesterà dal letargo, è che la matassa si chiama giustizia. Che la giustizia è libertà. E che tutto il resto in un paese libero consegue.

@kuliscioff