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Non bisogna illudersi che l’arresto di Marra svegli l’Italia dall’incantesimo antipolitico e dalla fiducia nella palingenetica rivoluzione dell’o-ne-stà. Non bisogna affatto credere che se le manette finiscono ai polsi dell’uomo forte del Campidoglio grillino, questo segni la fine dell’egemonia culturale “manipulitista”, che avvelena da qualche decennio la vita e il racconto della politica italiana, e una salutare battuta d’arresto per il partito che ne è oggi il principale beneficiario, il M5S.

Al contrario, ogni arresto, ogni scandalo, ogni velina non fa che confermare l’idea che la vita delle istituzioni, la selezione della classe di governo e il giudizio sul suo operato debbano trovare in primo luogo (o esclusivamente) garanzia e sanzione giudiziaria e che sia bene che a disfare le giunte e i governi e a dettare l’agenda moralizzatrice di ogni possibile rinnovamento non siano neppure i giudici, ma i magistrati inquirenti. È questa l’anomalia italiana e l’apparente “prudenza” di subordinare la politica alla giustizia è il principale e più rovinoso degli azzardi.

L’idolatria dell’onestà, non la condiscendenza verso la disonestà, porta a Marra e al casino-Capitale, all’ascesa al potere di un gruppo di fanatici adoratori delle manette, incapaci di governare e perfino di governarsi, e costretti ad affidarsi a guide di “esperienza”, come appunto Marra e Muraro e a finirne prigionieri. La subordinazione coatta della democrazia alla burocrazia giudiziaria – non il senso di responsabilità, ma esattamente il suo contrario – porta alla surreale autosospensione di Sala in ossequio a un’indagine che al momento, più che il malaffare di Expo, ha fatto emergere le guerre intestine e le divisioni interne al Palazzo di Giustizia di Milano.

Dacché la diversità morale ha surrogato quella politica e la retorica poliziesca ha soppiantato quella ideologica, i partiti sono diventati, per lo più, enormi contenitori e propalatori di maldicenze e di ricatti. Il M5S, che è quello che accetta questo paradigma in modo più disinibito, senza remore culturali di alcun tipo, è destinato per ragioni “evolutive” a prevalere in un ambiente in cui la politica e l’antipolitica finiscono per coincidere.

Grillo, con qualche esecuzione esemplare – di Marra certamente, e quando diventasse indifendibile della stessa Raggi – riconquisterà la purezza macchiata dallo scandalo. Quel di cui ha bisogno è che a fare notizia, opinione e consenso rimangano le inchieste, gli scandali, gli arresti – anche quelli subiti – non i risultati, le cose fatte e da fare, il (parola grossa) “governo”. Ha bisogno che la politica rimanga questo gioco a guardie e ladri, questa notte nera in cui tutti gli scandali sono ugualmente neri e, per stare alla cronaca, pure il caso Marra e quello Sala finiscano per confondersi.

@carmelopalma